Con Stanislao ricordando papa Wojtyla
Al numero 1200 della via Cassia, nella periferia verde di Roma, c'è la Fundacia Jana Pawla II sorta nel1981, regnando papa Wojtyla, per promuoveree realizzare iniziative religiose, culturali, scientifiche. C'è pure una spartana foresteria in questa struttura non profit: vi ha alloggiato, subito dopo il funerale di Giovanni Paolo II, l'arcivescovo Stanislao Dziwisz, il fedelissimo Staszek come lo chiamava Wojtyla. Si erano conosciuti circa quarant'anni fasui campi da sci e un giorno della primavera del 1966 don Stanislao ricevette una telefonata dall'allora arcivescovo di Cracovia, monsignor Wojtyla, appunto. Sotto una pergola confortante del terrazzo che raccoglie il ponentino, don Stanislao ricorda la svolta della sua vita. Andando subito al sodo: «Se la sente di darmi una mano, venendo a lavorare con noi?» disse Wojtyla. «Quando?» chiese don Stanislao, e l'altro: «Subito, da oggi.» «Posso farcela per domani». «Bene, l'aspetto». Così comincia il sodalizio, durato quasi quarant'anni, del futuro Papa e di colui che sarebbe stato il suo insostituibile segretario. Che oggi, quarant'anni dopo, ricalca a Cracovia le orme di GiovanniPaolo II.
Ventisette anni accanto a un protagonista della Storia del '900, vicino al Papa del Destino, irripetibile.Chissà mai quanto avrà scritto il suo uomo di fiducia, lui, don Stanislao nel corso di ventisei e passa anni, tutti incisi nella Storia, anni di catechesi nel mondo,di svolte coraggiose, di gesti di carità ma anche di umiltà , di rampogne dure («guai a voi uomini della mafia»), di coraggiosi atti verso i giovani ai quali il Papa venutodal freddo guardava con tenerezza e con infinita speranza. Con un sorriso elusivo, don Stanislao dice che lui si è limitato a registrare nel suo diario gli accadimenti di ogni giorno.Senza commento alcuno, non fosse altroperché i fatti di cui ha preso scrupolosa nota parlavano da soli e dunque non necessitavano di chiose. Nelle ultime ore della sua vita, ore colmedi strazio fisico ma di lievitazione d'amore (incontro a Gesù), il Papa vigile, attento, riusciva a comunicare soltantocon il suo fido Staszek: era la Pasqua eWojtyla percorreva la sua più autentica Via Crucis . Poi venne la fine con la consapevolezza che tutto s'era compiuto e il tempo eragiunto del distacco dalla terra. «Amen», disse Giovanni Paolo II e spirò con la mano stretta da quelle di don Stanislao.
Da quel momento la sua presenza, quella di Giovanni Paolo II, dico, è invisibile ma immanente. Allaga le piazze, sfiora il cielo, spegne le stelle e le riaccende inventando un cosmico Alfabeto Morse della (beata) speranza. Trasmette, quell'Alfabeto nuovo nella Storia vaticana, la risposta di papa Wojtyla all'amore della gente. Italiani e foresti, uomini e mascalzoni han vegliato nel mondo intero la malattia di Giovanni Paolo, ch'egli non si è curato di nascondere offrendola, atto di suprema umiltà , alla vista di tutti. Nel Vangelo di Giovanni è detto: «Sappiamo che quando Egli si sarà manifestato saremo simili a Lui poiché lo vedremo com'Egli veramente è». Soltanto l'esperienza spirituale poteva dunque colmare Giovanni Paolo e, al tempo stesso, crocifiggerlo e ciò perché, come Wojtyla non si è stancato di ripetere, la Croce è la via maestra che conduce alla «unione di amor filiale». Don Stanislao annuisce. In silenzio. Prega, forse piange ma infine riesce a sorridere. «Amen».