Cristoforo Colombo con qualche sorpresa
La casa di Ruggero Marino potrebbe essere aperta al pubblico come museo colombiano: tutta tappezzata di carte geografiche, stampe antiche, riproduzioni di mappe cinquecentesche. E poi dei ritratti di Toscanelli, Vespucci, Marco Polo e dei Papi che in qualche maniera furono legati al grande navigatore: Innocenzo VIII e Alessandro VI.
Di Colombo, Marino è uno studioso di lunga, lunghissima data. Da quasi vent’anni compulsa le cronache più rare, fruga nelle biblioteche, studia carte polverose mai uscite dagli archivi, paragona, soppesa, controlla, valuta dati e testimonianze... Più che uno scrittore, Ruggero Marino è un agente segreto sulle orme di Colombo, che cerca di decifrare il grande mistero che ancora oggi avvolge lo scopritore dell’America.
Msa. Ma perché Cristoforo Colombo resta ancora, a distanza di secoli, un mistero?
Marino. Sì, è vero, Cristoforo Colombo è un personaggio misterioso, che nasce misterioso e vive misteriosamente. E misterioso è quello che il figlio ci ha lasciato. Dobbiamo però dire che il mistero allora non era, come oggi, una moda, ma una forma mentis alta e spirituale del tempo. L’allegoria, i simboli, erano una delle chiavi di lettura della realtà per le menti più illuminate. Io penso che occorra rivedere tutta la vicenda e soprattutto cercare di dare una consistenza storica a Colombo, che non era – come qualcuno scrive – un «oscuro marinaretto». Colombo, per capirlo, va riportato nell’alveo del Rinascimento italiano.
Perché tante incertezze?
Perché i dati certi su di lui sono pochi, pochissimi, al punto che lo scrittore Mario Puzo – l’autore de Il Padrino – che doveva fare per Hollywood una sceneggiatura su Colombo, diceva di aver trovato tutto e il contrario di tutto. Si poteva dimostrare perfino che Colombo non era mai esistito. Il mistero comincia fin dalla nascita: era italiano? spagnolo? portoghese? Colombo è scientificamente italiano per gli italiani; e scientificamente se lo contendono almeno dieci città. È scientificamente spagnolo per gli spagnoli, e portoghese per i portoghesi. Io penso che Colombo avesse anche ascendenze greche, come del resto papa Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo, anche lui cittadino genovese.
Oggi si discute sul grande navigatore. Ma per secoli il suo nome è scomparso.
Colombo è stato presto cancellato dalla memoria. Non c’è nemmeno una notizia sulla sua morte. Secondo me, perché c’era da nascondere qualcosa, che poi è rimasto sottotraccia per molto tempo. Solo la Chiesa lo ricorderà con alcuni suoi grandi pittori. Ma soltanto nell’Ottocento, sull’onda della riscoperta delle grandi imprese e dei grandi eroi, Colombo è ritornato sulla scena. E a riproporlo sono stati soprattutto due Papi, Pio IX e Leone XIII, che volevano perfino beatificarlo.
Secondo lei, qual era la cosa che doveva essere nascosta?
Azzardo un’ipotesi. Si era allora creato un asse Monarchia spagnola-Vaticano, cioè tra Ferdinando e Isabella di Castiglia e papa Alessandro VI Borgia, anche lui spagnolo. C’era tutto l’interesse a magnificare i re di Spagna e ad attribuire loro la gloria della scoperta. Invece, come gli studi stanno ora dimostrando, i finanziamenti per il viaggio vennero proprio da Roma. Innocenzo VIII, Papa genovese, sognava una crociata, una riconquista cristiana del mondo e di questa impresa Colombo era l’ala più avanzata. Insomma, la Spagna si è impossessata abusivamente di Colombo e questo può spiegare l’insabbiamento di tutta la storia.
Lei dice che «non era un marinaretto». E chi era allora Colombo?
Colombo era molto più colto e più preparato intellettualmente di quanto lo si voglia far apparire. La sua biblioteca era ricchissima. A quel tempo i libri costavano tanto, era quindi improbabile che un semplice marinaio, o anche un capitano, potesse permettersi questo lusso. In alcune delle sue lettere egli fa un lungo elenco di autori eccellenti: geografi, teologi, filosofi… Non era uomo di lettere, si occupava di geometria, di astronomia, di matematica, aveva, insomma, una preparazione non comune. E poi frequentava uomini di Chiesa che erano, a quel tempo, il top della cultura, e soprattutto frequentava i conventi dei francescani, che raccoglievano i resoconti di quanti erano andati nelle Indie.
Ma un giorno si presenta a corte e dice: datemi i soldi, vado a cercare nuove terre.
Ecco, qui sta l’assurdità. Immaginiamo che oggi uno vada da Bush e gli dica: «Dammi un’astronave e io vado a scoprire un mondo nuovo». Questa è, in termini moderni, l’avventura di Colombo. Non si può pensare che un umile marinaio abbia avuto soldi e carta bianca per un viaggio che appariva incerto. Doveva essere, invece, un uomo di qualche notorietà e di un certo spessore, anche sociale. Fra l’altro, si confrontava con i grandi di Spagna, e si permetteva di dire: «Guardate, la geografia è diversa dalla teologia, voi sbagliate». Era in corrispondenza con Toscanelli, che era uno dei massimi scienziati del tempo. In un’epoca in cui i ruoli sociali erano rigidamente delineati, trattava con teste coronate, nobili, Papi e cardinali. Suo fratello, poi, era alla corte inglese. Voglio dire: Colombo era un personaggio conosciuto, apprezzato, di grande cultura e anche di ampie conoscenze sociali.
Chi diede, allora, i soldi per la scoperta dell’America?
Anche sui soldi c’è stata sempre molta nebbia: per me, erano italiani e facevano capo alla Chiesa. I soldi spagnoli provenivano dal fondo messo da parte da Innocenzo VIII per la crociata contro i mori. A scoperta avvenuta, la monarchia di Spagna si prese tutto il merito dell’avventura, e Alessandro VI fu felice che il successo fosse ascritto alla sua patria.
Che fine hanno fatto tutti i documenti?
Fino all’Ottocento alcuni dovevano esserci. Come avrebbe potuto Pio IX proporre un processo di beatificazione per Colombo se non c’erano documenti? Fino ad allora, qualcosa, e d’importante, c’era senz’altro.
Un’ipotesi si sta facendo strada: che qualcuno sia andato in America prima di Colombo. Chi?
Penso che i cinesi andassero tranquillamente in America già prima di Colombo. Anche Marco Polo probabilmente c’era stato: infatti, quando parla del Cipango, racconta di un mondo distantissimo dalla Cina, per raggiungere il quale ci voleva un anno di navigazione. Il racconto di Marco Polo è confermato dalle vicende di Nicolò da Conti che papa Niccolò V fece trascrivere per intero dal suo segretario Poggio Bracciolini: la narrazione ha molte attinenze con quella di Marco Polo.
Colombo nel 1492, poi, avanzò nell’Atlantico come fosse su un’autostrada, per trovare esattamente quello che aveva annunciato. Al punto che la regina Isabella fu costretta ad ammettere: «Tutto quello che ci diceste, fin dall’inizio, che si sarebbe potuto trovare, nella maggior parte tutto si rivelò con certezza come se voi lo aveste visto prima di descrivercelo». Identico concetto esprime Bartolomeo de Las Casas, che fu il primo cronista della scoperta. Dice che Colombo parlava delle Indie come se le avesse custodite nella sua cassaforte.
C’è, dunque, il sospetto che Colombo fosse stato già in America?
La sicurezza con la quale egli viaggiò è una piccola prova. Ma ce n’è un’altra. Negli accordi firmati tra Colombo e i reali di Spagna, prima del famoso viaggio, si precisa che la Corona gli avrebbe concesso quanto prometteva «per quello che ha scoperto». Si usa il passato. C’è poi la carta dell’ammiraglio turco Piri Reis, nella quale figurano già le coste americane «scoperte – vi è scritto – nel 1485... da un infedele di Genova chiamato Colombo». «Colombo era un grande astronomo e le coste e i litorali – scrive Piri Reis – sono stati presi dalle sue carte ». Infine, la tomba di Innocenzo VIII in San Pietro scolpita dal Pollaiolo, sulla cui epigrafe si può leggere: Novi orbis suo aevo inventi gloria («Nel suo pontificato, la gloria della scoperta del nuovo mondo»). Si rammenti che Innocenzo VIII morì una settimana prima che Colombo partisse. Esistono motivi scientificamente validi per affermare che Colombo era già stato in America o nel 1485 o subito dopo.
Parliamo di un altro mistero: quello delle carte geografiche.
Per noi è difficile immaginarlo: sono a disposizione tutte le carte che vogliamo. Ma allora, chi aveva viaggiato, e magari scoperto terre ricchissime o banchi pescosissimi, non andava a dirlo in giro. Diventava un segreto. Le relative documentazioni venivano custodite religiosamente. Era prevista addirittura la condanna a morte per chi diffondeva notizie su isole e Paesi nuovi. Molte carte erano depositate nei conventi, custodite da uomini di Chiesa o in Vaticano.
Lei è uno studioso di Colombo anche molto contestato. Perché?
Perché vado controcorrente. E perché sono un giornalista. Come se la storia fosse appannaggio esclusivo degli accademici e degli universitari, i quali in Italia, su questioni come questa, detengono tutto il potere e pretenderebbero l’esclusiva. Il problema vero è che Colombo è una coperta corta e ognuno la tira dalla propria parte. Io ho avuto più riconoscimenti all’estero che in Italia, a cominciare dal noto studioso German Arciniegas per finire con il «Times». Oggi faccio parte della Commissione scientifica colombiana.
Da che cosa fu mosso Colombo: dal desiderio di ricchezze, di oro o dalla fede?
Colombo, personaggio molto complesso, era anche un mistico e morì indossando il saio francescano. Io credo che egli fosse mosso prima di tutto dal desiderio di evangelizzare nuove terre, e probabilmente dal sogno di una pace universale fra le tre grandi religioni del Libro (ebraismo, cristianesimo e islam).
Colombo fu consapevole di aver scoperto un nuovo mondo? Uno studioso come German Arciniegas scrive che fu Vespucci a capire il valore della scoperta.
Colombo capì perfettamente di aver aver scoperto un nuovo mondo quando arrivò alle foci dell’Orinoco: questo grande fiume, disse, non poteva che venire da un continente. Oggi a noi non interessa sapere chi è giunto per primo in America. Anche perché non lo sapremo mai con certezza. Conta chi ha cambiato la storia del mondo con la sua «scoperta». E con la sua impareggiabile avventura.