Chi ottiene giustizia e chi no

Per il fariseo, Dio e gli altri servono da sponda per la propria esaltazione e nulla, dopo la preghiera, cambia in lui. Il pubblicano invece, riconoscendo la propria condizione di peccatore, si apre al perdono di Dio, che lo trasforma.
09 Marzo 2001 | di

Nel vangelo di Luca la preghiera occupa un posto privilegiato. Il terzo evangelista non solo presenta Gesù come il modello di orante, ma riporta anche le sue istruzioni sulla preghiera. Egli ha raccolto alcune parabole di Gesù che non si trovano negli altri Vangeli. Tra queste vi è la parabola del giudice iniquo e della povera vedova, che alla fine riesce a ottenere giustizia solo per la sua insistenza. Gesù fa l' applicazione di questa storia con una domanda: «E Dio non farà  giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte? Li farà  a lungo aspettare?». Egli assicura che Dio farà  loro giustizia «prontamente» per mezzo del Figlio dell' uomo che sarà  il protagonista del giudizio. L' unica condizione che si richiede per ottenere giustizia da Dio è la fede.

La superbia del fariseo. Ma di che «giustizia» si tratta? Che cosa vuol dire «avere fede»? A queste domande risponde la seconda parabola raccontata da Gesù «per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri». I protagonisti della nuova parabola sono due personaggi rappresentativi della loro categoria: un fariseo e un pubblicano. Il primo, fa parte di quel movimento sorto all' epoca dei Maccabei per mantenere l' osservanza scrupolosa della legge biblica.
I membri di questo movimento riuniti in associazioni si chiamano «farisei», che vuol dire i «separati» o i «puri». Il secondo, il «pubblicano», è uno che ha in appalto la riscossione delle tasse del governo locale che vanno a finire nelle casse dell' impero romano. Gesù nel suo racconto dice che due ebrei si recano al tempio per pregare: sono un fariseo e un pubblicano. Nei piazzali del tempio c' è una zona riservata agli ebrei che possono vedere da vicino l' altare dei sacrifici e l' ingresso del santuario.
Gesù descrive l' atteggiamento del fariseo che prega in piedi come fanno tutti gli ebrei. Anche il tono della sua preghiera - «O Dio, ti ringrazio...» - corrisponde al modo di pregare tipico della tradizione ebraica. Anche Gesù prega rendendo grazie a Dio. Ma la preghiera del fariseo si distingue per il contenuto del suo ringraziamento. Egli interiormente si compiace di non essere «come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri». Il fariseo è cosciente di osservare integralmente il decalogo anche nella parte riguardante i rapporti con gli altri. In particolare, la presenza di un pubblicano mette in risalto la sua condizione di uomo «giusto». Ma, oltre ai comandamenti, il fariseo si distingue dagli altri ebrei perché pratica l' osservanza del digiuno «due volte la settimana» e paga «le decime di quanto possiedo». Il digiuno prescritto per tutti gli ebrei riguarda alcune ricorrenze come quella del yà³m kippàºr, il «giorno dell' espiazione» per il perdono dei peccati.
Egli, oltre le offerte prescritte da portare al tempio, cioè la decima parte del raccolto del frumento, dell' olio e del vino, aggiunge la decima su tutti i prodotti del campo.

«La preghiera dell' esattore del fisco, è la preghiera del povero, che si rimette completamente a Dio. Per questo, Dio lo perdona e gli dà  la 'giustizia'».

L' umiltà  del pubblicano. All' immagine del fariseo, Gesù contrappone quella del pubblicano. Egli si tiene a distanza dal santuario, con il capo chino e gli occhi bassi, mentre si batte il petto in segno di pentimento. La sua preghiera è molto più breve. Egli come l' orante dei salmi ripete: «O Dio, abbi pietà  di me peccatore». Gesù conclude dicendo qual è l' esito della preghiera dei due personaggi, partendo dal pubblicano: «Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell' altro, perché chi si esalta sarà  umiliato e chi si umilia sarà  esaltato». Il fariseo nella preghiera fa l' elogio della sua «giustizia». Dio e gli altri uomini gli servono solo come sponda per la sua esaltazione. Perciò egli ritorna a casa sua per nulla cambiato. È rimasto prigioniero del suo autocompiacimento. In breve, la sua non è una preghiera, ma un soliloquio che non lo ha messo in rapporto con Dio. Il pubblicano, invece, si rimette completamente a Dio. Egli si «umilia», nel senso che riconosce la sua condizione di peccatore, si apre alla giustizia di Dio, cioè al suo perdono che lo trasforma interiormente.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017