Cinquant'anni fa Trieste tornava italiana

Tra il 26 ottobre e il 4 novembre si perfezionava il definitivo passaggio dei poteri dalla amministrazione alleata a quella italiana secondo gli accordi siglati il 5 dello stesso mese. Finiva così la "Questione triestina".
29 Settembre 2004 | di

Sono trascorsi appena cinquant'anni da quando Trieste entrava definitivamente a far parte della Repubblica italiana. Il 5 ottobre del 1954, con il Trattato, o Memorandum, di Londra, italiani e jugoslavi ponevano fine a uno snervante contenzioso che li teneva in disaccordo per il possesso della città , un contenzioso che aveva avuto inizio dall'infelice primo maggio del 1945, il giorno in cui le truppe del ferreo maresciallo Tito l'avevano abusivamente occupata.
Capoluogo della regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia dal 1963, Trieste ha conosciuto alterne vicissitudini soprattutto nel corso del '900. Entrata a far parte del Regno d'Italia al termine della Grande guerra del 1915-'18 corse il rischio di essere nuovamente strappata alla penisola nel 1945 a vantaggio della neonata Repubblica jugoslava.
La cosiddetta Questione triestina è uno di quegli oscuri episodi della storia nazionale italiana di cui raramente si parla nei libri scolastici.
La vexata quaestio triestina si comprende meglio se si torna ai tragici giorni che seguirono l'armistizio dell'8 settembre del 1943 quando, a malincuore, re Vittorio Emanuele III e il nuovo capo del governo, il maresciallo Pietro Badoglio, che aveva sostituito Mussolini, preferivano saggiamente riparare a Brindisi, in territorio libero, per sottrarsi alle rappresaglie dei tedeschi che sopraggiungevano su Roma. Già  in quei concitati giorni furono siglati degli accordi in cui si decideva di rinviare al termine del conflitto la definizione di un confine di Stato con i territori balcanici ormai in balia della guerriglia partigiana capeggiata da Tito.
Il 18 settembre del '43 Trieste, dopo essere stata occupata dai reparti tedeschi, veniva annessa alla Repubblica Sociale di Salò. I nazisti, però, imponevano il loro Diktat costituendo un Supremo Commissariato per il litorale adriatico - l'Adrialisches Kunstenland - in cui erano raggruppate le province di Trieste, di Udine, di Gorizia e di Lubiana. Hitler, a capo di quel Commissariato, poneva l'austriaco Friedrich Rainer, il quale nominava a Trieste un nuovo prefetto, Bruno Coceani, il presidente dell'Associazione industriali e un nuovo podestà . Al tempo stesso, l'Istria era percorsa da bande di slavi che facevano stragi di civili italiani e di soldati tedeschi e ne gettavano i cadaveri in profonde voragini dell'altopiano carsico.
Durante l'occupazione nazista, Trieste non conobbe che morte e distruzione. Da un lato, gli jugoslavi colmavano le foibe, dall'altro lato, i tedeschi si macchiavano di nefandi crimini nel campo di concentramento della Risiera di San Sabba deportandovi e uccidendovi migliaia di ebrei. Quel terribile luogo sarà  l'unico lager nazista su suolo italiano.
Il 1º maggio del 1945 i bombardamenti alleati su Trieste e sui cantieri navali di Monfalcone spianavano la strada alle truppe jugoslave, le quali, uscite dai rifugi sul Carso, invadevano le vie della città  friulana. Le truppe neozelandesi del generale Bernard Freyberg, che si erano già  distinte nello sfondare la linea Gustav e nella battaglia di Cassino, erano arrivate troppo tardi e non avevano potuto impedire che i partigiani titini prendessero possesso della città . Eppure, rimase celebre la loro corsa verso Trieste - The race for Trieste - favorita dai partigiani anticomunisti della divisione Osoppo guidata dal veneto Alvise Savorgnan De Brazzà .
Si verificarono scontri sanguinosissimi in cui furono coinvolti i reparti della Wermacht - asserragliati nella Villa Geiringer di Scorcola e nel Castello di San Giusto - e i partigiani italiani scesi in strada nel quartiere di Roiano. In quelle stesse ore la radio ripeteva l'annuncio della fucilazione del duce e dell'amante Claretta Petacci sul lago di Como.

I giorni dell'anarchia nei territori triestini

Fino al 12 giugno del '45 nei territori triestini regnò l'anarchia totale. Sul Palazzo della Prefettura, in piazza dell'Unità , calato il Tricolore, si issava la bandiera jugoslava accanto a quella rossa dei comunisti. Coloro che nel novembre del '18 avevano accolto con giubilo la torpediniera Audace e i bersaglieri ora soffrivano per il fatto che la loro città  cessava di essere italiana.
A Trieste tutto diventava più difficile. Il generale jugoslavo Dusan Kveder proclamava la città  e il suo territorio la settima repubblica autonoma della Federazione jugoslava. In più, per festeggiare l'evento, mutò il nome della principale strada triestina - Corso Italia - in quello del leader slavo, il quale, da Lubiana, faceva sapere che la Venezia-Giulia era ormai in suo possesso. Da Londra Winston Churchill ordinava al generale Harold Rupert Alexander di prendere tutti i provvedimenti necessari a evitare che i rossi occupassero anche quel lembo di costa italiana.
Soltanto a fatica i comandi alleati riuscivano a convincere Tito a smobilitare Trieste e a porla sotto il controllo di un Governo militare alleato (Gma). Ed era il 12 di giugno. Fu allora che i soldati statunitensi cominciarono a bonificare i campi minati del Carso scoprendo casualmente l'orrore di migliaia di cadaveri che riempivano le cavità  dell'altopiano alpino.
Si era già  nel 1946 e  un nuovo evento investiva l'Italia: il Referendum del 2 giugno che, proclamando la nascita della Repubblica, poneva fine alla dinastia dei Savoia.
Ai triestini non era stato concesso il diritto di votare, il che non mancò di suscitare vive proteste un po' dovunque. Per calmare gli animi, gli Alleati permisero in via eccezionale che il Giro d'Italia potesse transitare per Trieste: molti ciclisti, però, fra cui lo stesso Gino Bartali, furono presi a sassate da bande di sloveni.
Umberto II, il Re di maggio, partiva alla volta del Portogallo, e la questione triestina non era più affar suo. A difendere l'italianità  di quelle terre sorse quindi il leader democristiano Alcide De Gasperi, il quale, nelle prime elezioni politiche a suffragio universale, aveva raccolto più del trentacinque per cento dei voti battendo i comunisti di Palmiro Togliatti e i socialisti di Pietro Nenni. Il presidente provvisorio della nuova Repubblica era il napoletano Enrico De Nicola.
De Gasperi seppe affrontare coraggiosamente l'intricata questione triestina. Harold Mac Millan, proconsole britannico in Italia negli anni dell'occupazione alleata, racconta in un suo libro un episodio che vale la pena di ricordare. Dopo la firma della resa da parte delle forze tedesche a Caserta, egli, il 30 aprile del 1945, aveva invitato nella sua villa romana alcuni leaders italiani - come Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Ivano Bonomi, Meuccio Ruini - per discutere insieme alcuni aspetti della politica italiana. Fra tutti quei personaggi di varie ispirazioni soltanto De Gasperi si interessò con calore alle sorti di Trieste in cui le armate di Tito vi si erano brutalmente istallate.
Purtroppo al convegno di pace di Parigi del 3 luglio del '46 proprio De Gasperi doveva cedere al Diktat della Realpolitik imposta dai vincitori, per cui l'Italia perdeva tutte le colonie oltre mare, eccetto la Somalia, e non vedeva risolto il problema di Trieste: la città  restava divisa in due aree sotto il controllo jugoslavo e alleato. De Gasperi riusciva, tuttavia, nel settembre di quello stesso anno, a strappare un'importante vittoria diplomatica che gli consentiva di ratificare con il cancelliere austriaco Karl Gruber i confini altoatesini e di riconoscere l'autonomia della provincia di Bolzano.
Lo scontro politico fra le forze contrapposte era quanto mai cruento. De Gasperi fu violentemente attaccato dal suo principale avversario, Togliatti, che gli rivolgeva l'accusa di essersi asservito agli americani. In verità , Togliatti avrebbe fatto meglio a tacere per essersi già  reso tristemente famoso avendo firmato, nel 1945, un manifesto col quale il Partito comunista italiano aveva accolto i violenti partigiani titini: Lavoratori di Trieste, il vostro dovere è di accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo più assoluto.

Il trattato di pace e i giorni dell'esodo

Non senza difficoltà , nel febbraio del 1947, si procedeva alla ratifica dei trattati di pace. Trieste diventava un territorio libero, mentre l'Istria era affidata alla Jugoslavia. A gestire il capoluogo del Friuli per conto dell'Italia fu nominato l'inglese Terence Airey. La protesta degli italiani non poteva che esplodere, anche nelle forme peggiori. E difatti a Pola una giovane professoressa, Maria Pasquinelli, uccideva a colpi di pistola il generale inglese Robin De Winton che era il comandante delle truppe britanniche ivi dislocate. Aveva altresì inizio un penoso esodo: su trentaduemila abitanti, ben venticinquemila abbandonavano Pola: erano tutti italiani. Insieme ai polesi emigravano dai territori dalmati complessivamente più di trecentocinquantamila persone, molte delle quali erano miracolosamente scampate ai massacri e alle foibe.
Per anni la diplomazia italiana fu impegnata nella ricerca di un compromesso che permettesse di ridiscutere gli svantaggiosi accordi del 1947 e di sbloccare la questione triestina, mentre in tutta la penisola si manifestava per la riannessione del capoluogo giuliano. E non pochi furono gli episodi di sangue nella stessa Trieste.
L'8 marzo del 1952, durante un corteo organizzato dai neofascisti del Movimento sociale italiano che si dirigevano verso la sede del Fronte sloveno, una bomba uccise alcuni manifestanti. Successivamente, fra l'agosto e il settembre del 1953, la notizia di un imminente atto di forza da parte di Tito, obbligava l'allora presidente del Consiglio, Giuseppe Pella, a inviare truppe ai confini, allo scopo di contenere gli jugoslavi pronti a occupare la zona A. Infine, nel novembre del 1953 si ebbero altri incidenti nei quali persero la vita alcuni dei manifestanti. I loro nomi si leggono in varie lapidi, ed è giusto ricordarli in quanto furono gli ultimi martiri caduti per l'unità  nazionale: Saverio Montano, Leonardo Manzi, Francesco Paglia, Pierino Addobbati, Antonio Zavadil, Erminio Bassa.
La rottura di Tito con Stalin e la cacciata della Jugoslavia dal Cominform sovietico affrettarono la tanto agognata riconciliazione che avveniva a Londra il 5 ottobre del 1954. In luogo di De Gasperi, che era morto in agosto a Sella di Valsugana, vi partecipò il nuovo capo del governo, il siciliano Mario Scelba. Con quel trattato si stabilì definitivamente che la zona A, comprendente Trieste e i cinque piccoli comuni limitrofi - Sgònico, Monrupino, San Dorligo, Duino-Aurisina e Muggia - passasse sotto la sovranità  italiana, mentre la zona B - Istria, Fiume e Zara - restasse alla Jugoslavia.
Il 4 novembre del '54 il secondo presidente della Repubblica, il cuneese Luigi Einaudi, si recava nella città  friulana per onorarla con la medaglia d'oro al valor civile con questa motivazione: Trieste, sottoposta a durissima occupazione straniera, subiva con fierezza il martirio delle stragi e delle foibe, non rinunziando a manifestare attivamente il suo attaccamento alla Patria. Nel suo breve di-scorso Einaudi aggiungeva commosso: Voi triestini, per giungere alla meta, avete discusso clausola per clausola, parola per parola, per lunghi mesi l'accordo or ora firmato. Avete difeso metro per metro quel territorio che nella vostra convinzione doveva rimanere unito a Trieste. Consentitemi di congratularmi con voi per aver dato prova di coraggio. Operando così, in silenzio, voi vi siete resi benemeriti della patria italiana.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017