Comunità e appartenenza

I giovani hanno bisogno di valori forti. Pensare all'italianità come a un espediente per migliorare la propria posizione, alimenta solo la logica dei particolarismi. Le sfide della Conferenza Mondiale dei giovani italiani all'estero.
30 Luglio 2008 | di

Basilea
Sui temi oggi emergenti che riguardano le nuove generazioni italiane all’estero, abbiamo intervistato padre Graziano Tassello, scalabriniano, direttore del Centro Studi e Ricerche per l’Emigrazione (CSERPE) di Basilea, e presidente della Quarta Commissione tematica «Scuola e cultura» del Consiglio generale degli italiani all’estero.
Segafreddo. Organizzati dai Consolati, dai Comites e dal Cgie, sono ripresi gli incontri con i giovani d’origine italiana residenti all’estero in vista della loro Prima Conferenza Mondiale. Secondo lei, emerge un concreto interesse, da parte dei giovani, per le tematiche poste alla discussione dei vari gruppi di lavoro?
Tassello.
Abbiamo insistito molto, come Cgie, affinché la Conferenza sia «dei» giovani e non «sui» giovani. È importante metterci in ascolto delle nuove generazioni, e cogliere le novità che stanno emergendo. È significativo che negli incontri preparatori, non siano stati i vecchi leaders a imporre le tematiche, ma siano stati i giovani stessi a selezionare, a indicare le priorità. Sorprende positivamente il fatto che si notino profonde similitudini tra i vari continenti. Risulta ovunque un interesse elevato da parte dei partecipanti. Occorre tuttavia chiederci se i giovani presenti siano i rappresentanti di tutto il complesso mondo giovanile, oppure si tratti ancora una volta di un gruppo selezionato dai Comites, che non sempre brillano per la loro imparzialità. Si corre il rischio di avere dei cloni di vecchi schemi politici, e non di giovani alla ricerca di originalità. Ritengo che si debba scavare molto più in profondità, e cercare vie nuove per coinvolgere tutti. Sa poi di stonato vedere come giovani giunti in emigrazione di recente, e quindi affabulatori forbiti e utilizzatori del politically correct, introducano tematiche e linguaggi legati alla società italiana, e che hanno ben poco da vedere con il mondo e la cultura delle nuove generazioni nate e cresciute in emigrazione.
Per quali motivazioni il tema dell’integrazione ha coinvolto soprattutto i giovani residenti in alcuni Paesi europei?
Perché per i giovani in Europa, soprattutto quelli che risiedono nei Paesi di lingua tedesca, il problema identitario non è ancora del tutto risolto. A parte i perduranti insuccessi scolastici in Germania, che mantengono il giovane in uno stato di inferiorità, per gli altri l’integrazione strumentale è avvenuta. Sono ben inseriti nel mondo del lavoro, a un livello superiore a quello dei loro genitori, parlano perfettamente la lingua del posto e si muovono a loro agio nel sistema locale. Ma per più di qualcuno di loro appare evidente che non abbiano risolto in modo positivo la questione della loro doppia appartenenza. Non sono ancora riusciti a comprendere in pieno le potenzialità che questa doppia appartenenza significa nella loro vita, e a servizio della comunità. Possedere due culture, essere transfrontalieri tra una cultura e un’altra, è una ricchezza impagabile. Forse la spiegazione di questa titubanza sta nel fatto che non sono pienamente consapevoli della cultura e della lingua italiana, che confondono spesso con il folklore, il calcio, la Ferrari. Non conoscendo in profondità la cultura italiana, non possono vivere in pienezza la loro doppia appartenenza.
Sulle tematiche dell’istruzione, risulta il modesto coinvolgimento delle famiglie italiane residente all’estero, per un’educazione bilingue dei figli. Permangono inoltre gravi carenze da parte delle istituzioni per la promozione dell’insegnamento della lingua e della cultura italiana. Qual è la sua analisi di queste problematiche?
Stiamo attraversando un momento particolarmente delicato. Mentre spingiamo per far capire ai giovani che per vivere tutte le potenzialità della diaspora italiana nel mondo, la conoscenza della lingua e della cultura d’origine sono fondamentali, di fatto le istituzioni stanno tagliando i fondi e mettendo in seria difficoltà soprattutto quegli enti gestori che si distinguono per un impegno davvero straordinario in questo campo. Corriamo in questo modo il rischio di avvilire e stancare le persone più motivate. Esiste poi il fenomeno di parecchi genitori di terza e quarta generazione che non insistono perché i loro figli apprendano l’italiano. Hanno paura che questo crei problemi al normale andamento scolastico del figlio, dato che viviamo in un contesto in cui il successo scolastico è determinante per la carriera.
Quali sono le motivazioni che spiegano il disinteresse delle nuove generazioni per l’associazionismo italiano, e la loro scarsa adesione ad attività sociali, culturali e politiche in seno alla vita pubblica, italiana e locale?
La parola disinteresse non descrive bene, mi sembra, il distacco dei giovani dall’associazionismo tradizionale. Il motivo essenziale è che le associazioni tradizionali hanno degli obiettivi che non rientrano più nelle finalità dei giovani. I giovani stanno creando una loro rete associativa con la speranza che risponda alle loro aspirazioni, volendo superare il frazionamento dell’associazionismo tradizionale. Mentre le associazioni tradizionali erano più rivolte al benessere del gruppo, i giovani gradirebbero spaziare. Tuttavia, vi è il serio pericolo che si crei un conflitto intergenerazionale: due mondi separati e non comunicanti.
Conosce qualche iniziativa che testimoni, in tali ambiti, nuovi atteggiamenti e nuove sensibilità?
Ci sono, ma non sono molto reclamizzate. E mi dispiace affermarlo. Di fatto, nei gruppi sorti nei vari Paesi in vista della Conferenza, tematiche come la solidarietà sono del tutto marginali. Questo anche perché la scrematura dei rappresentati è avvenuta tramite Comites, alcuni dei quali sono inclini a usare il sistema del padrinaggio, a dividere tutto secondo schemi partitici, per cui gruppi sorti al di fuori di questo schema sono rimasti nell’ombra. Potrei parlare di Associazioni come la Pro Migrante, impegnata a sensibilizzare la società d’accoglienza sui diritti dei migranti che hanno raggiunto la terza età. Potrei accennare alle attività portate avanti dai giovani della Trentini nel Mondo a sostegno di progetti nei Paesi in via di sviluppo. Ma sembra non gradito parlare di questo mondo associativo che, invece, nel lungo periodo, si rivelerà una delle grandi novità del mondo associativo giovanile. Creare rete e comunicare via internet può risultare un alibi per non sporcarsi le mani nel mondo reale. Occorre invece investire sogni ed energie per rendere più vivibile il mondo attorno a noi. Se i giovani che stanno preparando la Conferenza non hanno questi ideali, ma pensano solo ai vantaggi che possono ricavare per sé stessi e per i loro coetanei da questo avvenimento, non si andrà molto lontano.
Quali devono essere gli obiettivi che il mondo dell’informazione deve porsi per incentivare rapporti, promuovere partecipazione e senso d’appartenenza da parte delle nuove generazioni italiane all’estero?
Il mondo dell’informazione, se ha veramente a cuore la crescita della diaspora italiana, deve seguire, monitorare, stimolare tutte le espressioni di creatività presenti nella comunità. Deve soprattutto aiutare a riflettere. Non vi è bisogno di notizie immediate. Vi è urgente bisogno che qualcuno ci aiuti a riflettere. A fronte di tutto ciò, sta di fatto che molti giovani non possiedono una buona conoscenza dell’italiano, e ancora di più stentano a leggerlo. Molti di loro preferiscono internet alla carta stampata. Gradirei che il mondo dell’informazione analizzasse più in profondità alcune tematiche come il senso dell’italianità, il significato della promozione della lingua in ambito interculturale, il senso del bene comune.
Prevede che i giovani, anche attraverso le loro istanze espresse nei documenti preparatori alla 1° Conferenza Mondiale, possano sperare in alcune risposte positive da parte del governo italiano, del Cgie e dei Comites ? E quali?
La storia dell’emigrazione italiana nei confronti delle risposte istituzionali è essenzialmente una storia di speranze, a volte deluse, altre volte, dopo lunghissime battaglie, divenute realtà. Penso in particolare al voto. La Conferenza esalterà il ruolo del Cgie, che dovrà farsi carico e portavoce dei desideri del mondo giovanile. Per quanto concerne il governo italiano e le regioni, tutto dipende dal loro desiderio di investire realmente, e non solo a parole, nella diaspora, e quindi soprattutto nel mondo giovanile. E qui abbiano dei modelli nelle strategie perseguite da alcune regioni come l’Emilia-Romagna, la Toscana e il Veneto. Purtroppo i segnali recenti, da parte del governo italiano, non sembrano molto incoraggianti al riguardo. Penso che il futuro della diaspora e dell’associazionismo giovanile si giochino prevalentemente in ambito linguistico e culturale, a livello di promozione linguistica e di scambi culturali. E, sebbene di questo non si parli, sono certo che il rinnovamento delle associazioni e l’immissione di quadri giovanili, avverrà soprattutto nell’ambito della solidarietà. Riusciremo a rimanere creativi e propositivi, e non solo a sopravvivere con cognomi italiani, solo se riusciremo a traghettare i giovani da un mondo «italo-centrico» a un sistema «mondo-centrico» in cui immettiamo i nostri valori più autentici. Ai vecchi, infine, direi che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con il dimenticare, come diceva Gabriel Garcia Marquez.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017