Chiesa e famiglia nel terzo millennio

A colloquio con il superiore generale della Fraternità missionaria San Carlo, che affronta i temi al centro di due suoi libri in uscita.
27 Aprile 2011 | di

Ritorno al centro, all’essenziale, a ciò che rimane vero e non passa, che ieri valeva e anche oggi mantiene il suo peso specifico. Questo è il viaggio che don Massimo Camisasca, fondatore e superiore generale della Fraternità missionaria San Carlo, intraprende in due libri di prossima pubblicazione: uno in uscita a breve, dal titolo La casa, la terra, gli amici. La Chiesa nel terzo millennio, un testo intenso e molto personale, ricco di risonanze affettive e amicali, anche perché si tratta di conferenze rivolte a comunità in cammino di fede (della Fraternità, di religiosi, di giovani in formazione); l’altro testo, Amare ancòra. Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani, militante, atteso in autunno, focalizza invece un tema che a don Massimo sta a cuore, perché segna la temperatura del cristianesimo e della sua presa (o non) sulla vita della gente: la famiglia.

Msa. Quando si scrivono libri che affrontano a viso aperto temi come la vita della Chiesa e il fare famiglia, significa forse che si è giunti a delle sintesi?
Camisasca. Quando si hanno 65 anni, si entra in un tempo in cui cresce il desiderio di ciò che è essenziale. Aumenta anche la voglia di raccogliere ciò che si è seminato, non per impossessarsene, ma per offrirlo a chi verrà. I miei ultimi libri rispondono a questo desiderio. Padre, un libro che ho pubblicato l’anno scorso, ha raccolto le mie esperienze più importanti nell’educazione dei giovani al sacerdozio. La casa, la terra, gli amici, il libro che esce ora per le edizioni San Paolo, esprime ciò che più mi sta a cuore nella vita della Chiesa: il bisogno di ancorare i nostri fuggevoli sentimenti a un’esperienza di rapporti piena, reale, concreta. È cresciuta in me anche la necessità di essere semplice nell’esposizione, comprensibile a tutti, chiaro, diretto. Per questa ragione scrivere è per me un lavoro duro ma avvincente, che mi aiuta a comprendere me stesso e ciò che ho vissuto e vivo.

Nel libro La casa, la terra, gli amici – tra l’altro con un’ampia prefazione del teologo Lubomir Žak – è ammirevole lo sforzo di parlare della Chiesa riabilitando parole, luoghi e volti della vita: casa, comunione, amicizia… Per lanciarsi nell’evangelizzazione, dunque, sono necessarie radici concrete e profonde. È così?
Questo libro vuole raccontare ciò che mi ha affascinato e mi affascina nella vita della Chiesa. La prima immagine che mi viene alla mente e che mi sembra importante riprendere, è quella della casa. Un’abitazione fatta di mura, di persone soprattutto, di incontri, in cui il lato personale della vita e quello sociale si intrecciano fino a formare una cosa sola. Poi ho pensato alla Chiesa attraverso l’esperienza dell’amicizia e della comunione. Infine, ho riproposto la Chiesa come comunità destinata a tutti gli uomini della terra, nata e guidata dallo spirito di Dio che si rende presente attraverso le persone autorevoli che ci generano e ci guidano. Mi sembra essenziale, senza nulla togliere al lato organizzativo della vita ecclesiale, operare un ridimensionamento di esso e riportare in primo piano la nostra vita quotidiana trasformata dall’incontro con Gesù.

Viviamo in una società che sembra declinare, e in questo ha qualcosa di «barbarico», nel senso che riflette il decadimento dell’impero romano. La cifra della paura è per tutti pane quotidiano. C’è forse bisogno di una nuova regola di vita? Lei parla di san Benedetto…
Mi impressiona la presenza della paura nella maggior parte delle persone che vengono a parlarmi: paura di non farcela, paura degli altri, paura di se stessi, paura di fronte al futuro… Le persone fanno fatica a riconoscere le tracce dell’amore ricevuto, e ad abbandonarsi a esse. Per questo nel libro La casa, la terra, gli amici parlo molto di san Benedetto e del suo genio semplice e semplificatore. Egli ha creato dei luoghi in cui le persone potessero trovare nella preghiera, nel lavoro, nella vita comune una regola di vita quotidiana che permettesse loro di non continuare a pensare alle proprie paure, ma di sperimentare la positività dell’esistenza attraverso i frutti della terra, il perdono reciproco, l’aiuto di Dio, la bellezza della liturgia. Non si tratta di tornare al passato, né di idealizzare qualcosa che non torna, ma di riscrivere nel presente una forma di vita che ripresenti quella genialità elementare che san Benedetto ha trovato nel cristianesimo.

Come può oggi vivere e prosperare, di fatto, una comunità cristiana?
Perché ci sia una comunità occorre un padre, autorevole e accogliente. Qualcuno per cui Cristo è tutto e che sappia aiutare le persone a riconoscere i segni efficaci della sua presenza nei sacramenti, nei fatti in cui Dio si manifesta, nei testimoni, sostenendo quella conversione a Cristo del cuore e della mente che rende bella, lieta, luminosa la vita degli uomini
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Un tempo nella Chiesa – nelle comunità religiose – si diffidava dell’amicizia, per paura delle cosiddette «amicizie particolari». Ma può esistere un’amicizia che non sia particolare?
Le nostre comunità sono state impoverite dalla messa tra parentesi del lato affettivo della vita. L’amicizia è un fiore che Dio dona all’interno della comunione e che ci permette di trovare in altre persone un sostegno importante nella strada verso Dio. Proprio perché non può essere né pretesa, né programmata, l’amicizia è sempre particolare, cioè nasce dove Dio vuole. Bisogna assieme dire, però, che un’amicizia autentica si apre sempre agli altri. Le amicizie pericolose sono quelle che si chiudono in se stesse e pongono così le premesse della propria autodistruzione.

Altra questione determinante per la vita comunitaria è quella dell’autorità. In giro c’è ancora troppa diffidenza, o no?
Dedico un intero capitolo del libro a questo tema. L’auto­ritarismo e la contestazione radicale di ogni autorità hanno ucciso nel secolo passato, in molte comunità e in molti settori della Chiesa, l’esperienza dell’autorità. Senza autori­tà non solo non c’è Chiesa, ma non c’è neppure vita umana. Vivere da uomini, infatti, significa riconoscere se stessi come esseri di­pendenti. La dipendenza non uccide la libertà, ma ne è il fondamento. Quando amo, sono sommamente libero e sommamente legato a colui che amo. Mostrare la forza liberante e capace di valoriz­zazione dell’autorità è questione di vita o di morte, per l’essere umano e per il cristiano.

Dello Spirito Santo si deve parlare con concretezza, come lei fa nell’ultimo capitolo del suo libro. Dove vede all’opera lo Spirito nella Chiesa dei nostri giorni?
Potrei risolvere tutto con una parola: nei santi. Ma rischierei di essere troppo sbrigativo e di non essere capito. Lo Spirito è Dio stesso in quanto si comunica a noi e viene da noi accolto. I segni della sua presenza sono visibili. San Paolo ne ha fatto l’elenco. Il primo segno dello Spirito è la fede: dove si riconosce Cristo, verbo di Dio venuto nella carne umana, lì c’è lo Spirito di Dio. Poi la carità: lo Spirito lentamente estirpa dal nostro cuore le radici di odio, di gelosia, di invidia, di rancore. Ci rende pazienti, accoglienti, costruttivi, capaci di vivere anche le situazioni più ardue e più dolorose. Ci rende capaci di ringraziamento e di lode. «Lo Spirito soffia dove vuole» ha detto Gesù. Abitualmente agisce attraverso il Figlio, per aggregare alla sua Chiesa gli uomini di ogni generazione.

Dedicare oggi un libro al tema della famiglia significa lanciare un grido d’allarme?
No, assolutamente. Questo mio libro che uscirà nel mese di novembre, proprio per le Edizioni Messaggero Padova, non vuole soffermarsi sulle connotazioni di una crisi che pure esiste. È un libro positivo. Intende indicare le ragioni e le strade per vivere l’esperienza della famiglia. Non vuole essere la difesa di un istituto del passato, ma l’indicazione di un’opportunità per il futuro. Penso che dobbiamo guardare alla famiglia come a una possibilità buona di vita che ci è offerta. Sappiamo benissimo quanto male e quanta sofferenza ci sia in tante famiglie, forse nella maggioranza. Ma anche nella vita personale ci sono peccati e difficoltà: non per questo dobbiamo negarla. La famiglia è la strada fondamentale per venire al mondo, perché i nostri occhi siano aperti ed educati. È la strada per imparare la vita. Si sta rivelando oggi per molti una strada di montagna, ardua. Attraverso questo libro voglio aiutare gli uomini e le donne a percorrerla. Le famiglie oggi sono le più esposte, molto più dei preti, e meritano perciò maggiormente il nostro aiuto.

Da prete, lei parla della famiglia con molta dolcezza ma anche con grande realismo. Ha accompagnato molte famiglie nel loro costituirsi ma anche nel loro sfaldarsi?
Sì, sono benevolmente assediato da molte famiglie. E cerco di trarre da ciò che vivo delle indicazioni di speranza e di rinascita anche per loro. Come è vero per ogni uomo e ogni donna, allo stesso modo nessuna famiglia può vivere senza l’aiuto di Dio. Tornare a pregare in famiglia è un modo semplice ma essenziale per non dare ragione alle forze del male.          

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017