Ci mancherai, direttore

Il 20 gennaio, dopo un’estenuante malattia, padre Giacomo, per vent’anni direttore della nostra rivista, è tornato alla casa del Padre.Lo ricordiamo - direzione, redazione, collaboratori - con affetto e stima..
03 Febbraio 1999 | di

L'aveva assalito uno di quei tumori micidiali che, a volte con fulminea voracità  e altre con più perfida lentezza, consumano ogni fibra di energia, ogni capacità  di resistenza. Scriveva padre Giacomo a conclusione del suo ultimo libro pubblicato: «E la vita di Dio e in Dio non può che essere vita piena». Questa certezza, tante volte ribadita, ha accompagnato la sua lunga, estenuante, consapevole lotta contro il male, che con lentezza inesorabile lo divorava. Lo leggevi nei suoi occhi, sia quando te li puntava addosso imploranti, quasi a voler scuotere la nostra dolorosa impotenza, testimonianza di una mai doma volontà  di vivere; sia quando, placati nell'attesa, parevano voler infondere coraggio, lui ormai prossimo a raggiungere la casa definitiva del Padre, a noi ancora in cammino.
Ha sopportato l'attesa con il grande e lucido coraggio che gli veniva da una fede convinta e vissuta, che spesso si scioglieva in silenziosa preghiera. Sino alla fine. E, lasciandoci, ha scavato in quanti lo hanno amato e stimato (e sono tantissimi: familiari, confratelli, collaboratori e amici) un senso di smarrimento e di sconforto, attenuato dalla cristiana certezza che dal cielo continuerà  ad esserci vicino.
Padre Panteghini, era nato a Bienno, Brescia, l'8 gennaio del 1939. Appena adolescente, come allora si usava, era sceso dalla Val Camonica per intraprendere la lunga strada che lo avrebbe portato prima alla professione solenne (4 ottobre 1962) e poi al sacerdozio (3 aprile 1965) nelle file dei francescani minori conventuali. L'acuta e versatile intelligenza di cui era dotato, ornata da una sincera modestia, gli consentì di coronare il ciclo di studi - compiuti a Camposampiero, Brescia, Padova e Roma - con le lauree in teologia, filosofia e psicologia.
Nel 1979 era approdato al «Messaggero», dove aveva ricoperto successivamente l'incarico di direttore generale e di direttore editoriale. Ultimamente dirigeva tutta l'attività  editoriale (libri e riviste) ma, soprattutto, era responsabile della rivista, fiore all'occhiello dei frati della basilica, il «Messaggero di sant'Antonio», che ha celebrato nel 1998 i cent'anni di vita e al cui successo (primo tra i periodici cattolici a grande diffusione) egli ha contribuito in maniera determinante. Ha saputo, infatti, pilotarla con intelligente abilità  tra gli scogli del secolarismo, dell'indifferenza, dell'individualismo e anche di un rischioso devozionismo: riproponendo con coerenza le eterne verità  della fede, rilette, con il conforto del magistero della Chiesa, alla luce dei mutamenti epocali che hanno caratterizzato questo scorcio di secolo; sollecitando l'impegno solidale e indirizzando la pietà  popolare (studiata e valorizzata anche in alcuni suoi libri) nell'alveo che conduce a Gesù Cristo.
Poiché la malattia non gli ha mai tolto lucidità  di mente, noi ne abbiano approfittato ricorrendo ai suoi consigli, finché ha potuto darceli. Ci bastava un sì, un no, una precisazione, una correzione... per essere certi di non uscire dal percorso editoriale che lui, sostenuto dalla nostra sempre disponibile collaborazione, aveva tracciato in vent'anni di impegno con grande maestria e discrezione. Nei momenti di tregua del male, quando osavamo sperare contro ogni speranza, avevamo insieme previsto un tema per gli «speciali» sulla catechesi, che erano una sua creatura. Quei suggerimenti li conserviamo come parte del suo testamento spirituale.
I lettori del «Messaggero» avevano sempre apprezzato l'impegno di padre Panteghini. E di recente lo hanno manifestato in modo vistoso accordando, ad un'inchiesta accurata e approfondita della Demosckopea, indici molto elevati di gradimento della rivista. La cosa gli ha dato enorme piacere, alimentava in lui la consapevolezza di avere utilizzato nel modo migliore i suoi talenti.
Padre Panteghini aveva alternato la direzione della rivista con l'insegnamento della teologia nel collegio dei chierici, l'Istituto «S. Antonio Dottore», nell'Istituto superiore di scienze religiose presso la basilica del Santo, e, inoltre, con la produzione letteraria, scrivendo diversi libri: L'orizzonte speranza, 1991; Il gemito della creazione, 1992; Quale comunicazione nella Chiesa?, 1993; La religiosità  popolare, 1996; Angeli e demoni, 1997; L'uomo scommessa di Dio, 1998. Da teologo sempre attento all'evolversi dei bisogni ultimi dell'uomo, aveva pubblicato recentemente un volume dal titolo Angeli e demoni. Il ritorno dell'invisibile. Sullo stesso tema ha dato il proprio contributo alla realizzazione di due videocassette: Angeli. La presenza amica e Diavoli. La presenza del male. Stava ultimando un altro libro interamente dedicato alla figura degli angeli, ma la malattia non gli ha concesso di portarlo a termine.
Padre Panteghini fu, soprattutto, un francescano convinto e per i confratelli, soprattutto nelle persone del ministro provinciale padre Luciano Fanin e del direttore generale del «Messaggero» padre Agostino Varotto, la perdita è immensa e non facilmente colmabile. E un eccellente direttore, preparato e aperto ai mille problemi che affliggono gli uomini d'oggi, per i quali suggeriva risposte pescando nel Vangelo e nel pensiero di sant'Antonio, dottore evangelico e ispiratore delle attività  dei religiosi della basilica. Direttore eccellente. E uomo buono, un po' schivo ma capace di grandi amicizie, ricambiate con tanto affetto, come si è visto nella malattia: non è mai stato lasciato solo, aveva uno stuolo di amici a confortarlo, a sorreggerlo, sino alla fine. Trattò sempre, tutti, con grande attenzione, rispettando i talenti e le diversità  di ognuno, convinto che la cosa migliore è, sempre, crescere insieme.

Pubblichiamo la conclusione dellultimo libro di padre Giacomo, L'uomo scommessa di Dio: un'interpretazione biblica e teologica di quella che ora gli appartiene per sempre.

Dagli scritti di padre Giacomo
Vita eterna come permanente dinamismo

«Il concetto biblico di 'vita eterna' allude alla partecipazione alla pienezza di vita che è Dio stesso, quello ecclesiastico alla durata senza termine della beatitudine, intesa come situazione definitiva e irrevocabile.

Certe rappresentazioni di questa 'vita eterna' corrispondevano a una visione statica dell'uomo e del suo compimento, dando luogo all'obiezione della 'noia'.
Invero, un paradiso immaginato come una specie di 'adorazione perpetua', non affascina tutti. Ricordo, in proposito, lo scandalo di un mio maestro di seminario al quale, dopo una simile prospettazione del paradiso, noi discepoli adolescenti obiettavamo una sentita preferenza per un limbo in cui ci si potesse un po' divertire... Mandammo giù - non avendo all'epoca efficaci argomentazioni teologiche da opporre - la rampogna, ma non riuscimmo a convincerci di essere dalla parte del torto. In effetti il paradiso va compreso in ben altro modo. Se è vita, non può essere ridotto ad immobilità . La vita è dinamismo perenne: più è piena, più è dinamica. E la vita di Dio e in Dio non può che essere vita piena. Il Dio cristiano ha poco a che vedere con il 'motore immobile' di aristotelica memoria.
Nel concetto di vita eterna è quindi incluso un permanente dinamismo, altrimenti non sarebbe vita. Il tema della contemplazione non deve trarre in inganno. Dio non è un oggetto che arresta il nostro dinamismo, ma l'orizzonte personale perenne che, proprio per la sua infinità , riserverà  eternamente sorprese ai nostri occhi. La comunione di vita con lui in Cristo, comunque ce la possiamo rappresentare, non potrà  dar luogo a noia o ad assuefazione. D'altronde una qualche esperienza del genere è possibile già  fin d'ora nell'autentica relazione di amore in cui, nel dinamismo del dono reciproco, anche le cose, le parole e i gesti più comuni sono riscattati dalla banalità  perché colti come espressione di un tu che è sempre mistero, novità , sorpresa.
Questo non significa rigettare l'attesa tradizionale di un 'eterno riposo'. Tutto sta nel precisare il concetto di riposo.
L'attività  celeste sarà  un operare che non ha nulla del lavoro alienante di cui l'umanità  ha avuto per lo più esperienza e che ha portato a pensare la felicità  come riposo (...) Si tratterà  invece di un'attività  che è riposo e di un riposo che è attività ».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017