Civita, la storia di un impero editoriale

Giornali, libri, portali internet, televisioni. La holding paulista in poco più di mezzo secolo è diventata un colosso multimediale. Con intellligenza, estro e creatività tutte italiane.
14 Gennaio 2009 | di

San Paolo
Greenwich Village, New York, settembre 1949. La madre legge ai due figli, al loro rientro da scuola, la lettera appena arrivata dal loro padre, assente da casa da un paio di mesi: «Vendi l’appartamento – c’è scritto – e disfati di ciò che non serve; ricordati di fare quella cosa, e non dimenticarti di quell’altra. Poi imballa tutto il resto, e corri qui con i ragazzi». La donna posa sconsolata la lettera sul tavolo, e rivolgendosi a Roberto, 13 anni, e a Richard, 10, dice loro: «vostro padre è impazzito».
Il «pazzo» in questione era il milanese Victor Civita, e la moglie si chiamava Sylvana Alcorso, discendente di un’agiata famiglia romana. I due si erano conosciuti in vacanza al Lido di Venezia, e nel 1935 erano convolati a nozze.
Sia i Civita che gli Alcorso erano famiglie di origine ebrea, e pertanto la giovane coppia dovette affrontare ben presto l’assurda persecuzione razziale messa in atto dal regime fascista, a partire dal tristemente noto «Manifesto della Razza» del 1938. Di fronte all’impossibilità di poter proseguire le attività commerciali e imprenditoriali, ma soprattutto temendo per l’incolumità dei propri cari, Victor decide di andarsene dall’Italia per mettere al sicuro la moglie Sylvana e il piccolo Roberto, nato nel 1936.
Così i Civita si dirigono prima a Londra, dove nasce Richard, e poi in Francia da dove riescono a imbarcarsi per New York a bordo del mitico transatlantico Rex, allora orgoglio della marina italiana dell’epoca. Negli Stati Uniti, Victor trova lavoro presso un’industria grafica dove riesce a far fruttare il suo bagaglio di esperienze professionali al punto da diventare socio di minoranza dell’azienda. Ma nonostante il benessere economico e la buona posizione sociale raggiunti, Victor è assolutamente convinto di non essere ancora arrivato.
Terminata la Seconda Guerra Mondiale, i Civita possono finalmente rientrare in Italia per riabbracciare amici e parenti, e per far conoscere ai due figli la terra delle loro origini. La tanto sospirata occasione arriva con le vacanze estive del 1949. Fra le tante persone incontrate, c’è anche il primogenito dei Civita, César, di ritorno dall’Argentina, dove era riuscito a fuggire negli anni della Guerra. I due fratelli si parlano a lungo delle rispettive esperienze all’estero. A Buenos Aires César, che in Italia aveva lavorato per la Mondadori, era riuscito a mettere in piedi una piccola casa editrice che gli stava dando delle discrete soddisfazioni, anche se negli ultimi tempi l’esplosione del peronismo gli stava creando non poche perplessità.
Alla fine di quel periodo di vacanza, Victor decide di andare a trovare il fratello in Sud America, tanto per rendersi conto di che aria tirava. Dopo essere stato a Buenos Aires, s’imbarca per Rio de Janeiro, allora capitale del Brasile. Pur essendo rimasto affascinato dalla bellezza della città, con le sue spiagge, i palazzi storici, la fervida vita culturale, il bel mondo che vi soggiornava, è quando arriva a San Paolo che quel visionario milanese di 42 anni comprende di essere arrivato a destinazione. Il suo infallibile fiuto per gli affari gli suggerisce che quella – e non Rio – sarà la città destinata a diventare la capitale economica dell’intero continente. È proprio da San Paolo che Victor, senza alcun indugio, decide di spedire quella perentoria lettera a New York, indirizzata alla moglie.
Un ufficio nel centro della città, una segretaria, un numero di telefono e la grande avventura ha inizio. Con un buon capitale in mano, Civita fonda una casa editrice – la Editora Abril – in società con il Gruppo Smith de Vasconcelos, e con Gordiano Rossi, figlio di emigrati italiani in Brasile. Come aveva fatto anni prima il fratello César in Argentina, anche Victor inizia la sua carriera da editore pubblicando una versione brasiliana del giornalino per bambini Pato Donald (il nostro Paperino), grazie a un accordo con la Disney. Il successo è immediato. Anche se non si è mai occupato di editoria, Civita si muove nell’ambiente come un esperto imprenditore del ramo. Ogni mattina va in Piazza Antônio Prado, dove si davano appuntamento i giornalai per rifornirsi di quotidiani e riviste, per raccomandare a ognuno di loro di mettere ben in vista sugli scaffali il suo Pato Donald. Nel 1951 crea il suo primo laboratorio tipografico, e nel Natale di quell’anno porta in regalo ai dodici dipendenti, ai quali ogni sabato consegnava personalmente la paga, un panettone e una bottiglia di Cinzano. San Paolo come Milano.
A casa, nel frattempo, la moglie Sylvana cresceva Roberto e Richard parlando esclusivamente in italiano. «In questa casa si parla solo italiano – era solita dire ai due ragazzi che tendevano a esprimersi in inglese –, e se non mi parlate in italiano, io non vi sto neanche ad ascoltare».
Anche nel lavoro, l’Italia era vista come un costante punto di riferimento. I maggiori successi editoriali della Abril di quei primi anni – i fotoromanzi e le enciclopedie a fascicoli – sono, infatti, presi a prestito dal nostro Paese, grazie ad accordi con importanti editori come il Gruppo Fabbri. Riferendosi a quei primi tempi da pioniere – anni più tardi – Victor Civita era solito ricordare: «Mi avevano detto che in Brasile la gente non leggeva, e che pertanto non sarebbe stato prudente mettere in piedi una casa editrice. Il fatto è che in Brasile non c’era niente da leggere, tutto qui».
Con il passare degli anni, le iniziative editoriali del Grupo Abril si moltiplicano seguendo passo dopo passo (e molte volte anticipandolo) il progresso economico e sociale del grande Paese sudamericano. Così negli anni Sessanta nasce Quatro Rodas, giornale dedicato ai motori, e nella stessa decade riscuote un enorme successo la testata Claudia: la prima rivista brasiliana dedicata alle donne. Poi fu la volta di Veja, nata nel 1968, e di Exame, il settimanale dedicato al mondo degli affari, insieme ad altre decine di pubblicazioni per bambini e adolescenti, per il tempo libero, la moda, lo sport.
Oggi la Abril, guidata da Roberto Civita (il fratello Richard si occupa di altre attività del Gruppo), è uno dei colossi mondiali dell’informazione occupando 8 mila dipendenti che danno vita a oltre 300 testate stampate in 300 milioni di copie ogni anno. Ben sette, delle dieci riviste più lette in Brasile, sono marcate Abril. La rivista di punta, Veja, è il quarto settimanale di informazione più diffuso del mondo (i primi tre sono statunitensi).
Oltre che nell’editoria, il Grupo Abril è attivo nell’informazione multimediale: ha più di 70 portali Internet che generano ogni mese 100 milioni di page views), nella televisione (con i canali MTV Brasil e TVA), nella distribuzione e, naturalmente, nell’industria tipografica. Attraverso le case editrici Ática e Scipione, il Gruppo è molto attivo anche nel settore dei libri scolastici, con un catalogo di 4 mila titoli, e vendite per 40 milioni di libri l’anno. Victor e Sylvana Civita si spensero a una settimana di distanza l’uno dall’altra. Fu la moglie ad ammalarsi gravemente per prima, fino a cadere in uno stato di coma. Nonostante la grande apprensione, Victor continuò a lavorare indefessamente fino al 24 agosto 1990 quando, rientrato a casa per il pranzo, fu colpito inesorabilmente da un attacco cardiaco.
La mattina di quello stesso giorno, inaspettatamente, Sylvana era uscita dal coma parlando a lungo con il figlio Richard, accorso al suo capezzale, per poi rientrare in un sonno profondo. Poco dopo la mezzanotte di quel tragico giorno, Richard tornò a far visita alla mamma, che sembrava dormire placidamente, e le sussurrò all’orecchio in italiano, come avrebbe voluto lei: «Probabilmente tu sai già che papà è morto, ma non devi preoccuparti, perché fra poco sarete di nuovo insieme». E congedandosi: «Ciao, bella mamma». Una settimana più tardi spirava anche Sylvana. Dio fa delle cose straordinarie – dirà qualche giorno più tardi Richard, educato alla religione cattolica nonostante le origini ebree. Lui sapeva che mio padre non avrebbe potuto vivere nemmeno un giorno senza la mamma».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017