Ci vuole una coscienza
Per far fronte agli interrogativi posti dal repentino sviluppo della ricerca scientifica in campo medico e biologico, negli anni Ottanta nascono i comitati di bioetica. Con essi, una disciplina relativamente nuova entra a far parte del dibattito pubblico. Maria Luisa Di Pietro insegna all' istituto di Bioetica dell' università «Cattolica» di Roma e da diversi anni si occupa di questi temi.
Msa. Una delle questioni cruciali, in campo bioetico, è la definizione di vita umana, del suo inizio e della sua sacralità . Da dove partire per dare una risposta?
Di Pietro. Dal valore della vita. Che si esprime nell' istante in cui l' uomo inizia la sua esistenza individuale. Se fino a qualche tempo fa non c' era scissione tra vita naturale e vita organica, ora, per via del progresso della tecnica medica, è necessario riconfermare la dignità di ogni individualità , l' unità dei concetti di persona e individuo umano. E la vita individuale ha inizio quando un gamete maschile e un gamete femminile si incontrano dando così origine a un nuovo individuo, a un sistema nuovo che lavora in modo autonomo e autosufficiente. Quanto detto è scientificamente sostenibile e dimostrabile e non è assolutamente frutto - come sostiene qualcuno - di un' ideologia che vuole piegare la scienza.
Anzi, c' è chi vuole posticipare l' inizio della vita a un momento successivo alla fecondazione che assume di necessità una posizione ideologica, dovendo ricorrere a giustificazioni scientifiche strumentali. Basti pensare che lo stesso Comitato Warnock, nel fissare al 14° giorno l' inizio della vita individuale e, quindi, di un' esistenza personale, ha dovuto, in modo cosciente, forzare l' obiettività scientifica e fare una scelta arbitraria.
Che scopi si prefigge una disciplina come la bioetica?
Sin dall' inizio la bioetica si è posta come compito quello di creare una riflessione sull' utilizzo delle scienze sperimentali. Una sorta di coscienza etica di fronte al progresso della ricerca scientifica; il tentativo di una risposta di fronte a un sapere tecnologico incurante del vuoto deontologico che lasciava - e che lascia - dietro di sé: la bioetica, pertanto, ha il compito di suscitare il dibattito per tenere sveglia l' attenzione su alcuni problemi essenziali per l' uomo, per la sua vita, per la sua salute. Un' altra funzione importante della bioetica è quella della «supplenza giuridica»: in presenza di un vuoto giuridico sulla materia, il dibattito bioetico e gli apporti del Comitato nazionale per la bioetica rappresentano, in Italia, l' unico punto di riferimento, pur non avendo esso una valenza normativa. Si tratta, d' altra parte, di vuoti difficili da riempire a breve termine data la complessità della materia e la molteplicità degli orientamenti etici. Basti pensare che per concludere il dibattito sulla legge sui trapianti sono stati necessari ben otto anni. E restano ancora aperti i dibattiti sulla procreatica, sulla genetica e sulla clonazione.
Quanto contano - in questi dibattiti - il business, la pressione delle case farmaceutiche, la corsa forsennata ai brevetti?
Non si può negare che gli interessi economici in ballo siano notevoli, ma non dobbiamo dimenticare anche gli interessi scientifici, intesi non come ricerca della verità , ma come desiderio di supremazia o di seguire una «moda» di ricerca.
D' altra parte, considerate lodevoli eccezioni, uno degli ultimi problemi che il ricercatore si pone è quello etico, a meno che non si interroghi sulla liceità o illiceità del suo operato, ma solo nella fase applicativa. La ragione di tutto questo è da ricercare nel metodo sperimentale, che è riduzionista per definizione. Infatti, quando il ricercatore guarda attraverso il microscopio, vede solo ammassi di cellule, o singole cellule, e non individui o parti di un individuo. Solo interrogandosi sulla realtà ontologica del «materiale biologico» su cui sta lavorando, lo scienziato potrà approdare a conclusioni diverse e anche rinunciare alla sua ricerca se la risposta fosse che questo «materiale» su cui sta sperimentando è un individuo umano.
Per questa ragione, è quanto mai necessaria una sensibilizzazione etica dei ricercatori, che gli consenta di guardare e vedere «oltre» l' empiricamente evidenziabile.
Giunta sino al limite della vita, del suo inizio e dei suoi segreti, la ricerca scientifica dovrebbe ora fare un passo indietro?
Il problema non è quello di fare passi indietro, ma di trovare i percorsi giusti da seguire. Un esempio illuminante è quello della ricerca sulle cellule staminali. Ora, la sperimentazione in questo campo è cruciale per la cura di tante malattie per le quali il trapianto di tessuti potrebbe essere la soluzione ottimale. Purtroppo, si vogliono ottenere queste cellule staminali utilizzando e distruggendo embrioni umani senza pensare che c' è una via alternativa, quella, cioè, del recupero di cellule staminali da soggetti adulti. Se l' alternativa esiste e se questa alternativa non crea i problemi etici sollevati dalla strada attualmente percorsa, è un dovere etico abbandonare quest' ultima e imboccare la nuova. La scelta è sempre un atto libero e volontario: questo fa capire ancora una volta quanto sia importante formare coscienze etiche anche e soprattutto nel mondo scientifico. Se si prescinde dalla domanda sul senso e sui limiti del proprio operare, si va veramente alla deriva, verso un potere incontrollabile e pericoloso dell' uomo sull' uomo
Progetto genoma umano. Lanciato nel 1988, è una ricerca mondiale da 3 miliardi di dollari (circa 6 mila 400 miliardi di lire) che coinvolge centinaia di scienziati di diversi paesi. Si propone di esplorare l' intero patrimonio genetico umano, analizzando la struttura del Dna e mappando tutti i geni. Il progetto dovrebbe essere ultimato nel 2005 con la catalogazione degli 80-100 mila geni umani contenuti nei cromosomi, 3 mila dei quali potrebbero essere implicati nelle malattie ereditarie. Grazie al «Progetto genoma», sarà possibile scoprire l' origine di molte malattie per trovare terapie efficaci.