A colloquio con il presidente dell’Azione cattolica. L’Ac rilancia
Le foto dei papi sono tute lì. Anche la bandiera storica di un Anno Santo è ancora in bella mostra. Eppure al secondo piano del palazzo di via della Conciliazione, nell'ufficio del presidente nazionale dell'Azione cattolica italiana, due particolari indicano che qualcosa è cambiato: un mazzo di fiori sulla scrivania e una stampa di Rembrandt alla parete: è il Figliol prodigo, il quadro in cui il vecchio padre che abbraccia il giovane in ginocchio ha una mano maschile e una femminile, materna.
«Sì, in fondo c'è un legame tra i fiori e questo quadro che esprime la misericordia, l'accoglienza, la tenerezza, insomma l'esperienza della fede che rigenera completamente la persona», dice Paola Bignardi. Cremonese, ha compiuto cinquant'anni il 22 gennaio: il giorno prima la Conferenza episcopale italiana le aveva comunicato la sua nomina a presidente nazionale dell'Ac. Una scelta che ha suscitato la curiosità della stampa, non senza ragioni. Per la prima volta nella vita dell'associazione, in cui peraltro la componente femminile è sempre stata maggioritaria, la carica più importante va a una donna. C'è poi la professione della neopresidente: dopo professori e avvocati, è stata scelta una persona impegnata nel mondo della solidarietà sociale. Laureata in pedagogia, pur senza aver mai abbandonato l'associazione dove è stata anche vicepresidente nazionale degli adulti tra il '77 e l'83, nella sua città la Bignardi si occupa della formazione degli operatori di una comunità che lavora sul disagio minorile ed è responsabile di una casa di accoglienza per donne in difficoltà .
Non è strano, allora, iniziare l'intervista partendo dai cambiamenti avvenuti nella stanza che per sei anni ha ospitato l'avvocato bolognese Giuseppe Gervasio. «I fiori li ho voluti subito, poi è arrivato il quadro: in fondo c'è un rapporto tra la gratuità della misericordia e quel vaso di rose. Sono entrambi una memoria di quelle dimensioni della vita che non sono pragmatiche, ma hanno dei significati che fanno vivere. E voglio che questi due segni mi accompagnino».
Msa. Quali saranno le parole chiave della «sua» Azione cattolica?
Bignardi. La prima è laicità . Auspico un'Azione cattolica che sia capace di vivere in sintonia con i problemi di oggi, stimolata positivamente dal tempo che ci è dato di vivere e quindi vicina, con un senso di partecipazione e di responsabilità , alla vita di tutti. La seconda parola chiave è cultura: la capacità , cioè, di elaborare i problemi a partire dalle dimensioni fondamentali della vita, quelle che toccano l'esistenza di tutti e sulle quali tutti ci poniamo delle domande di senso. In questo momento credenti e non credenti si trovano davanti a domande che non sono quelle radicali, ma piuttosto vertono sul senso del lavorare, dello stabilire relazioni con gli altri, del mettere su famiglia... insomma, le cose concrete che viviamo ogni giorno. Parlare di cultura significa parlare dell'impegno di rendere consapevoli queste dimensioni e queste domande e cercare le parole per dare un nome alle esperienze che viviamo.
La terza parola credo debba essere solidarietà , e intendo la percezione responsabile dei nostri legami con gli altri. Dentro la solidarietà metto ad esempio il desiderio di andare verso gli altri, di conoscere, di comunicare e al tempo stesso l'impegno a sentirsi partecipi del bene comune, soprattutto delle persone più deboli. Si tratta di rendere questo quasi come un punto di vista, un domandarsi com'è la vita letta con gli occhi delle persone più deboli. Credo che sia un esercizio necessario a un laico cristiano se vuole essere testimone anche di una sensibilità alternativa.
nfine, l'ultima parola è formazione: è l'esperienza che consente anche le altre, è il percorso che dà identità cristiana, ma anche laicale alla nostra esperienza. Queste sono le parole chiavi dell'Ac che devono essere visibili nell'esperienza associativa, ma soprattutto devono essere vere con le persone.
Dagli obiettivi generali ai progetti. Avete già definito delle iniziative per trasformare queste parole nella vita dell'Ac?
Più che delle iniziative abbiamo individuato delle linee di lavoro. Partiamo da una cura della vita associativa: siamo a trent'anni dall'entrata in vigore dello statuto conciliare, per questo cercheremo di realizzare qualche iniziativa nazionale per l'approfondimento della dimensione conciliare dell'associazione. Poi ci dedicheremo al piano formativo, sia attraverso una riproposta di scuole associative nazionali, sia attraverso la cura dei presidenti parrocchiali che sono figure chiave della vita associativa, i responsabili ultimi dell'Ac, quelli più vicini alla vita delle persone.
Questo è il triennio che ha al centro il Giubileo. Stiamo pensando a una serie di iniziative che ci facciano vivere l'esperienza giubilare non come momento straordinario, ma piuttosto nella dimensione della conversione. Sia quindi un rinnovamento dell'associazione, sia un rinnovamento dei percorsi di fede perché sicuramente questo è il nodo oggi, anche per i credenti. E poi siccome il giubileo secondo la tradizione ebraica è il tempo in cui finivano i rapporti di schiavitù, si rimettevano i debiti, pensiamo di realizzare delle iniziative di solidarietà nei confronti degli stranieri, che sono tra i più poveri della nostra società . Inviteremo le associazioni parrocchiali e diocesane a farsi carico della possibilità per una famiglia di stranieri di una casa. È una proposta che pensiamo di fare anche per i profughi del Kosovo. Quelli che desiderano restare nella loro terra siano aiutati a rifarsi un futuro e una casa là .
Siamo in una stagione particolare nella vita della Chiesa. Qual è oggi il ruolo dell'Ac?
Deve tenere conto della situazione di pluralismo e deve precisare in maniera sempre più completa il suo progetto e la sua identità . Credo che quello che l'Ac può dare oggi alla Chiesa sia soprattutto l'espressione della sua laicità , cioè della sua fede vissuta in maniera radicale nell'adesione al signore Gesù, però giocata nelle situazioni concrete della vita. La laicità vissuta intensamente da tutta l'associazione diventa segno della laicità della Chiesa.
Vivere la propria laicità significa anche dover affrontare la dimensio-ne di conflitto all'interno della Chiesa?
È un problema che si determina laddove la comunità cristiana fa particolare fatica a vivere la sua laicità e la sua tensione verso il mondo. Dove la comunità cristiana tende a chiudersi è chiaro che la presenza dell'Azione cattolica, vissuta realmente, è più faticosa e conflittuale, proprio perché la laicità è apertura, è andare verso il mondo, è condivisione. Dove la comunità non sente queste dimensioni o le sente come iniziative interne, invece che nella logica di quel perdersi che è evangelico, la vita per l'Ac è molto difficile. Ciò non toglie che questo è il nostro compito.
Il linguaggio della vita di tutti i giorni, di cui lei parla, può essere quello della Chiesa?
Oltre a essere una persona dell'Ac, faccio un'esperienza di vita che per forza mi costringe a parlare un linguaggio concreto, più semplice, più immediato, sintetico. Questa è la condizione, diversamente non comunicherei nel mio lavoro. Mi rendo conto che a volte nella comunità cristiana ci sono problemi di linguaggio legati a un rapporto che si sfoca troppo rispetto alla vita. C'è una fecondità per la comunità che nasce dal suo legame con la vita che andrebbe ripensato.
MEZZO MILIONE DI ISCRITTI
All Azione cattolica italiana aderiscono circa 500 mila persone, divise in ottomila parrocchie. Il socio rinnova la propria adesione ogni anno e ogni tre anni elegge i responsabili che lo rappresentano ai vari livelli (parrocchiale, diocesano, regionale, nazionale). La struttura dell'associazione, a ogni livello, prevede un presidente, due vicepresidenti (un uomo e una donna) per il settore «adulti» (dai 30 anni in su), due vicepresidenti per il settore «giovani» (dai 15 ai 29 anni), un responsabile per i «ragazzi» (dai 6 ai 14 anni). Ai due settori fanno capo il movimento studenti e quello lavoratori. |