Con gli indios nel cuore
Monsignor Leonida Proaà±o, vescovo di Riobamba, in Ecuador, morì con un cruccio tremendo: Nidia - disse alla donna che lo assistiva - mi assale un pensiero: che la Chiesa è la grande responsabile dell'oppressione che da secoli grava sugli indios, che dolore! E io sto portando il peso di questi secoli. Parlava, monsignor Proaà±o, col tormento del figlio tradito. Parlava pensando ai 500 anni di conquista, alla schiavitù e all'annientamento degli indios, alla loro emarginazione nella società contemporanea. Ma quella Chiesa, all'inizio connivente, lui l'aveva già riscattata: gli indios lo vegliavano fuori dalla porta, silenziosi e dolenti. Lo chiamavano Taita, papà in lingua quechua. Con lui avevano ripreso la dignità e il sogno di un futuro.
Sono passati quattordici anni dalla morte di Proaà±o, eppure quel corpo tornato alla pachamama, la grande madre terra degli indios, ha prodotto nuova vita. Il progetto a cui hanno contribuito i lettori è della Fundacià³n pueblo indio dell'Ecuador, l'associazione indigena fondata da Proaà±o. È un progetto molto ampio, che va dal riscatto della terra alla formazione professionale, dalla riforestazione all'avviamento delle colture e degli allevamenti. Un futuro nuovo per ottantaquattro famiglie della comunità di Yuracruz Alto. Solo chi ha nel cuore una grande ispirazione, può pensare di farcela senza mezzi e senza peso politico.
E il miracolo sta accadendo. Tutto inizia da una lettera della responsabile della Fundacià³n, Nidia Arrobo Rodas. Sì, la stessa che raccolse le ultime parole di Taita Proaà±o. Ti invio il progetto completo - scrive a Giuseppina Pompei, un'amica conosciuta di recente grazie a un viaggio di quest'ultima in Ecuador - . Lo abbiamo pensato insieme ai contadini. È enorme. Non ti spaventare. Io ormai non mi spavento più. Anzi sono sicura che la provvidenza busserà alla nostra porta. Oggi, 30 gennaio 2003, è il compleanno di monsignor Proaà±o.
La svolta inattesa
Parole profetiche. La lettera, per via di Giuseppina, arriva nelle mani di padre Luciano Massarotto, responsabile della Caritas antoniana: Abbiamo scelto - spiega - la parte del progetto che invitava ad adottare un lama o una pecora per iniziare l'allevamento e offrire ai contadini la possibilità di realizzare il secondo stadio del progetto: migliorare l'alimentazione in attesa di avviare i progetti agricoli.
I contadini, infatti, erano già riusciti, grazie all'aiuto della Caritas dell'Alto Adige, ad acquistare parte delle terre anticamente in loro possesso: 800 ettari in un altopiano delle Ande, nel Cantà³n Cotacachi (Imbabura) a nord dell'Ecuador. C'erano voluti vent'anni di lotte, di fame, di umiliazione, ma alla fine ce l'avevano fatta, proprio usando i mezzi dell'invasore. Per gli indigeni - spiega Nidia - la terra è madre. È di tutti. Non si compra e non si vende. Siamo stati costretti ad acquistarla obbedendo alle leggi del mercato, ma ora sarà per sempre della comunità .
I trentamila euro, inviati dalla Caritas antoniana e dalla nostra associazione antoniana negli Stati Uniti, sono caduti come pioggia sul terreno in semina: In ginocchio ho ringraziato Dio. Il Signore fa cose grandiose, Lui sta dalla parte dei poveri, scrive Nidia a Giuseppina all'annuncio dell'impegno della Caritas antoniana. Poco dopo arriva una lettera a padre Luciano: Con i soldi abbiamo comprato 40 pecore e qualche lama, costruito le casupole dei pastori e gli steccati provvisori per gli animali, realizzato i primi corsi di allevamento. A voi va la nostra gratitudine profonda e il ricordo nella preghiera.