Cos'è il terzo settore?

Nella ridefinizione dello stato sociale avranno un ruolo sempre più importante le associazioni di volontariato e le istituzioni che non mirano al profitto.
03 Aprile 1997 | di
   
   
S tando alla definizione, le cose paiono chiare quanto meno per esclusione: terzo settore significa semplicemente quell'insieme di iniziative che non sono né di area pubblica, né frutto di iniziativa privata. Ma allora di che cosa si tratta?     

Già  qui la questione si complica, perché entrano in campo altri termini che alla fine finiscono con l'inquinare la linearità  del ragionamento. Ecco allora che, di volta in volta, si parla di non profit (istituzioni che non hanno di mira il profitto), oppure di economia sociale, con alcuni riferimenti costanti al mondo del volontariato, dell'associazionismo e della cooperazione.

     

Bisogna anche annotare che il vuoto legislativo, colmato in parte soltanto recentemente (come vedremo in seguito) dalla 'delega' contenuta nella legge collegata alla Finanziaria '97, e che mira soprattutto al riordino fiscale del mondo del terzo settore, non ha certo       contribuito a fare chiarezza.

     

Veramente un tentativo autentico di uscire dall'imbarazzo di tale imprecisione di confini è stato messo in atto, nel 1995, dal 'Forum del terzo settore', un organismo che raccoglie buona parte delle organizzazioni e dei movimenti che operano in tale segmento di       mercato. Nel suo Manifesto dice testualmente: 'Il terzo settore è il campo dei soggetti di volontariato, associativi e della cooperazione sociale che interpretano l'impegno della cittadinanza organizzata in diversi ambiti, e che per perseguire queste finalità  scelgono di agire nella società  civile in forma stabile e regolata'.

     

Come si vede, si tratta di una definizione più politica che tecnica, più tesa a individuare una missione, una modalità  operativa che non a stabile criteri di appartenenza sufficientemente limpidi. Valutazione, questa, confermata anche nel proseguire del testo, quando si sottolinea, appunto, che 'nel terzo settore si esprime l'attitudine dei cittadini a promuovere soluzioni alternative alla crisi dei tradizionali modelli di welfare (stato sociale), mediante un impegno civile e solidale in ambiti anche inediti rispetto ai consueti sistemi di protezione sociale pubblica'.

     

Come annunciato, neppure la recente normativa pare introdurre elementi di semplificazioni in merito alle definizioni. La legge-delega, che fa riferimento in buona parte alla 'proposta Zamagni' - così chiamata in onore dell'economista bolognese che la elaborò per conto del governo - , ha il compito limitato di intervenire in merito a sgravi       fiscali con i quali alleggerire i bilanci delle imprese non profit , e nel fare questo introduce una divisione che un po' di chiarezza alla fin  fine la porta.

     

Sostanzialmente, il terzo settore viene suddiviso in due gruppi: gli Enti non commerciali e le Onlus , cioè le Organizzazioni non lucrative di utilità  sociale. Del primo ambito fanno parte gli enti pubblici, le associazioni con personalità  giuridica e non, i comitati, i circoli, le congregazioni, le accademie e i consorzi.

     

La seconda categoria, invece, fa riferimento alle Organizzazioni non governative, le associazioni di volontariato, le cooperative sociali. Da entrambe risultano fuori gli enti pubblici, le fondazioni bancarie, le Ipab, le società  commerciali diverse dalle       cooperative, i partiti politici e i sindacati, oltre alle associazioni di categoria.

     

Qualche linea di demarcazione, dunque, è stata tracciata. Ma non basta ancora: il governo ora ha tempo fino al 30 settembre, per le Onlus, e fino al 31 dicembre, per gli enti non commerciali, per predisporre i decreti legislativi che potrebbero dotare il terzo settore di quel necessario inquadramento organico nel sistema economico italiano; un passo inderogabile per questa realtà  che rappresenta già  l'1,2 per cento del prodotto interno lordo italiano.l

           

'Civitas', la vetrina del terzo settore

     

Dallo scorso anno anche il terzo settore ha la sua vetrina: si tratta di 'Civitas', il Salone dell'economia sociale e civile, ospitato per la prima volta nel maggio del 1996 nei locali della Fiera di Padova, e che nel prossimo 1-4 maggio vivrà  la sua seconda edizione. Le cifre dell'esordio sono state particolarmente confortanti: quasi 14 mila visitatori, provenienti da 73 province italiane, 117 espositori, ben 23 convegni con 113 interventi di relatori, ma soprattutto una insperata attenzione anche da parte di aree economiche e culturali che alla vigilia non era facile ritenere interessate a tali tematiche.

     

Nella prima edizione 'Civitas' ha ampiamente dimostrato come sia fondamentale uno spazio e un momento in cui tutti i soggetti dell'economia sociale possano incontrarsi, confrontarsi, dibattere i temi che maggiormente li appassionano, ma anche avere l'opportunità  di uno spazio commerciale.

     

Eccoli, dunque, i due ambiti di questa singolare manifestazione: da un lato quello espositivo, animato dalla presenza di enti, organizzazioni, associazioni operanti a vario genere nel mondo del  non profit ; dall'altro, il vasto programma culturale, su tematiche       come quella del lavoro, dell'impresa sociale, ma anche dell'impegno nei confronti delle devianze, dell'integrazione dei portatori di handicap, del servizio alle fasce deboli.

     

Molta attenzione, poi, sarà  data quest'anno alla prospettiva europea: un'apertura che sta a cuore al terzo settore, che guarda con interesse alle esperienze di altri paesi, dove cooperazione, volontariato e non profit hanno percorso strade talora inedite e       meritevoli di conoscenza, oltre, naturalmente, a intravedere all'estero nuove opportunità  di impegno e iniziativa.

     

 Per una spesa equa

     

Anche facendo la spesa abbiamo la possibilità  di dare qualche piccola lezione di giustizia. Scegliendo dei prodotti con il marchio TransFair, sappiamo che quella confezione di caffè o di tè (e presto anche di cacao) è stato acquistata da un produttore del Sud del mondo a prezzo equo, cioè senza intermediazioni o speculazioni. TransFair è un marchio un po' speciale, raffigura un omino bianco e nero che regge       due canestri, e intende rendere 'etico' il commercio. È un marchio diffuso in molti paesi e sostenuto in Italia da numerose realtà  interessate allo sviluppo del mercato equo (tra le altre: Acli, Arci, Cipsi, Cmt, Mag, Mani Tese, Pax Christi). TransFair non commercializza direttamente i prodotti, ma stabilisce i criteri del mercato equo: fissa il prezzo da pagare ai produttori, ne tiene un registro, e concede il marchio di garanzia del rispetto di queste condizioni a importatori e distributori che lavorano in Italia.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017