Credi nella risurrezione?

Abbiamo chiesto ad alcuni personaggi del mondo della cultura, dello sport e dello spettacolo che cosa significhi per i credenti che Cristo è risorto, o per i lontani quale provocazione può suscitare una simile vicenda?
02 Aprile 1998 | di
   
   
È più facile o è più difficile oggi cogliere il messaggio della Pasqua? Che cosa ha da dire all'uomo, alle soglie del terzo millennio, il Cristo, con la sua morte e la sua risurrezione? Sono domande che in qualche modo interpellano tutti, credenti e non, perché il messaggio sotteso a quello che per i cattolici è il momento culminante dell'anno liturgico è anche una provocazione straordinaria per l'uomo, qualunque sia la sua esperienza. Ma perché oggi, in un generalizzato ritorno di interesse ai fatti religiosi, proprio il messaggio pasquale sembra essere quello che più inquieta? 'Probabilmente perché ci troviamo alla fine di un secolo tra i più tragici della storia - risponde monsignor Vincenzo Paglia, assistente ecclesiastico della Comunità  di Sant'Egidio - segnato come non mai dalla morte, dalla tragedia, dalla disumanità . Un mondo, quindi, che ha particolarmente bisogno della Pasqua, cioè di un passaggio'.     

Vincenzo Paglia   Ecco, allora, che è passaggio la  prima parola-chiave che s'incontra volendo indagare sul senso del mistero pasquale oggi; un passaggio, continua monsignor Paglia, 'verso un mondo nuovo, dove vengono superati l'egoismo, l'individualismo, il soggettivismo: tutto ciò Cristo l'ha crocifisso con sé. È sintomatico - aggiunge - che l'invito rivolto a Gesù ai piedi della croce fu: 'Salva te stesso'. Sulla croce è stato crocifisso l'amore per se stessi. La  risurrezione comincia da lì, perché Gesù è morto per salvare tutti e tutti siamo invitati a partecipare a questo amore che ha vinto la morte e che dà  vita'. Ciò che colpisce di più l'uomo è il paradosso dell'unione tra la croce e la risurrezione. Un paradosso che però apre alla speranza, seconda parola-guida di questa ricerca. 'Cristo - spiega ancora monsignor Paglia - con la sua morte e risurrezione dischiude al mondo una possibilità  nuova; è la luce che sconfigge la notte, che ridà  all'uomo la possibilità  di rialzare lo sguardo per guardare al futuro in una prospettiva meno angosciante. In questo senso la Pasqua è universale. In essa c'è un'attesa ignota, senza nome, ma che è l'attesa dell'Algeria martoriata dagli       eccidi, dei curdi senza patria, dei milioni di uomini che muoiono di fame, della gente disperata, degli anziani, dei malati'.

     

Pietro Citati Un messaggio di speranza per tutti, dunque, che non esclude i 'lontani'. Ne è convinto anche Pietro Citati, scrittore e critico letterario, che si dichiara non molto osservante, uno che frequenta le chiese solo per ragioni artistiche ma che è particolarmente attento ai fatti della fede.  'La grandezza del messaggio - sottolinea - è nelle parole stesse: morte e  risurrezione. Dicono tutto. Il cristianesimo è tutto lì, come pure il messaggio universale: la morte di un Dio sulla croce, la risurrezione di un Dio. È una cosa di una semplicità  infinita, con una simbologia  altrettanto infinita che si concreta al fine in quelle parole'. Insomma,   l'uomo, qualunque sia la sua vicenda umana, non può non sentirsi quantomeno provocato da una simile vicenda. Ma oggi è più facile essere  colpiti da una tale simbologia? 'No. Non credo - risponde Citati - . È come  sempre, non più difficile che in altri tempi. È un simbolo dell'animo umano realizzato nel cristianesimo all'estremo della tragicità  e dell'intensità . È possibilissimo crederci, oggi come ieri'.

     

Pupi Avati Anche per il noto regista Pupi Avati in questa fine di millennio è più facile credere nel mistero pasquale. 'È più semplice - sottolinea - perché è diventata un'urgenza, perché, citando Heidegger, ormai soltanto un Dio ci può salvare. Credo che questa sia un'idea che si va diffondendo in modo impetuoso, quasi precipitoso, in tutto il mondo. Oramai le sperimentazioni che prescindono da Dio, che contano solo sull' uomo, nella sua razionalità  e immediatezza, hanno dimostrato grandissimi limiti. Non dovrebbe essere lontano il giorno in cui la conversione del mondo sarà  assoluta nei riguardi di questo Dio unico'.

     

Per Avati tutto è racchiuso nell'universalità  del messaggio. 'Il concetto di una rinascita - spiega, introducendo un altro termine-guida - è legato all'idea di un Dio di tutti, di un Padre che risorge e che con lui fa risorgere tutta l'umanità . Credo che l'idea di una seconda nascita alla luce di una vita precedente,  sia profondamente commovente ed esaltante. Personalmente l'ho sempre vissuta come tale. Le pagine del Vangelo che raccontano la morte e la risurrezione sono sicuramente le più belle, sono quelle che si aprono veramente alla speranza. Ritengo che non sia possibile confidare in nessuna religione il cui dio non ti assicura questo, che non ti dice che  dopo c'è una risurrezione per sé e per te, da vivere assieme'. Non solo. Secondo il regista l'aspetto più condivisibile del messaggio, qualunque sia la propria storia, è quello di un 'Dio che offre la possibilità  di ricominciare dopo il peccato, dopo l'errore. Credo - conclude - che ogni uomo, dal più sprovveduto al più acculturato, non possa far altro che riempire se stesso di questa idea e vivere in maniera meno mortificante e meno rassegnata la propria esistenza'.

     

Demetrio Albertini Una testimonianza molto concreta, dunque, che in  qualche modo si completa con un'altra, forse più immediata, frutto di un'età , di una esperienza e di una sensibilità  diverse: quella di Demetrio Albertini, calciatore del Milan e della Nazionale. Per lui, nato e cresciuto in una famiglia profondamente cattolica e con un fratello  sacerdote, non è stato difficile credere e alimentare la propria fede. Ma a un giovane qualunque, anche lontano, che cosa ha da dire oggi Gesù che muore e risorge? 'Un invito alla speranza, prima di tutto - risponde Albertini - , ma più ancora la proposta di un qualcosa in cui credere. Un messaggio di fede, quindi, ma anche una provocazione a credere in un fatto eccezionale che cambia gli uomini e la storia. Eppoi, al di là  di questo - conclude - è difficile non essere interrogati, inquietati dalla risurrezione, come mistero, cioè dalla promessa di una vita oltre questa. Le persone sperano sempre in qualcosa oltre la morte'.

     

Abel Balbo  Altrettanto immediata e sentita è la testimonianza di un altro calciatore, Abel Balbo, attaccante della Roma e  della Nazionale argentina, che premette di avere una famiglia cristiana e di vivere come 'uno che cerca di essere 'Chiesa''. 'La risurrezione - dice - è un fatto che mi dà  gioia. Direi che è la ragione stessa per cui ho fede in Cristo. Fin da bambino mia madre e il mio parroco mi hanno insegnato che Gesù è l'unico uomo uscito vivo dal tunnel della morte. Lui è risorto. Non c'è cosa più bella che avere questa fede. Dà  senso alla vita qui, sulla terra, perché le dà  una dimensione che va oltre i nostri limiti. Amo leggere il Vangelo, lo faccio spesso da solo o con mia moglie, e penso che il racconto della risurrezione non solo sia drammaticamente intenso, ma che soprattutto rappresenti una speranza per tutti. Anche chi non crede non può non esserne provocato'.

     

Fiore Crespi Un passato da fotomodella e da redattrice di moda. Oggi Fiore Crespi è presidente nazionale dell'Anlaids, l'associazione che si occupa di lotta all'Aids cui ha aderito quindici anni fa.

Che cosa può dire la Pasqua ai malati di Aids? 'Il messaggio della risurrezione l'abbiamo simbolicamente concentrato nel concetto del bonsai. L'uomo è come una pianta che può crescere, anche in condizioni stranissime, insolite, disagiate, però può essere, comunque, sana e forte perché amata e curata. Abbiamo voluto dire che l'uomo costretto a una vita sofferente, se amato e curato, riesce a vivere bene quello che gli è dovuto. Per il malato di Aids è drammatico il momento in cui gli viene comunicata la diagnosi, allora ha uno shock, ha la sensazione di una annunciazione di morte vicina. In realtà , poi, per molte persone la malattia costituisce una sorta di risurrezione, che       riporta l'uomo alla sua integrità .       

'È qualcosa più facile da dire che da vivere, ma un momento drammatico può condurre alcune persone alla disperazione e poi spingerle a trovare in se stesse la forza per       ricominciare, per lottare. Molte persone hanno avuto da questa malattia una spinta per riflettere sulla propria vita considerando: 'Forse non ho più lo stesso tempo davanti, allora la mia vita deve diventare importante, devo vivere delle relazioni di amicizia intensissime''.

     

Suor Ivana  Kaneclin È delle carmelitane di santa Teresa e assistente sociale, e lavora con gli anziani in un centro sociale nel cuore di Palermo. 'Sono in attesa di trapianto di fegato e di pancreas  - dice suor Ivana - quindi con dei grossi condizionamenti fisici. Avevo escluso il trapianto, pensando che se c'era un organo disponibile era  meglio che andasse a una madre di famiglia, a un giovane. Ma i medici mi hanno fatto riflettere, allora dico: 'Signore, fai quello che vuoi tu. Dove posso, mi dono; quando non ce la faccio più mi siedo. Ma col desiderio di alzarmi'. Mi chiedo: 'Perché a me?', come tutti quelli che si trovano di fronte a una sofferenza. Cerco di darmi da fare perché diventi una dimensione positiva. È duro, ma aiuterà  altri a sorridere. Anche noi  possiamo soffrire per risorgere e per far risorgere altri con noi. Nella comunione dei santi l'adesione alla volontà  di Dio è risurrezione per tanti che non sapranno mai di risorgere. Mi sento pienamente cristiana perché mi sento partecipe della gioia di Cristo che è morto. Ma per far risorgere. Perché ha creduto nell'opportunità  che persone brutte, sporche e cattive diventassero belle, buone e sante'.

     

Ennio De Concini Ed è quello che in qualche modo sta accadendo ad Ennio De Concini, sceneggiatore, vincitore di un Oscar, che, confessa, sta 'cominciando a penetrare il mistero della Pasqua proprio ora'. E un evento in particolare, tragico e doloroso, ha segnato questo passaggio dal non credere al credere, in una ricerca non ancora conclusa: la morte del figlio. 'Non è stato solo il dolore - racconta - ma lo spavento di ritrovarmi di fronte al nulla. Dopo la sicurezza di una vita nella qualemi ero dannato di lavoro per assicurare un futuro a mio figlio, improvvisamente lui se n'è andato. Ho avuto un crollo. Prima, gli errori e  le negatività  della mia vita erano coperti da un paravento: tutto era per mio figlio e ciò giustificava tutto. Di colpo mi sono ritrovato di fronte a uno specchio e ho visto che la mia vita era priva di umiltà  e di amore: era una grande menzogna che mostrava il fallimento. Al fine, la morte di mio figlio è stata per me una risurrezione; mi ha cambiato completamente,  ho cominciato a considerare la fede'. Più che una conversione fulminea si è trattato dell'inizio di un cammino. 'Ho cominciato a sentire dentro una diversa necessità  - spiega De Concini - , ho iniziato a prendere coscienza  che ero un uomo. In questo sono stato aiutato dall'incontro con un vescovo, che ha iniziato ad aprirmi il cuore alle cose della fede'. Ed ecco la scoperta del Dio che muore e risorge. 'Un Dio - aggiunge - che lancia un messaggio di speranza, che fa capire che si può essere utili a  se stessi e agli altri, che ci apre alla carità . Ma è il messaggio della salvezza, che si realizza con l'incarnazione, la morte e la risurrezione di Gesù, il regalo più grande che Dio ha fatto all'umanità . Al di fuori di ciò non so cos'altro si possa sperare'.

     

Irene Pivetti  Per anni nelle file della Lega Nord, è stata presidente della Camera nella passata legislatura. Per contrasti con i compagni sul progetto secessionista, ha       lasciato la Lega, fondando un suo movimento.

Che senso può avere nell'epoca della 'clonazione' la risurrezione di Cristo? 'La clonazione non è un'eternizzazione, ma un'esperimento che ripropone angosciosamente la ripetizione del limite, dell'errore. Non ha senso. Risurrezione per un cristiano è entrare nel regno dei cieli anima e corpo. Attenzione, però: un mio insegnante di teologia all'Università  Cattolica, ironizzando a proposito del mistero delle risurrezione, diceva: 'Ragazzi, ricordatevi che non si tratta della risurrezione di un cadavere'. Questo per ribadirne il significato altamente simbolico e spirituale, oltre che reale e materiale'.       

(Hanno collaborato Laura  Pisanello e Alma Daddario)

     

     
               
         
                                               E il laico ci spera           

Giorgio  Rumi. Se ciò può  essere vero a livello personale, potrebbe non esserlo a livello storico, almeno per una nazione come quella italiana. Per Giorgio Rumi, storico, 'la risurrezione è stata il fatto centrale della tradizione cristiana fino a quando non si è rotta l'unità  della cultura civile di questo paese, un paese culturalmente cristiano,  più o meno 200 anni fa. Con il farsi strada di un pensiero secolarizzato, si è giunti anche all'irrisione della risurrezione. Per due secoli, quindi, questo è stato un argomento molto delicato e di divisione'. Poi si è assistito a un ritorno del sacro, con una nuova attenzione verso questo tema cruciale. Oggi la prova, secondo  Rumi, è nel proliferare di sètte, di millenaristi che praticano addirittura il suicidio per avere la risurrezione. 'Se si vuole - sottolinea - dopo l'oblio si assiste a una sorta di risurrezione dal punto di vista culturale'. Allora, perché credere? 'Perché il messaggio racchiude una speranza, non solo consolatoria - risponde ancora lo storico - , che diventa una sorta di metafora della condizione umana, contro l'assurdità  della vita e la vanità  delle cose dell'uomo. È come dire che quello che fai vale, che non finisce nel nulla. Ed è interessante - aggiunge - vedere come, mentre i cristiani sorvolano su questo aspetto, è più facile trovare l'ex laicista che pone il problema con speranza, che lo chiede e ti interpella su di esso; e alla fine spera, come tutti, in una risposta positiva'. Insomma, questa fine di millennio sembra dischiudersi al problema con molto meno orgoglio e con più possibilismo e spirito di ricerca. Anche se poi, come sottolinea lo stesso Rumi, ciò che colpisce l'animo dell'uomo è 'la figura di un Dio che scende dall'altare per farsi vicino; che accetta le sofferenze umane e muore, per poi offrire un'altra possibilità  di vita.

     

 

     

     
               
         
                                                  Se Cristo non è risorto...            

'O ra, se si predica che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota è allora la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede... e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi             abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo più             sventurati di tutti gli uomini'.
(Prima lettera di san Paolo ai Corinzi15,12-14.17-19)

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017