Con chi fugge per dignità

La terribile situazione degli sfollati siriani costringe ogni cristiano a non girare lo sguardo e il cuore da un’altra parte.
24 Luglio 2013 | di

«Non possiamo tirarci indietro, proprio nelle situazioni di maggiore dolore!» ha affermato papa Francesco lo scorso 5 giugno, nell’incontro con i responsabili del Pontificio Consiglio «Cor unum», riuniti per coordinare gli organismi cattolici che operano nell’aiuto delle popolazioni coinvolte dalla crisi siriana. L’appello è stato ripreso nel messaggio per la Giornata mondiale del Rifugiato del 20 giugno, nel quale, di fronte all’aggravarsi delle violenze e delle sopraffazioni che continuano a causare migrazioni forzate, papa Francesco ha chiesto alla comunità internazionale «di fare tutto il possibile per alleviare le gravi necessità delle popolazioni colpite», in particolare «la gente dell’amata Siria, i profughi, i rifugiati sempre più numerosi». L’esodo dalla Siria di 1 un milione e 600 mila profughi, che hanno trovato un provvisorio rifugio in Libano, Giordania e Turchia, ha creato situazioni di povertà e sofferenza tali da richiedere un pronto intervento da parte delle forze politiche e delle istituzioni, innanzitutto dell’Unione europea.
 
Il fenomeno dei rifugiati e dei migranti forzati è altra cosa rispetto a quanto vissuto nei secoli scorsi da chi ha lasciato la Patria per trovare all’estero lavoro e migliori prospettive di vita. E non riguarda, purtroppo, solo la gravissima situazione siriana. Infatti, la migrazione forzata tocca vaste aree in tutto il pianeta. Le cause della fuga dalla propria terra sono le guerre che da decenni interessano diversi Paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente; sono le persecuzioni tra etnie residenti nella medesima area, ma contrapposte per motivi culturali e religiosi; sono la tratta di forze lavorative e di minori per guerre e sfruttamento sessuale, segno del degrado a cui può giungere la società. Nel rapporto annuale sui minori nei conflitti armati, presentato proprio il 13 giugno, festa di sant’Antonio, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha reso pubblici dati allarmanti – confermati anche dall’Unicef – che non hanno precedenti nella storia. Riguardano gli attacchi missilistici e i bombardamenti che hanno provocato morti e distruzione di scuole e di ospedali; le migliaia di ragazzi e ragazze reclutati per divenire forze attive negli eserciti, che hanno patito mutilazioni e violenze sessuali; le difficili e complesse violazioni dei diritti umani segnalati in Afghanistan, Siria, Mali e Repubblica Centrafricana.
 
Sono segni che la crisi in cui siamo coinvolti non è solo economica, ma anche etica, antropologica e spirituale. Facendosi carico di tutte queste sofferenze, papa Francesco, oltre a chiedere a quanti detengono il potere politico di trovare una soluzione negoziale alle tante emergenze, ha chiesto a tutti gli organismi caritativi della Chiesa di offrire il loro contributo per rispondere ai gravi bisogni delle popolazioni coinvolte, al di là delle loro appartenenze etniche o religiose. La Chiesa, con i suoi organismi impegnati nel settore della cooperazione internazionale, vuole porsi in prima fila con azioni di solidarietà. Lo ha sottolineato ancora il Papa, lo scorso 8 luglio, nell’omelia tenuta in occasione della sua visita a Lampedusa: «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza».
 
 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017