Chiamato a servire Dio
«La mia è una vita molto semplice» taglia corto al telefono padre Cristinel, sicuro di non avere granché di interessante da raccontare. A colloquio terminato, concordo con lui: sì, la sua è davvero una vita semplice, perché egli sa viverla con francescana «leggerezza» e con l’entusiasmo necessario a evitare le secche dell’abitudine. Ma quella di padre Cristinel è anche un’esistenza condotta con impegno e stupore per i segni dell’amore di Dio. Segni che ogni giorno il frate scopre intorno alla Tomba di sant’Antonio, dove da una decina d’anni è impegnato nell’accoglienza dei pellegrini. Padre Cristinel Sascau è originario di Bacau, Luizi-Calugara, un comune nella regione della Moldavia Storica, in Romania. Come i suoi concittadini, ha subìto gli oltraggi della dittatura di Nicolae Ceausescu. «Nel dicembre del 1989 avevo 19 anni e lavoravo in un’azienda metalmeccanica che produceva pannelli elettro-pneumatici per centrali nucleari e navi.
Un giorno – ricorda il frate – una notizia mi fece sobbalzare: Ceausescu e la sua cricca erano stati imprigionati e la fine del regime era imminente. Stentai a crederci e, solo dopo aver visto in televisione che cosa accadeva, capii che l’incubo stava davvero per finire. Deposto il dittatore, il Paese cominciò a respirare aria di libertà: il popolo rumeno era frastornato, confuso ma libero». Per Cristinel, intanto, era venuto il tempo di prestare servizio militare. Egli indossò quindi la divisa e, a leva conclusa, tornò in fabbrica. Sorpresa: l’azienda era in crisi e doveva ridurre il personale, cominciando dai giovani: «“Voi potete facilmente trovare lavoro altrove” dissero i dirigenti, consegnando le lettere di licenziamento». Emigrato nella vicina Ungheria, Cristinel non faticò a riciclarsi come fiorista. Nel frattempo, in Romania lo Stato restituì ai cittadini i beni incamerati dal regime. La famiglia Sascau (padre, madre e cinque figli) tornò in possesso della propria terra, dalla quale Cristinel ricavò un lotto per costruirsi una casa. «Il lavoro mi piaceva e non mi impediva di riflettere – ricorda oggi il frate –. Pensavo: ora ho tutto, mestiere, casa. Posso progettare un futuro. Ma, alla fine, che cosa mi resterà? Solo cose. È poco: voglio di più, volare più alto. Pur frequentando abitualmente la Chiesa, non conoscevo san Francesco. Quindi non potevo sapere della misteriosa voce che gli aveva fatto mutare vita: “Francesco, chi ti può giovare di più: il signore o il servo? E allora, perché lasci il Signore per il servo?”. Confusamente, anch’io sentivo che, solo servendo il Signore, avrei dato senso pieno alla mia vita. E decisi di diventare un servo di Dio. Come e dove non lo sapevo e non mi importava». Il padre però era comprensibilmente preoccupato per questo figlio che, dopo essersi addirittura costruito la casa, ora voleva entrare in convento: temeva che il suo potesse essere un gesto avventato. Invece, con il tempo, anche lui capì che quella di Cristinel era una chiamata seria e accettò di buon grado la scelta del figlio. Cristinel si presentò così a quei religiosi che, costretti dal regime a celare la loro identità francescana, avevano da poco aperto un probandato a Luizi-Calugara: «Va bene – gli dissero –. Quando ti senti pronto, vieni».
Lo era già e, di lì a poco, il giovane iniziò un periodo di prova. Due mesi dopo passò al Seminario di Roman. Si trattava di una realtà nuova e pertanto ancora poco strutturata: tutti dovevano dare una mano a mandare avanti la vita quotidiana. Lui fu assegnato alle cucine, anche se era del tutto ignaro di faccende culinarie. Quando però capì che avrebbe dovuto sfamare oltre trecento bocche, si mise d’impegno e, pur dedicando del tempo anche allo studio, in breve imparò i segreti dell’arte della cucina. Rimase ai fornelli per quattro anni e, ancora oggi, in caso di necessità cucina volentieri.
Nella semplicità della vita quotidiana il religioso approfondiva sempre di più anche il carisma che aveva scelto di abbracciare: «Cominciai a conoscere la vita di san Francesco, la sua Regola, la storia dell’ordine da lui fondato e di cui, senza rendermene pienamente conto, ero entrato a far parte. E più aumentava la conoscenza più mi rendevo conto della grande fortuna che avevo avuto a essere chiamato a far parte della Famiglia francescana. Una fortuna per la quale non mi stancavo di ringraziare il Signore. Studiai anche la teologia, per conoscere meglio la fede e Colui al quale avevo scelto di donare la mia vita, oltre che per essere preparato a rispondere in modo adeguato ai futuri compiti». Nel 1999 Cristinel riconfermò la sua scelta «per sempre», con la professione solenne. L’anno successivo fu inviato a Padova, a occuparsi della diffusione del neonato «Messaggero di sant’Antonio» in lingua rumena, la cui redazione si trova all’ombra della Basilica. «I primi giorni alloggiai nel convento del Santo. Ricordo che guardando quei frati rimasi colpito dal clima di spiritualità che aleggiava nella comunità e pensai che erano proprio fortunati a poter vivere all’ombra di un Santo così grande», confessa oggi Cristinel. Ancora non sapeva che, conclusa la missione al «Messaggero» (un anno da pendolare tra Romania e Italia), nel 2002 gli sarebbe stato proposto di prestare servizio proprio nella Basilica del Santo: «Non volevo crederci – confida –. Mai obbedire mi fu tanto piacevole».
A Padova con stupore
Da dieci anni padre Cristinel lavora in Basilica. Oltre ad accogliere i pellegrini alla Tomba del Santo, dallo scorso anno, da quando è stato ordinato diacono, segue anche i riti liturgici e si alterna con altri confratelli nella Cappella delle benedizioni. Il suo passato da metalmeccanico ha fatto sì che oggi sia anche responsabile della manutenzione delle auto del convento dove, in caso di necessità, svolge pure il compito di autista; inoltre, è aiuto economo.
Rispetto al suo primo incarico in Basilica, il frate è ben consapevole di quanto quello attuale, svolto ai piedi della Tomba di Antonio, sia privilegiato. «Qui, con la mano posata sulla pietra tombale, i devoti confidano al Santo i loro crucci, chiedono aiuto e protezione in questi tempi incerti, e anche qualcosa di più per situazioni che nessun altro sembra in grado di risolvere. Sanno che sant’Antonio li ascolta, ma molti desiderano confidare i propri problemi anche a un frate in carne e ossa, che preghi per loro. Io e altri due confratelli, a turno, siamo pronti ad ascoltare questi fedeli e a soddisfare le loro richieste». Che sono, poi, le più disparate: dalla semplice informazione turistica alla domanda di aiuto. C’è chi ha bisogno di chiarirsi le idee, chi vuole recuperare il senso della propria vita e chi si è allontanato dalla fede in Dio. «Sono situazioni difficili – ammette padre Cristinel –, nelle quali le tue parole servono solo da apripista alla grazia di Dio, che di fatto interviene. Per non pochi fedeli il pellegrinaggio si conclude in confessionale: è questo il vero miracolo. Ma succedono anche altre cose che inducono i devoti a tornare alla Tomba per ringraziare il Santo di averli aiutati e noi frati di avere pregato per loro». E alla preghiera padre Cristinel si dedica volentieri: «Ricordare al Signore quanti ce lo chiedono, e anche chi non ci chiede nulla, è uno dei compiti che più mi coinvolge, tanto da dare senso al mio essere qui. Le giornate a volte sono dure, il peso dei drammi affidatici grava anche sui nostri cuori». Ma la vita di un frate è fatta, oltre che di preghiera e lavoro, anche di momenti conviviali e di svago: «Una volta alla settimana vado a tirare quattro calci al pallone con gli amici della Comunità San Francesco di Monselice − racconta − e anche di questo sono grato al Signore. I drammi di cui ogni giorno sono testimone mi inducono a ringraziarlo per ciò che mi offre. Salute e serenità sono doni che noi uomini apprezziamo solo quando ci vengono a mancare. Doni per i quali, assieme a san Francesco e a sant’Antonio, dobbiamo ringraziare il Signore che per amore ce li concede».
notizie
Dicembre in Basilica
-8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. Alle ore 10.00, i frati del «Messaggero» celebreranno una santa Messa per tutti i lettori e gli associati alla Famiglia antoniana. Nel pomeriggio, alle ore 17.00, solenne celebrazione eucaristica presieduta da padre Gianni Cappelletto, ministro provinciale, a cui segue la tradizionale processione all’interno della Basilica.
-16-24 dicembre, novena del Santo Natale con la Messa delle ore 17.00 e il canto dei vespri.
-24 dicembre. dalle ore 23.00, veglia nella Notte santa; alle ore 24.00 Messa solenne, con processione e benedizione del presepio.
-25 dicembre, Santo Natale. Alle ore 10.00 santa Messa celebrata dai frati del «Messaggero di sant’Antonio» per i membri della Famiglia antoniana; alle ore 11.00 Messa solenne; alle ore 17.00 Messa cantata dalla Cappella musicale del Santo.
-31 dicembre, alle ore 17.00 santa Messa e Te Deum di ringraziamento al Signore.