In classe con il bullo
«Elementari e medie, furono anni difficilissimi per me: emarginazione, offese verbali, maltrattamenti, discriminazioni anche di tipo “razziale” (ho la mamma di origini meridionali), un clima di gelo e chiusura intorno a me. Io, bambino timido e riservato, mi chiusi sempre più in me stesso. Cominciai a manifestare ossessioni, quelle ossessioni che ormai dominano la mia vita di ragazzo venticinquenne. Alle medie un solo bullo, con l’appoggio più o meno diretto di altri compagni di classe, mi tormentò per due anni. Mi sentivo sempre in costante pericolo, era un’angoscia andare a scuola. Toccavano le mie cose, le sporcavano, le nascondevano, le maltrattavano, e lo stesso facevano con me... Ero esasperato. Umiliato. I professori non si schieravano mai dalla mia parte, per non aver contro “loro”. Nessuno mi difendeva, e io non riuscivo a difendermi. A distanza di molti anni, psicologicamente parlando, le mie condizioni sono pessime. La nevrosi si è presa la mia vita. Chi devo ringraziare per questo?».
Episodi come quello appena descritto (tratto dal sito www.bullismo.com) sono rimbalzati a decine sulle pagine dei giornali negli ultimi mesi. In particolare da quando sulla stampa è comparsa la notizia di un pestaggio scioccante – effettuato da un gruppetto di adolescenti smargiassi ai danni di un compagno di classe disabile – filmato con un videotelefonino e scaricato sulle pagine di Google, uno dei maggiori motori di ricerca mondiali.
La violenza di un ragazzo (il «bullo») nei confronti di un altro in genere più debole (la «vittima») ha un nome ben preciso: bullismo – dall’inglese bullying – termine che indica l’azione di uno spaccone, un bravaccio, ai danni di un individuo più debole, soprattutto in ambito scolastico.
L’abc del bullismo
Ma cominciamo dall’inizio. Al di là delle definizioni semplicistiche, che cos’è il bullismo? «È un’interazione sbagliata, cioè un rapporto che si snoda in maniera errata, tra due persone: il bullo da un lato e la vittima dall’altro – spiega Ada Fonzi, professore emerito di Psicologia dello sviluppo all’Università di Firenze, direttrice della rivista “Psicologia contemporanea” e autrice dei primi studi sul bullismo in Italia –. Il bullismo, per essere definito tale, deve presentare tre caratteristiche precise: l’intenzionalità, la persistenza e lo squilibrio di potere. Vale a dire che deve essere un’azione fatta intenzionalmente per provocare un danno alla vittima; ripetuta nei confronti di un particolare compagno; caratterizzata da uno squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi subisce». Il fenomeno sta assumendo dimensioni preoccupanti. «I dati – informano Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola, sociologi e autori, tra l’altro, di un testo sui linguaggi giovanili di prossima pubblicazione con l’editore San Paolo – dicono che il bullismo è dilagante negli Stati Uniti e in continua crescita in tutta Europa, in particolare nel nostro Paese. Alcune indagini attestano che già alle elementari il 41 per cento dei bambini ne è stato vittima almeno una volta, mentre alle medie la percentuale scende al 36 per cento. Rispetto all’età, comunque, il bullismo risulta in crescita tra i 6 e i 12 anni».
Secondo un’altra recente indagine presentata dalla Società italiana di pediatria, quasi 8 ragazzi su 10 delle scuole medie hanno conosciuto atti di bullismo, con un aumento del fenomeno di circa il 5 per cento rispetto al 2005. Dallo studio, effettuato su 1.200 studenti tra i 12 e i 14 anni, è emerso pure che sono più i ragazzi delle ragazze ad assistere ad atti di bullismo (77 contro 68 per cento), senza differenze significative tra Nord e Sud Italia.
Il bullismo può avere facce diverse. «C’è il bullismo fisico (schiaffi, pugni, spinte ecc.) – precisa Ada Fonzi – e quello verbale (dalla canzonatura allo sberleffo all’ingiuria); quello diretto (la vittima viene picchiata o oltraggiata apertamente) e quello indiretto (la vittima viene isolata ed esclusa da attività comuni, spargendo dicerie sul suo conto). E c’è pure una forma più maschile, fatta in prevalenza di atteggiamenti violenti o di aperta derisione, e una più femminile, contraddistinta dal pettegolezzo e dall’esclusione».
In Italia studi in ritardo
«Di bullismo in Italia si parla da poco più di dieci anni – sottolinea ancora Fonzi – sia per la scarsa attenzione finora riservata dai media al fenomeno, sia per il carattere italiano stesso, che ha sempre accettato un certo tipo di bullismo verbale (la presa in giro, l’ingiuria un po’ bonaria...), in realtà molto dannoso se rivolto a un ragazzino». Un tempo breve, quindi, anche per valutarne gli effetti a lungo termine. «In tal senso – prosegue Fonzi – ci aiutano altri studi a livello europeo, norvegese soprattutto, i quali affermano che il fenomeno tende a persistere nel tempo. Bulli e vittime restano spesso imprigionati nei loro ruoli, ripetendo un copione che tende ad autoperpetuarsi: le vittime continuano a soccombere e i bulli a sopraffare. Ma si è anche visto che, a distanza di 20-30 anni, il bullo spesso è diventato un asociale, che non di rado ha vere e proprie manifestazioni di delinquenza. Così come la vittima persistente, oltre a sviluppare atteggiamenti di scarsa autostima, può arrivare a veri e propri casi di depressione e, in situazioni estreme, al suicidio».
Il bullo non agisce mai da solo: ama circondarsi da gruppetti più o meno numerosi di «gregari» adoranti. «Il fenomeno bullismo – ricordano infatti Danese e Di Nicola – ruota attorno a due elementi: il bullo (lo smargiasso) e un gruppo di ragazzi consenzienti che, se anche non agiscono direttamente in modo violento sulla vittima, comunque stanno al gioco del bullo e si divertono (o, per paura, fanno finta di farlo) delle violenze verbali, fisiche e psicologiche che egli esercita sulla vittima».
Lo smargiasso, infatti, in genere ha un forte ascendente sui compagni; è un leader, ma negativo. «Sono bulli i ragazzini (e le ragazzine!) – sostengono ancora Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola – che hanno bisogno di sentirsi importanti, riconosciuti, di ricoprire un ruolo da leader all’interno del gruppo, utilizzando unicamente la propria forza fisica o la violenza per imporsi e affermarsi sugli altri. Ragazzini che nascondono la loro fragilità sotto un’apparente forza. Adolescenti abulici, annoiati, desiderosi del “tutto e subito”, alla ricerca disperata di stimoli intensi, di sensazioni forti. Attratti dal rischio, privi di controllo degli impulsi, incapaci di assumersi responsabilità. Talora comunicano con difficoltà e non riescono a stabilire relazioni affettive».
Anche Ada Fonzi indica tra le varie cause del bullismo alcune caratteristiche legate alla personalità: «Il bullo, oltre a essere in genere un bambino irritabile, aggressivo e reattivo, con irrequietezza motoria, presenta soprattutto un tasso di disimpegno morale maggiore degli altri. Vale a dire che esso tende a “deumanizzare” l’altro, a trattarlo come una cosa. Talvolta utilizza anche strategie a dir poco “machiavelliche”: in una trasmissione televisiva di alcuni anni fa, per esempio, un adulto ex ragazzo bullo aveva confessato di essere arrivato a ferirsi da solo per poter giustificare il suo comportamento aggressivo nei confronti degli altri. Ma anche la vittima presenta di solito elementi caratteriali ben precisi: è in genere un bambino chiuso in se stesso, timido, qualche volta più debole fisicamente, più piccolo, spesso ha pure una famiglia molto coesa al suo interno ma al contempo un po’ chiusa verso l’esterno».
Le cause del bullismo non si limitano però alle sole componenti caratteriali. Come ogni altro fenomeno complesso, infatti, nel bullismo è possibile reperire una concausalità di fattori. «In passato, per esempio – specifica Fonzi – si pensava ci fosse un legame stretto tra bullismo e miseria. Basti pensare al ritratto di Franti che De Amicis tratteggia nel libro Cuore nel lontano 1886: Franti mette quasi ribrezzo, ha «le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle». Rappresenta una sorta di ancoraggio a una situazione di degrado economico e sociale che, nella negatività, porta però in sé anche elementi di speranza in un cambiamento. Oggi non è più così. Secondo alcune ricerche italiane, pare che a influire sull’ampiezza del fenomeno attualmente sia più “l’ambiente ecologico”, vale a dire il quartiere e la zona della città in cui i ragazzi vivono. Oppure il contesto familiare: altri studi, infatti, sostengono che atteggiamenti eccessivamente permissivi o, al contrario, troppo autoritari, aprirebbero la strada alla violenza. E poi, forse, anche un certo clima nell’ambiente scolastico parrebbe poter favorire la nascita di episodi di bullismo: per esempio, in presenza di un indebolimento del controllo o delle inibizioni nei confronti delle tendenze aggressive».
L’atmosfera che si «respira» nell’ambiente scolastico è, comunque, molto importante. «Il bullismo non è presente in tutte le classi – pone in evidenza Ada Fonzi –. È infatti provato che se nella scuola gli adulti riescono a creare un clima di consapevolezza che favorisca la realizzazione di ciascun individuo, il “bullo” non avvertirà così forte l’esigenza di mettersi in risalto con atteggiamenti negativi: egli, infatti, capirà che può essere ugualmente degno di stima e attenzione anche utilizzando percorsi alternativi rispetto alla sopraffazione. È importante che tutti i membri della scuola siano coinvolti: insegnanti, personale ausiliare, operatori. Perché se alcune volte bisogna reprimere atteggiamenti di bullismo, è ancor più necessario svolgere un’azione preventiva».
Ma anche nell’ambiente familiare in genere è possibile fare molto affinché non si creino atteggiamenti «bullisti».
«I genitori possono – come sostengono Danese e Di Nicola – evitare che i figli s’intrattengano con videogiochi violenti; possono commentare insieme ai figli un film, un fatto di cronaca, il comportamento di un compagno, mostrandone le cause e le conseguenze; possono educare al rispetto per gli altri, proporre letture che puntano più sulle storie di vita e sulla fantasia che sulla violenza; possono aiutare i figli a riflettere sulle conseguenze e sulla possibilità di trovarsi essi stessi di fronte a ragazzi più grandi e prepotenti, responsabilizzandoli così nella solidarietà prudente e presente verso le vittime». E se ci si accorge che un figlio è già bullo o vittima? «Nel primo caso va orientato verso diverse forme di sfogo – concludono Danese e Di Nicola – come le arti marziali o lo sport competitivo, in modo da fargli esercitare la forza secondo regole condivise e rispettate. Se ne è vittima, invece, dopo averne parlato ampiamente con lui (cosa assai difficile, perché la “vittima” tende a chiudersi in se stessa) i genitori devono “lavorare” sul proprio figlio affinché incrementi l’autostima e la fiducia in se stesso, eventualmente anche affiancando e rinforzando l’intervento con la presenza di qualche compagno affidabile».
Zoom. Bullismo: che fare?
Che cosa puoi fare se sei vittima di un bullo
- Non reagire mai alle provocazioni del bullo, e non sottostare alle sue eventuali prepotenze o richieste. La cosa che lui più desidera è vedere la propria vittima umiliata, arrabbiata e/o in lacrime. La cosa migliore di fronte alle provocazioni è stare in silenzio, non rispondere e andarsene via.
- Se non vuoi assumere un atteggiamento così passivo, con fermezza guarda negli occhi la persona che ti sta provocando e, senza mai usare le mani, la violenza o la prepotenza, incitala a fermare immediatamente le sue provocazioni nei tuoi confronti. Comunicale che se la cosa va avanti, andrai a segnalare tutto quanto al preside della tua scuola. Verifica, inoltre, con il docente referente per l’educazione alla salute, che la scuola disponga di un protocollo di intervento per gli episodi di bullismo.
- Un’altra buona modalità di gestione della relazione con il bullo è quella di spiazzarlo, dicendogli: «Sono disposto a discutere con te, ma non ho alcuna intenzione di combattere o fare la lotta. Perciò calmati e vediamo di parlarne». Spesso un approccio di questo tipo è in grado di congelare la voglia di violenza del bullo che andrà alla ricerca di un’eventuale altra vittima.
- Cerca di avere sempre buoni amici e chiedi il loro aiuto se un bullo vuole farti del male o ti prende in giro. La vera forza del bullo sta nel riscontrare la totale assenza di sostegno intorno alla vittima.
- Infine, ricorda: l’alleanza e la solidarietà del gruppo allargato alla vittima e la riprovazione nei confronti del bullo faranno sentire quest’ultimo solo e isolato e lo obbligheranno a cambiare le modalità che utilizza per farsi notare dagli amici.
Che cosa devi fare se un tuo amico è vittima di un bullo
- Se assisti a episodi di bullismo, non stare mai dalla parte del più forte.
- Se ti sembra che qualcuno venga denigrato o umiliato per il suo aspetto, presunta debolezza o perché apparentemente rappresenta elementi di diversità (colore della pelle, nazionalità diversa, orientamento sessuale), è tuo dovere aiutarlo e sensibilizzare tutto il gruppo dei tuoi amici.
- Infine, impara sempre a parlare con gli adulti che rivestono un ruolo autorevole all’interno della tua scuola o comunità. Solo loro, utilizzando norme e regole precise, possono instaurare un clima di legalità e ordine, che il gruppo allargato potrà poi scegliere di adottare per il bene comune e al quale tutti dovranno adattarsi e ispirarsi, bullo compreso.
(tratto da A. Pellai, B. Tamborini, L’adolescenza. Le sfide del diventare grande, Mc Graw Hill, Milano 2003).
L’esperienza. Belluno: in rete contro il bullismo
Un progetto pilota per la lotta al bullismo. Lo ha realizzato l’Ufficio scolastico provinciale di Belluno, in stretta collaborazione con provincia e istituzioni del territorio. «La novità assoluta di questo progetto – spiega Michela Possamai, dell’Ufficio scolastico provinciale – è l’azione di rete che ha visto coinvolti in ambiti diversi ma comunque con continui rimandi, e soprattutto in fase progettuale, il nostro ufficio, la procura e la prefettura di Belluno, la provincia, le forze dell’ordine e anche le due Asl del territorio».
Il progetto, che inquadra il bullismo nell’ambito più ampio del disagio scolastico, ha portato alla creazione di due siti internet, uno della prefettura (http://bullismo.e-belluno.net) e uno dell’ufficio scolastico (www.istruzionebelluno.it) e di uno «sportello di ascolto» raggiungibile via telefono, e-mail e a breve anche via sms.
Ma in pratica come funziona il progetto? «Un ragazzo che ritiene di essere vittima o ha assistito a episodi di bullismo – prosegue Possamai –, può rivolgersi allo sportello segnalando l’evento. Noi ascoltiamo e contattiamo le istituzioni preposte che intervengono in accordo con il dirigente e i docenti».
Ma l’Ufficio, coordinato dal dottor Domenico Martino, svolge anche un’azione di prevenzione. «Organizziamo, sempre in accordo con gli altri elementi della rete – conclude Possamai – seminari per dirigenti scolastici e corsi di formazione per docenti, sia per spiegare loro quali sono le responsabilità in caso di episodi di bullismo sia per fornire le giuste chiavi interpretative del fenomeno in modo tale che sappiano intervenire nel momento di necessità».
Il progetto, che è partito lo scorso gennaio, fa seguito a un’altra iniziativa (avviata un paio d’anni fa, sempre dall’Ufficio scolastico provinciale, provincia, Dolomiti bus e consulta provinciale degli studenti) per la sicurezza sui mezzi pubblici, all’interno della quale figurava anche la lotta al bullismo.
Notes. Uscirne con un sito
Un’associazione, SOS Bullismo, e un sito, www.bullismo.com. Li ha creati Marco Cappelletti, un giovane di 21 anni che è stato in passato vittima di episodi di bullismo e, dopo esserne uscito, ha deciso di fare qualcosa per aiutare i ragazzi che, come lui, vengono quotidianamente picchiati, offesi, ricattati o oltraggiati da gruppi più o meno numerosi di smargiassi.
Sul sito è possibile leggere storie, molto spesso dram-ma-ti-che, raccontate in prima persona dalle vittime; si può approfondire il tema del bullismo anche attraverso l’ampia bibliografia suggerita. Inoltre, sulle medesime pagine web vengono offerte anche chiavi interpretative del fenomeno e, soprattutto, utili consigli sul come uscire da una situazione di bullismo.
Perché, come recita il messaggio di benvenuto che campeggia sulla homepage del sito: «Nella vita ci sono momenti in cui ti senti con le mani legate… questo sito per farti capire che puoi ancora fare molto!».