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Ligure, ha visitato più di 90 Paesi del mondo. Gli ultimi all’inizio di quest’anno: Cuba, Jamaica e Repubblica Dominicana, documentando ovunque popoli e paesaggi.

Melbourne
La sua è una passione per la fotografia, più che un hobby. Un'esigenza profonda dell'animo, una risposta a quell'aspirazione di internazionalità  che lo accompagna fin dai banchi di scuola. Giuliano Breschi nasce a Sestri Levante, in Liguria, da genitori toscani. Il paese si affaccia sul mare e ogni ragazzo di Sestri sogna Paesi lontani, avventure e conquiste. Giuliano riceve in regalo la prima macchina fotografica nel 1942. Quel «giocattolo» lo accompagna alla scoperta del mondo.
Per completare gli studi, all'età  di 23 anni, emigra in Belgio, da dove riesce, nei ritagli di tempo, a compiere delle spedizioni fotografiche in Olanda, Lussemburgo, Germania, Francia, Svizzera. Nel 1954 parte per il Congo Belga alle dipendenze della ditta di costruzioni SAMCA, con un contratto di 3 anni. Breschi rientra in Italia al termine del contratto e, come molti, inspiegabilmente, non si trova a proprio agio. Il richiamo di Paesi lontani lo invoglia a partire per l'Australia, dove arriva nel 1958 e viene subito assunto come ingegnere civile dalle Ferrovie dello Stato del Victoria. Dopo 3 anni passa alla «Civil & Civic», compagnia di costruzioni stradali, poi alla «Dilligham Construction» come ingegnere, progettista capo e direttore nazionale. Nel 1971 fonda la propria ditta di costruzioni. L'uomo d'affari documenta gli anni di lavoro, le costruzioni e gli uomini, con la fotografia. Un giorno ne nascerà  una mostra, ad arricchire le testimonianze di sviluppo dovute agli italiani nel mondo.

 Filantropo giramondo

La carriera professionale di Giuliano Breschi ha avuto tre cardini: l'amore per le costruzioni, il desiderio di indipendenza, la possibilità  di viaggiare e visitare il mondo. Dal 1975 in poi rallenta gli impegni di lavoro appunto per soddisfare la passione di viaggiare e fotografare Paesi e popoli in tutti i continenti.
È Giuliano stesso a raccontare questo suo grande interesse per la fotografia: «Mi è sempre piaciuto visitare posti nuovi, vedere Paesi e conoscere gente di altre razze e documentare con la fotografia le nuove conoscenze acquisite. Ho visitato tutti i continenti compresi il Circolo Artico e l'Antartide: ne conservo una documentazione di circa 18.000 fotografie e 3.000 diapositive. Io stesso sviluppo le pellicole, e le foto più significative le ingrandisco, le catalogo e le conservo in volumi».
Come ti prepari ad affrontare un viaggio in un Paese lontano e sperduto? «Per valutare e apprezzare le realtà  nuove mi sento in obbligo di informarmi su usi e costumi, storia e religione, cultura e tradizioni dei Paesi che visito. Voglio capire il perché di certi modi di fare. E quando arrivo a destinazione mi mescolo con gli indigeni, mangio alla loro mensa, visito anche le loro case. Solo così riesco a penetrare l'animo del Paese. Ad esempio se non si conoscono le radici 'religiose' del popolo tibetano e cinese non si capisce perché il primo è intensamente religioso, direi mistico (pratica il buddismo), mentre i cinesi sono materialisti e pragmatici. Il paesaggio e la gente che io fotografo non rispondono necessariamente agli schemi fissi delle agenzie turistiche o ai libri di geografia. Fotografo da un'angolatura di vita vera, nell'ambiente il più vicino possibile al lavoro e alla famiglia. Anche tecnicamente: senza luce artificiale, pose, preavviso. Per questo alcune mie fotografie sono un agghiacciante testimonianza di sofferenza umana, sfruttamento di minori, razzismo. Ho immagini di persone che potrebbero rappresentare un intero popolo e una cultura: volti di bimbi del Perù, donne dell'Africa, danzatrici delle Isole del Pacifico, guerriglieri della Nuova Caledonia. A volte non ho resistito, come a Calcutta, alla visione straziante di orde di poveri e invalidi, vittime di un razzismo culturale e religioso impressionante».
Breschi ha potuto confrontare le varietà  paesaggistiche del nostro pianeta: «Credo che l'Africa sia il continente più bello. Si passa dai deserti della Namibia alle foreste del Congo, dalle savane del Kenya alle montagne del Ruenzori e del Kilimangiaro: una bellezza paradisiaca sullo sfondo di elefanti e giraffe. Quando parliamo di arte e architettura, paesaggi suggestivi racchiusi in una spazio limitato, penso che l'Italia sia unica al mondo, con la magia delle Dolomiti e della Costa Amalfitana, i villaggi della Toscana, dell'Umbria e delle Marche, Alberobello e Ostuni in Puglia, Taormina in Sicilia. E quando mi si chiede quali sono le due città  più belle del mondo, non ho dubbi: Firenze e Venezia. La prima è uno scrigno di tesori di architettura, la seconda è unica nel suo genere per la signorilità  dei palazzi e la caratteristica delle fondamenta».

Il mito e il mistero

Un fotografo come Breschi, con una cultura umanistica e ingegneristica, non può fare a meno di andare a «caccia» di reperti archeologici e simboli del passato. «Ho visto tutte le cosiddette meraviglie del mondo, quello antico e quello moderno. Da un punto di vista artistico sono rimasto colpito dal Taj Mahal di Agra, in India, il sacrario dell'amore costruito da un principe indiano nel 1600 per custodire le spoglie mortali della moglie. Vi lavorarono 20.000 persone per 25 anni alle dipendenze dei migliori architetti dell'Asia e del Medio Oriente. È costruito tutto in marmo bianco intarsiato con pietre preziose. In altri casi ci imbattiamo nell'incomprensibile, nel mistero vero e proprio. Parlo ad esempio di un obelisco in granito monolitico che ho visto a Luxor in Egitto. Enorme, a forma di piramide e ' ultimo metro a punta, tutto finemente levigato. Come avranno fatto a portarlo dalle cave di Assuan a Luxor e poi a innalzarlo? E penso a Machu-Picchu, la città  fortezza degli Incas nel cuore delle Ande in Perù, con un assetto urbanistico strano e sistemi di coltivazione e irrigazione elaboratissimi. Più ancora penso ai Maya del Centro America che non conoscevano la ruota e la bilancia ma avevano sondato le profondità  del tempo e dello spazio astronomico. Il mistero si fa più fitto. In una stele di Quirigà  si leggono conteggi impeccabili relativi alle posizioni astronomiche giornaliere e mensili di un periodo di 400 milioni di anni. La scienza moderna conferma l'esattezza dei calcoli».
Al fotografo sensibile e attento viene concesso il privilegio di cogliere la bellezza o la drammaticità  di istanti unici, irripetibili dell'evoluzione cosmica, e delle emozioni dell'uomo nelle punte più alte di gioia e dolore. Certe combinazioni di colore e luce su un paesaggio del Tibet o nelle foreste dell'Amazzonia si verificano in una frazione di secondo, che solo l'obiettivo del fotografo può fermare per sempre. Breschi conosce questo particolare dell'arte fotografica; sa essere un grande camminatore per trovarsi al punto giusto all'alba o al tramonto o al passaggio di uno stormo di uccelli; sa sfidare le altitudini e le temperature torride; si affida a piccoli aerei che volano a bassa quota o a imbarcazioni di fortuna. In questo avvincente giro intorno al mondo quasi sempre gli è compagna, consigliera e guida la moglie, anche lei avida di sapere e particolarmente interessata all'artigianato dei gruppi etnici minori.
Un saggio del grande patrimonio fotografico, Breschi lo ha offerto alla comunità  nell'agosto scorso con una mostra nei locali del Co.As.It. di Melbourne dal titolo How I Saw The World - Come ho visto il mondo. Altre mostre gli sono state richieste, anche a scopo educativo per le scuole. I ragazzi d'oggi hanno bisogno di vedere le bellezze del mondo per imparare a rispettarlo e amarlo. E Giuliano Breschi avrebbe un messaggio da comunicare: meglio vedere, guardare, conoscere, ammirare il nostro pianeta Terra, piuttosto che sfruttarlo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017