Così piccoli così tristi
«Un solo bambino è come una goccia di pioggia nella stagione arida», recita un antico proverbio africano. La tradizione ne annovera molti che celebrano la gioia di un figlio e indicano la sterilità come sciagura. Ma l`Africa da alcuni decenni sta perdendo le sue radici. Dagli anni `70, ogni anno di più, molti suoi figli, gioia di un tempo, sono diventati vuoti a perdere, cioè bambini di strada, soli, criminalizzati, uccisi, esposti agli abusi e alle violenze. Sono i bambini delle baraccopoli, frutto dell`emigrazione dalle campagne e dell`inurbamento selvaggio. Sono i figli della povertà , causata da una modernità senz`anima che ha disgregato irrimediabilmente la famiglia africana e cancellato la solidarietà di clan.
A questi bambini abbandonati è rivolto un microprogetto realizzato, con i fondi della Caritas antoniana, dai frati minori conventuali del Kenya, a Limuru, città a circa cinquanta chilometri dalla capitale Nairobi. I piccoli, in maggioranza bambine, sono figli di madri sole, le più esposte alle violenze, alla necessità di vivere di attività illecite come la vendita di alcolici o la prostituzione. Molte sono giovanissime. Possono avere anche quindici anni e una storia di abuso alle spalle. Quasi tutte provengono dalla baraccopoli di Misri.
«Tutto è cominciato nel 1997 ` spiega padre Kazimierz Szulc, responsabile del progetto `. Preoccupati dalla condizione delle donne, avevamo aperto, con l`aiuto dei sostenitori della Caritas antoniana, il St. Anthony women centre, un centro per il recupero della dignità e dell`autonomia economica delle donne. Le suore del Sacro cuore, un ordine di origine maltese, ci avevano dato la disponibilità di gestire il centro e di seguire le ragazze». Fu come scoperchiare un vaso di dolore. Molte madri avevano dai cinque ai nove figli e vivevano in baracche da una sola stanza. Per sopravvivere, senza alcuna educazione o possibilità di lavorare, si affidavano a uomini che presto le abbandonavano. Da ciascuno avevano uno o più figli, bimbi ai quali non potevano assicurare né cibo né scuola e che spesso finivano sulla strada. «Questi bambini ` spiega Kazimierz Szulc ` subiscono ogni tipo di violenza: sono stuprati, non di rado dagli stessi familiari; sfruttati nel lavoro o costretti a rubare o a prostituirsi per mangiare; per calmare fame e paura sniffano colle o diventano alcolisti. Sono state proprio le madri, che, sentendosi sostenute dal nostro centro, hanno trovato il coraggio di chiederci aiuto anche per i loro figli».
Il St. Anthony women centre si aprì così all`accoglienza dei bambini. Oggi ottanta di loro ricevono quotidianamente dalle suore qualche lezione di base e un pasto al giorno. Quaranta sono in grado di frequentare la scuola primaria grazie all`appoggio di benefattori. «Vedi subito che sono bambini con gravi problemi ` racconta padre Kazimierz Szulc `. Si avvicinano con diffidenza, sono chiusi e impauriti, se tenti un approccio scappano a nascondersi. Ci è voluto tanto tempo perché cominciassero a piangere, a parlare, a raccontarti le loro storie. Ci siamo accorti che dovevamo fare di più: molti erano orfani, altri non potevano rientrare in famiglia perché scappavano da violenze, altri erano molto malati per la vita di strada».
L`idea di costruire una casa per loro fu una logica conseguenza. I frati cercarono risorse locali e quando ebbero una cifra consistente iniziarono i lavori. Nonostante gli sforzi e l`aiuto della gente, non riuscirono a finire la costruzione. Nel marzo dell`anno scorso inviarono una lettera alla Caritas antoniana chiedendo aiuto: «Ci basterebbero 30 milioni di lire per portare a buon punto i lavori. La casa che stiamo costruendo ospiterà almeno quaranta bambini in particolare difficoltà , perché dove è possibile favoriamo il ricongiungimento con le famiglie. Le suore del Sacro cuore si occuperanno anche dei bambini mentre la gente del posto ci aiuterà nella gestione e nel mantenimento della casa. L`orto adiacente alla costruzione produrrà parte del cibo».
L`ultima lettera di padre Kazimierz, giunta lo scorso dicembre, ci informava sullo stato dei lavori: «Il vostro contributo è stato importantissimo. La struttura esterna è stata completata, ma l`interno è ancora al grezzo. Mancano i pavimenti e l`impianto idrosanitario ed elettrico, che speriamo di poter completare al più presto. I bambini che vengono al centro delle donne tutti i giorni sono impazienti. Mi chiedono: `Padre, ma quando possiamo entrarci?`. Si vede che sono entusiasti. Vi ringraziamo anche a nome loro. Questo progetto è davvero importante e urgente per la loro vita».