Consumatori senza paraocchi
Corsa all'ultimo modello di cellulare, pomeriggi al centro commerciale, caccia alle promozioni: attualità o preistoria? L'era dell'acquisto sfrenato, del consumismo, è finita? L'influenza della pubblicità sui nostri bisogni e desideri è da decenni oggetto di studio e, recentemente, c'è chi ha approfondito una nuova dipendenza, l'impulso da acquisto, apice della degenerazione del consumismo. Per curarlo, negli Stati Uniti, che di solito anticipano i tempi, si sono attivati veri e propri gruppi di auto aiuto, sulla scia dell'esperienza degli alcolisti anonimi o delle vittime del gioco d'azzardo. E la cronaca, poco tempo fa, ha registrato il caso di quelle famiglie siciliane che hanno ritirato i propri figli dalla scuola materna perché non potevano comprare loro zainetti griffati. Ma se in questi casi l'atto dell'acquisto diventa ricorsa agli oggetti per il puro gusto di possederli, di inseguire le mode, di essere attraverso l'avere fino a indebitarsi, la tendenza per il futuro sembra non essere questa.
Lo dimostra una recentissima ricerca dell'Iref (Istituto ricerche educative e formative delle Acli) che, nel suo ottavo rapporto commissionato all'Eurisko e in uscita a settembre, fotografa una situazione assai diversa. Il piccolo esercito dei consumatori critici, infatti, ha ingrossato le sue fila e più di un terzo degli intervistati ha dichiarato di consumare i prodotti del commercio equo e solidale, di adottare comportamenti di consumo critico e, quindi, di interrogarsi sulla provenienza di ciò che ogni giorno acquista.
Non basta: un terzo degli italiani ha attitudine alla sobrietà , a chiedersi che cosa è necessario e cosa non lo è, a recuperare i materiali e a differenziarli, a scegliere i prodotti tenendo conto del loro impatto ambientale. Parallelamente, l'Iref ha registrato un aumento del cosiddetto volontariato personale che, come scrive il sociologo Ilvo Diamanti nella prefazione al rapporto: si traduce in donazioni, in uno stile sobrio, sensibile all'offerta del mercato equo e solidale. Sostanzialmente, oggi le persone, invece di dedicare le due ore settimanali all'impegno presso un'associazione, preferiscono tradurre i loro valori in scelte quotidiane di vita, nell'utilizzo etico delle loro competenze professionali, nell'impiego del loro denaro in fondi che garantiscono l'investimento in progetti socialmente utili. E chi non ha ancora adottato il consumo critico (59,3 per cento) non l'ha fatto semplicemente perché non ne conosce l'esperienza e le modalità . Solo il 12,2 per cento degli intervistati dichiara di non avere alcun interesse a queste forme alternative di acquisto.
Il consumo calato nei valori
La prova che tutti questi comportamenti non sono solo mode new global è data dall'analisi delle motivazioni che spingono il consumatore italiano di oggi a cercare le alternative alle proposte della pubblicità o alle promozioni: accanto agli scandali sulla provenienza dei generi alimentari di questi ultimi anni, all'incognita sull'utilizzo degli organismi geneticamente modificati, alle battaglie condotte dalle associazioni dei consumatori, un terzo degli italiani sceglie per autentica simpatia nei confronti dell'agricoltura biologica, per rispetto dell'ambiente e stando attento soprattutto alle condizioni dei lavoratori nei Paesi del Sud del mondo.
Siamo lontani dalle immagini stereotipate a cui ci hanno abituato gli articoli di giornale o i consigli di marketing che dipingevano la caricatura della povera vittima abbindolata dagli impulsi delle pagine patinate o della televisione. Oggi non esiste più il consumatore coerente, quello che compra sempre nello stesso supermercato sottocasa o è affezionato a una sola marca - afferma Egeria Di Nallo, docente di Sociologia dei consumi all'università di Bologna e direttore dell'Osservatorio Meeting Point -. Assistiamo a una mobilità dei consumi con una sostanziale tendenza a sposare le proprie scelte di acquisto verso i propri valori.
C'è, insomma, la propensione ormai inconfutabile a inserire il gesto del comprare in una cornice di significati che va ben oltre l'utilità dell'oggetto: È la ripresa di un concetto antichissimo che sta all'origine della parola consumo, che deriva dal latino cum - sumere che vuol dire assumere insieme. La stessa designazione assegnata a Cristo nella liturgia (le consumateur de notre foi e cioè il consumatore della nostra fede); o, al termine della consacrazione, la frase consumatum est rimandano a un significato molto diverso di questa parola antichissima di cui ci stiamo riappropriando, che parla di relazione e di appartenenza.
La riscoperta del buon vivere
In America questa nuova tendenza è stata chiamata new simplicity, la nuova sobrietà contrapposta all'ubriacatura dei bisogni e dei desideri imposta dalle aziende e si sposa con il desiderio di tempi più dilatati da dedicare alla famiglia e al buon vivere. Si spiega anche con questo nuovo bisogno il moltiplicarsi degli agriturismi e della ricerca, anche nel tempo della vacanza, di luoghi in sintonia con i propri valori, come le esperienze di turismo responsabile o rurale. Sono proposte alternative da scambiarsi attraverso il semplice passaparola oppure utilizzando internet e i siti dedicati (il 50 per cento di coloro che praticano i nuovi stili di vita usa posta elettronica e web abitualmente).
In questo contesto, la cattedrale dei consumi, il centro commerciale tanto criticato e demonizzato, potrebbe ricoprire un ruolo nuovo e davvero inedito, come sostiene la professoressa Di Nallo: Diventerà un punto esperienziale importantissimo. Qualcuno sembra essersene già accorto e ha scelto di inaugurare i nuovi palazzi dell'acquisto proponendo iniziative di solidarietà o promuovendo i prodotti del Commercio Equo e Solidale. È vero che ha sostituito la piazza del paese, il luogo della comunità che non c'è più. Ed è anche vero che oggi è abbandonato a se stesso, a forme di consumo ormai sorpassate. Ma proprio per questo sarà destinato a diventare un punto di ritrovo e di servizio importante per chi vuole proporre stili di vita diversi.
L'economista. Rivoluzioniamo i consumi
di Giulia Cananzi
L'economia ha bisogno di un aumento dei consumi anche a scapito dell'ambiente e dei valori umani? Risponde Stefano Zamagni professore di Economia Politica.
Da mesi ci assilla lo spot dell'omino con la busta della spesa osannato per le strade dai passanti, perché con i suoi consumi fa girare l'economia. Il presidente del Consiglio, a sua volta, ci invita a consumare di più per risollevare le sorti del Paese. D'altre fonti veniamo a sapere che il nostro livello di consumo è insostenibile per il pianeta e ingiusto verso i Paesi poveri. Ma allora, economia e ragioni dell'uomo sono inconciliabili? Sospesi tra due fuochi chiediamo lumi a Stefano Zamagni, professore di Economia Politica all'università di Bologna.
Non sono inconciliabili. Un'economia di mercato per funzionare non ha bisogno che si consumino certe categorie di beni piuttosto che altre, ma ha bisogno che il livello generale dei consumi aumenti. Che io compri un'enciclopedia, un telefonino o un posto all'asilo nido non fa differenza. La composizione dei consumi è una scelta di civiltà che dipende dai valori ai quali i cittadini di un certo Paese intendono ispirarsi.
La necessità di un aumento dei consumi è un argomento sacrosanto che viene usato strumentalmente per concludere che i cittadini dovrebbero consumare di più dei beni e dei servizi che le imprese attuali stanno immettendo sul mercato, a prescindere dall'impatto che questi possono avere sull'uomo o sulla natura. Il punto criticabile è che oggi si continuano a consumare beni di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno. Un cambiamento dei nostri stili di consumo indurrebbe le aziende a riciclarsi su prodotti più sostenibili e umanamente validi.
Ci faccia un esempio di questi prodotti.
Ci sono beni essenziali, come i beni relazionali, che non possiamo consumare perché nessuno li produce. L'esempio più tipico è quello dei servizi alla persona, in ambito sanitario, educativo, assistenziale. Per esempio, un anziano non autosufficiente, anche se ha una pensione, diventa un nuovo povero, perché non trova servizi adeguati alla sua nuova condizione e deve arrangiarsi con quello che può. Lo stesso per quanto riguarda i servizi all'infanzia.
Un altro bene relazionale sono i beni culturali di cui attualmente c'è un sottoconsumo. Per cui si arriva all'assurdo di essere pieni di cose inutili e carenti di servizi essenziali.
Qual è la via d'uscita?
Stiamo sperimentando il paradosso della felicità : viviamo in società sempre più ricche ma che diventano sempre più infelici.La felicità non è legata all'utilità , cioè al consumo di beni materiali, ma è legata alla relazione. La via d'uscita è, quindi, un capovolgimento culturale.
Attenzione, questo discorso non ha nulla a che fare con il pauperismo, cioè con le posizioni politico-culturali che predicano il distacco dai beni: persino il cattolicesimo ha sempre sostenuto che il consumo di beni e servizi non è un male se serve a valorizzare l'umano e a potenziare la libertà .
(ha collaborato Sabina Fadel)
I consumatori si stanno svegliando
di Luciano Bertazzo
Stando a quanto dicono i sondaggi, pare che tra i consumatori più accesi qualcuno si stia ravvedendo: non fapiù tendenza buttarsi a capofitto a comprare di tutto, nell'illusione di riempire il vuoto che si ha dentro, con il rischio di finire dallo psicanalista per guarire da questa costosissima smania. Si sta riscoprendo con soddisfazione il gusto dell'essenzialità , della frugalità , del vivere francescano, che è il rimettere le cose al loro posto, dando ad ognuna il valore che merita.
Vale la pena affannarsi, bruciare la vita e i rapporti con gli altri, per possedere anche il superfluo? O non ha più senso trascorrere una vita serena, interiormente ricca, vissuta in dignità , nella condivisione solidale con chi non ha e nel rispetto di tutti?
I sondaggi dicono ancora che i consumatori italiani sono meno disponibili ad assecondare inviti al consumo comunque. Vogliono scegliere, valutare oltre il semplice acquisto: che cosa comprano, come è stato prodotto.
Il consumo è decisivo per far girare l'economia. Si tratta di decidere che cosa consumare: se ad ogni costo l'inutile, prodotto in eccesso e a scapito dell'ambiente o qualcosa che può farci sentire più ricchi dentro e più felici. Telefonini e auto hanno invaso il Paese creando qualche problemino, mentre la cultura langue per mancanza di consumi. Più cultura e meno telefonini: alla fine i conti tornano, ma con effetti ben diversi. È solo un esempio per dire come sia necessario che la tendenza rilevata dai sondaggi si tramuti in uno stile di vita e di scelte: una sfida anche per le aziende.