Come trasformati dalla gioia
«La risurrezione di Cristo è raffigurata nell’olio, che galleggia sopra tutti i liquidi. Il gaudio provato dagli apostoli alla risurrezione di Cristo superò ogni altro gaudio da loro sperimentato…». (Sant’Antonio, La resurrezione del Signore)
21 Marzo 2014
|
«Padri cari, sorridete un po’… è Pasqua!». Si rientrava in lunga fila in sacrestia dopo la grande veglia. Tutto mi sarei aspettato fuorché sentire una simile apostrofe da parte di un giovanotto, al passaggio dei celebranti. Come se avessimo facce ancora da venerdì santo, e la nostra frettolosa camminata non lasciasse dietro alcun profumo del Risorto. Altro che Mosè dal Sinai cinto di luce divina! Mi torna spesso il ricordo di quell’impertinente che mi rammentava, in quella notte così unica, che la vera cosa importante nella mia vita è di essere continuamente rigenerato dai misteri pasquali, e che il resto, tutto il resto, rimane dettaglio, quando non zavorra.
Paragonando la gioia pasquale alla capacità di risalita dell’olio sull’acqua, sant’Antonio ci ricorda che l’evento della risurrezione – reale più di ogni altro nella storia del mondo – deve liberare in noi uno stupore tutto nuovo e un riconoscimento d’impeto tali da cambiare la vita, pena una «fede» sbiadita, intimista, appunto senza forza di «risalita».
Sant’Antonio sembra chiederci – a noi chiamati a essere i testimoni «in diretta» della sua risurrezione – sotto quali pesi resti invece compresso e quindi inservibile il nostro olio pasquale! In tutto il suo profilo spirituale sant’Antonio si identifica veramente col mistero pasquale. Lo esprime bene quel suo vivissimo senso del valore redentivo del sacrificio di Cristo, l’Uomo-Dio «torchiato» in una passione accolta per amore, che si traduce già nel giovane Santo in una incomprimibile passione missionaria tesa al martirio.
In ogni pagina dei Sermoni di Antonio vibra il messaggio che solo in Cristo morto e risorto abbiamo accesso alla salvezza e alla retta conoscenza di noi stessi, della nostra altissima vocazione umana. È l’invito caldo alla riconoscenza per il prezzo del nostro riscatto che ci immerge nella vita divina già su questa terra attraverso i sacramenti (in modo particolare attraverso la riconciliazione e l’eucaristia). Ecco perché tutt’oggi i pellegrini iniziano la loro visita alla tomba del Santo con la confessione sacramentale, che è ogni giorno una «piccola» Pasqua. Ecco il miracolo più bello che Antonio elargisce con abbondanza.
Nel Sermone della Domenica di Resurrezione Antonio ci dice che l’accesso alla gioia pasquale inizia sempre da un cuore penitente: «Apparve (il Risorto) a Maria Maddalena» prima che agli altri. E il Santo continua: «È detto nell’Esodo: “Apparve nel deserto la manna, una cosa minuta, come pestata nel mortaio, simile alla brina che si posa sulla terra” (Es 16,14). Nel deserto, cioè in colui che fa penitenza, appare la manna della grazia divina, frantumata nella contrizione, pestata nel mortaio della confessione». La gioia pasquale richiede però quel «coraggio della felicità» di cui parla papa Francesco, che si traduce nel dire di no al male in tutte le sue forme palesi o subdole, come Antonio insegna: «Apparve alle donne che tornavano dalla visita al sepolcro. Il Signore infatti appare a coloro che ritornano dal sepolcro, cioè escono dalla loro miseranda morte spirituale».
Il Santo immagina anche l’apostolo Pietro mentre confessa umilmente: «Il Signore risorto da morte è apparso a me, a me penitente, a me amaramente piangente!». E il Signore gli risponde: «Ti ho amato di amore eterno». La gioia pasquale è un’esperienza comunitaria, di Chiesa: «Venne Gesù, si fermò in mezzo ai discepoli e disse: “Pace a voi”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli gioirono nel vedere il Signore…» (Gv 20,19). La gioia dei testimoni della risurrezione nasce dalla consapevolezza di avere Cristo al proprio centro: «Il centro è il posto che compete a Gesù: in cielo, nel grembo della Vergine, nella mangiatoia del gregge e sul patibolo della croce». Il centro è il luogo in cui si conservano le realtà preziose: i più piccoli, i più bisognosi di amore e di perdono. I testimoni di resurrezione non stanno poi nelle sacrestie, ma per le «strade». Lo ricorda il Santo: «Apparve ai due discepoli diretti ad Emmaus. Emmaus s’interpreta “desiderio di consiglio”, del consiglio dato dal Signore che disse: “Se vuoi essere perfetto, và, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri” (Mt 19,21)». Le nostre strade pullulano di viandanti delusi e pieni di domande. Viandanti che, bisognosi di compagnia e testimonianza credibile, aspettano di incontrare nei credenti Uno che, spiegando le Scritture, scaldi il cuore (cfr Lc 24,32). I testimoni del Risorto non possono non misurarsi con la sfida della gioia, a iniziare da quella che si impara donando.
Un testimone d’oggi, don Luigi Ciotti, diceva pochi giorni fa sul quotidiano «Avvenire»: «La gioia è attenzione all’altro, mettersi nei suoi panni. La gioia del cristiano è lo spogliarsi dell’io, il farsi accogliente. E farsi carico della sofferenza e dell’ingiustizia che incontra nella strada». Magari sorridendo, come ci suggeriva alla veglia il giovanotto di cui parlavo poco sopra.
Paragonando la gioia pasquale alla capacità di risalita dell’olio sull’acqua, sant’Antonio ci ricorda che l’evento della risurrezione – reale più di ogni altro nella storia del mondo – deve liberare in noi uno stupore tutto nuovo e un riconoscimento d’impeto tali da cambiare la vita, pena una «fede» sbiadita, intimista, appunto senza forza di «risalita».
Sant’Antonio sembra chiederci – a noi chiamati a essere i testimoni «in diretta» della sua risurrezione – sotto quali pesi resti invece compresso e quindi inservibile il nostro olio pasquale! In tutto il suo profilo spirituale sant’Antonio si identifica veramente col mistero pasquale. Lo esprime bene quel suo vivissimo senso del valore redentivo del sacrificio di Cristo, l’Uomo-Dio «torchiato» in una passione accolta per amore, che si traduce già nel giovane Santo in una incomprimibile passione missionaria tesa al martirio.
In ogni pagina dei Sermoni di Antonio vibra il messaggio che solo in Cristo morto e risorto abbiamo accesso alla salvezza e alla retta conoscenza di noi stessi, della nostra altissima vocazione umana. È l’invito caldo alla riconoscenza per il prezzo del nostro riscatto che ci immerge nella vita divina già su questa terra attraverso i sacramenti (in modo particolare attraverso la riconciliazione e l’eucaristia). Ecco perché tutt’oggi i pellegrini iniziano la loro visita alla tomba del Santo con la confessione sacramentale, che è ogni giorno una «piccola» Pasqua. Ecco il miracolo più bello che Antonio elargisce con abbondanza.
Nel Sermone della Domenica di Resurrezione Antonio ci dice che l’accesso alla gioia pasquale inizia sempre da un cuore penitente: «Apparve (il Risorto) a Maria Maddalena» prima che agli altri. E il Santo continua: «È detto nell’Esodo: “Apparve nel deserto la manna, una cosa minuta, come pestata nel mortaio, simile alla brina che si posa sulla terra” (Es 16,14). Nel deserto, cioè in colui che fa penitenza, appare la manna della grazia divina, frantumata nella contrizione, pestata nel mortaio della confessione». La gioia pasquale richiede però quel «coraggio della felicità» di cui parla papa Francesco, che si traduce nel dire di no al male in tutte le sue forme palesi o subdole, come Antonio insegna: «Apparve alle donne che tornavano dalla visita al sepolcro. Il Signore infatti appare a coloro che ritornano dal sepolcro, cioè escono dalla loro miseranda morte spirituale».
Il Santo immagina anche l’apostolo Pietro mentre confessa umilmente: «Il Signore risorto da morte è apparso a me, a me penitente, a me amaramente piangente!». E il Signore gli risponde: «Ti ho amato di amore eterno». La gioia pasquale è un’esperienza comunitaria, di Chiesa: «Venne Gesù, si fermò in mezzo ai discepoli e disse: “Pace a voi”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli gioirono nel vedere il Signore…» (Gv 20,19). La gioia dei testimoni della risurrezione nasce dalla consapevolezza di avere Cristo al proprio centro: «Il centro è il posto che compete a Gesù: in cielo, nel grembo della Vergine, nella mangiatoia del gregge e sul patibolo della croce». Il centro è il luogo in cui si conservano le realtà preziose: i più piccoli, i più bisognosi di amore e di perdono. I testimoni di resurrezione non stanno poi nelle sacrestie, ma per le «strade». Lo ricorda il Santo: «Apparve ai due discepoli diretti ad Emmaus. Emmaus s’interpreta “desiderio di consiglio”, del consiglio dato dal Signore che disse: “Se vuoi essere perfetto, và, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri” (Mt 19,21)». Le nostre strade pullulano di viandanti delusi e pieni di domande. Viandanti che, bisognosi di compagnia e testimonianza credibile, aspettano di incontrare nei credenti Uno che, spiegando le Scritture, scaldi il cuore (cfr Lc 24,32). I testimoni del Risorto non possono non misurarsi con la sfida della gioia, a iniziare da quella che si impara donando.
Un testimone d’oggi, don Luigi Ciotti, diceva pochi giorni fa sul quotidiano «Avvenire»: «La gioia è attenzione all’altro, mettersi nei suoi panni. La gioia del cristiano è lo spogliarsi dell’io, il farsi accogliente. E farsi carico della sofferenza e dell’ingiustizia che incontra nella strada». Magari sorridendo, come ci suggeriva alla veglia il giovanotto di cui parlavo poco sopra.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017