Custodi del Creato
«I politici e i tecnici devono essere capaci di rispondere alla grande sfida ecologica». Era il 12 luglio 2008 quando Benedetto XVI, in volo verso l’Australia per la Giornata mondiale della gioventù, rispondeva così alla domanda di un giornalista. La Chiesa, spiegò, non ha il compito di suggerire soluzioni pratiche, ma ha il dovere di ricordare che nei confronti della creazione c’è una responsabilità morale, da tradurre nel risveglio delle coscienze e in uno stile di vita adeguato.
Questi principi, esposti compiutamente nell’enciclica Caritas in veritate, sono ora ribaditi nel messaggio per la Giornata mondiale per la pace 2010, che ha per tema Se vuoi coltivare la pace custodisci il creato, dove torna l’accostamento fra l’universo e un giardino nel quale l’uomo è chiamato a vivere da giardiniere giudizioso e responsabile, in armonia con i doni elargiti da Dio.
Giovanni Paolo II, introducendo la nozione di «ecologia umana», disse che la tutela dell’ambiente è possibile se possediamo un sano equilibrio interiore e se la nostra vita è impostata secondo valori morali derivanti dal legame con Dio creatore. Benedetto XVI riprende questo insegnamento e spiega che «se viene meno il rapporto della creatura umana con il creatore, la materia è ridotta a possesso egoistico» (udienza generale, 26 agosto 2009) e che uno sviluppo limitato all’aspetto tecnico-economico, senza tenere conto della dimensione religiosa e morale, «non sarebbe uno sviluppo umano integrale e finirebbe per incentivare le capacità distruttive dell’uomo» (messaggio per la Giornata mondiale per la pace 2007).
L’ambiente non è un giocattolo
«Il legame tra ecologia umana, ecologia ambientale e questione della pace è evidente se consideriamo il problema dell’acqua», dice monsignor Tarcisius Gervazio Ziyaye, arcivescovo di Blantyre, nel Malawi. «Il nostro Paese, nell’Africa orientale, non ha sbocchi sul mare, ma circa un quinto della sua superficie è costituito da un lago. Siamo quindi ricchi d’acqua, eppure, poiché non possediamo le tecnologie necessarie, non possiamo trarne beneficio. Vorremmo realizzare una zona verde nella quale far confluire le acque per scopo agricolo, un progetto fondamentale per il nostro sviluppo, ma senza aiuti internazionali rischia di restare un sogno. In una realtà come quella africana la risorsa acqua da fattore di sviluppo può facilmente trasformarsi in motivo di conflitto».
Il recente sinodo dei vescovi per l’Africa è stato un importante momento di discussione e di verifica circa gli insegnamenti del magistero pontificio sul rapporto tra difesa dell’ambiente, sviluppo e promozione della pace.
«Nel nostro continente le multinazionali sfruttano le risorse naturali in un modo che non ha precedenti nella storia», ha denunciato il vescovo di Umuahia, in Nigeria, monsignor Lucius Iwejuru Ugorji. «Lo sfruttamento sconsiderato dell’ambiente ha un impatto devastante e minaccia la possibilità di vivere in pace. Aree intere sono distrutte con la deforestazione, l’estrazione del petrolio, lo smaltimento di rifiuti tossici e materiali non degradabili. L’erosione causata dall’uomo porta via terreni agricoli, distrugge le strade, insabbia le sorgenti d’acqua. Tutto ciò impoverisce le popolazioni facendo crescere le tensioni e innescando conflitti».
I comportamenti irresponsabili in campo ambientale si ripercuotono a catena sull’intero pianeta, come si vede nel caso dei cambiamenti climatici, e anche in questo caso sono i più poveri a pagare il prezzo più salato, come ha denunciato Benedetto XVI nell’Angelus del 30 agosto 2008.
Padre Johannes Muller, gesuita tedesco, docente di economia all’Università di Monaco, ha scritto sulla «Civiltà cattolica» che per arginare il riscaldamento globale è necessaria una «dieta» dei consumi a livello mondiale, ma ha aggiunto che sarebbe davvero tragico, oltre che immorale, se i ricchi, con questa scusa, impedissero ai poveri di recuperare. Il principio da adottare dovrebbe essere piuttosto quello del «chi rompe paga».
La finanza internazionale ha un ruolo decisivo, che però al momento è prevalentemente dannoso per i Paesi poveri, sottoposti a nuove forme di colonizzazione. Anziché dirigersi verso progetti di sviluppo, il denaro va ad alimentare il commercio delle armi e le spese militari, un cancro che, assieme alla corruzione della classe politica, condanna intere popolazioni al sottosviluppo e all’ingiustizia.
Alla radice delle guerre
Il problema riguarda anche la promozione degli organismi geneticamente modificati in agricoltura, portata avanti in base alla falsa idea che potrebbero dare da mangiare a tutti, mentre in realtà, come la Chiesa denuncia da tempo, queste tecniche rovinano i piccoli coltivatori tradizionali, i quali avrebbero invece bisogno di terra arabile, acqua, energia, strade e accesso al credito.
La Chiesa cattolica è spesso messa sotto accusa, per la sua posizione a favore della vita, da chi vede nella crescita demografica la causa di tutti i mali, ma gli studi più seri dimostrano che la correlazione è arbitraria e strumentale. Come si vede nel caso dell’India, la crescita della popolazione non ostacola necessariamente lo sviluppo, ma anzi può favorirlo. Come ha detto una volta il cardinale Oscar Maradiaga, oggi la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro è spesso interpretata in modo perverso dai ricchi, che rifiutano di ammettere a tavola nuovi commensali e si dicono convinti che Epulone debba mangiare di più e meglio, così da aumentare il numero e la qualità delle briciole che milioni e milioni di Lazzaro potranno raccogliere.
È proprio vero: non può esserci ecologia ambientale senza ecologia umana.
Messaggio del papa. Crisi ecologica, crisi morale
«La crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. Saggio è, pertanto, operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo. L’umanità ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che costituiscono il solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. Le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale –, sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Esse obbligano a riprogettare il comune cammino degli uomini. Obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato alla sobrietà e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno, puntando con fiducia e coraggio sulle esperienze positive compiute e rigettando con decisione quelle negative. Solo così l’attuale crisi diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità».
Benedetto XVI, dal Messaggio per la giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2010
Religioni ed ecologia
Insieme per salvare la terra
Forse pochi sanno che quando il Papa riceve i pellegrini nell’aula Paolo VI in Vaticano tutta l’energia elettrica necessaria per l’illuminazione, l’amplificazione della voce e l’aerazione, è fornita da duemilaquattrocento pannelli fotovoltaici posti sul tetto, che garantiscono una produzione di trecento megawatt all’ora. Segno concreto di attenzione verso l’ecologia e il risparmio energetico, l’iniziativa non è comunque l’unica nell’ambito della Chiesa cattolica. Sempre più numerose sono le parrocchie che utilizzano energie rinnovabili, anche grazie a un progetto della Conferenza episcopale italiana, e non a caso dal 2006, proprio per iniziativa della Cei, si tiene in tutto il Paese la Giornata per la salvaguardia del creato. In un convegno svoltosi l’anno scorso, inoltre, i vescovi italiani hanno richiamato l’attenzione sulla bioedilizia, ovvero su tutti quegli accorgimenti che permettono di costruire edifici ecologici, per esempio utilizzando materiali riciclati e riducendo la dispersione termica. Il tutto in linea con quanto già avviene negli Stati Uniti, dove diverse religioni fanno ormai a gara per ricevere una specifica certificazione ambientale nella costruzione dei loro edifici e dove, a quanto risulta, il primato appartiene per ora a una sinagoga (nella quale, fra l’altro, gli arredi sono stati realizzati con bucce di girasole!).
Un vero antesignano delle battaglie ecologiche in nome di Dio si trova nel mondo ortodosso: è il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, soprannominato il «Patriarca verde». Convinto che ci sia una relazione diretta e necessaria tra la spiritualità interiore e quella che si manifesta nella cura verso il creato, Bartolomeo promuove regolarmente simposi a livello mondiale sui temi della salvaguardia ambientale (memorabile quello su una nave, al largo delle coste della Groenlandia, dedicato nel 2007 al riscaldamento del pianeta e allo scioglimento dei ghiacci) e sostiene, in sintonia con Benedetto XVI, che l’attuale crisi economica deve essere l’occasione per rivedere il nostro stile di vita, incominciando a capire «la connessione integrale fra il cielo, l’umanità e l’habitat».
Il patriarca Bartolomeo sostiene che la capacità di «viaggiare leggeri», riducendo i consumi e l’impatto della nostra presenza sul pianeta, sia a tutti gli effetti una nuova forma di ascetismo, ed è significativo che una tale lezione arrivi dalla spiritualità ortodossa, da sempre attenta alla dimensione contemplativa della fede.
Questo modo di affrontare la questione ecologica in una prospettiva cristiana permette fra l’altro di rispondere all’accusa secondo cui i germi dell’atteggiamento consumistico e poco rispettoso verso il creato si troverebbero proprio nella Bibbia, là dove Dio invita l’uomo a essere fecondo, a moltiplicarsi e a riempire la terra, soggiogando ogni essere vivente. La critica, mossa soprattutto da chi sostiene che in campo ecologico ci sarebbe una superiorità delle religioni orientali rispetto alla tradizione giudaico-cristiana, si regge in realtà su una lettura parziale del testo biblico, dove la natura è presentata come meraviglia nella quale si specchia lo splendore di Dio e dove all’uomo è affidato il compito di custodire il giardino dell’Eden.
In ogni caso, di fronte alle sempre più pressanti questioni ambientali e climatiche, di tutto si sente il bisogno tranne che di polemiche. Le religioni sono chiamate, semmai, a cooperare. Per un impegno ecologico fondato non su paura, catastrofismo e nostalgia, ma su fiducia, amore per la vita e responsabilità.
L’intervista a cura di Giulia Cananzi
Economia verde l’ultima chance
Un’economia rispettosa dell’ambiente e dell’equità tra i popoli è ormai l’unica economia possibile. A dirlo è Richard Samson Odingo, climatologo, premio Nobel per la pace 2007.
La «green economy», cioè l’economia «verde» che riduce al minimo l’emissione di anidride carbonica, e l’equità tra i popoli sono i cardini del futuro sviluppo dell’umanità: «L’unico ormai possibile». A dirlo è un’autorità nel campo dei cambiamenti climatici, Richard Samson Odingo, professore all’università di Nairobi (Kenya), co-vincitore del Nobel per la pace 2007 con Al Gore, come vicepresidente del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu. È in Italia per ricevere il premio Gambrinus Giuseppe Mazzotti, proprio alla vigilia della Conferenza sul clima di Copenhagen cui è invitato. È stato uno dei primi scienziati a informare governanti e multinazionali circa l’effetto che le azioni umane hanno sui cambiamenti climatici. «Fino a quel momento tutti pensavano che l’unico responsabile del clima fosse Dio e che l’atmosfera si ripulisse in proprio». Ironizza Odingo con la sua calma tutta africana.
Msa. Oggi qualcosa è cambiato?
Odingo. Molte multinazionali rimangono col pelo sullo stomaco, non di meno la terra continua a dipendere anche dalle loro mani.
Il problema è che la riduzione dell’inquinamento atmosferico è percepita come un «cattivo investimento».
Certo perché non se ne vedono subito i benefici, ma se il clima cambiasse repentinamente metterebbe in forse non solo gli affari ma anche l’esistenza dell’uomo sulla terra. Eppure basterebbe appena l’1 per cento del Pil mondiale a risollevare le nostre sorti ambientali, un beneficio incommensurabile.
L’Africa, tra i continenti che più soffre per i cambiamenti climatici e lo sfruttamento, oggi è al centro degli investimenti cinesi.
Noi africani non siamo ancora in grado di valutare cosa significhi la loro presenza nel nostro territorio. L’unica certezza al momento è che l’Occidente sta sfruttando le nostre risorse da secoli e oggi, per la prima volta, ha un competitor. Il che non giova all’Africa, come insegna anche un nostro proverbio: «Quando due elefanti combattono, a farne le spese è l’erba».
L’Africa potrebbe essere la culla di un nuovo modo di concepire lo sviluppo?
È un continente immenso, che ha un sesto della popolazione mondiale e moltissime potenzialità. Se solo potesse usare le risorse a proprio beneficio sarebbe certamente in grado di creare un nuovo vocabolario per lo sviluppo, più rispettoso dell’uomo e dell’ambiente. Ciò perché le esigenze di consumo degli africani sono molto basse e la spesa per eliminare la povertà sarebbe davvero esigua. Per questo auspico un piano Marshall per l’Africa, sostenuto dagli europei. Inutile dire che non si tratterebbe di elemosina.
Barack Obama, il primo presidente afroamericano della storia degli Usa, potrebbe fare la differenza?
L’elezione di Barack Obama sarà importante per l’Africa e per le sorti ambientali del pianeta, ne sono convinto. Conoscevo suo padre, era professore con me all’università, e so che il giovane presidente ha grandi potenzialità. Solo che bisogna capire il contesto nel quale si muove: gli Usa sono un Paese difficile da governare e lui ha l’incarico da pochissimo tempo. Ha dalla sua idee nuove e soprattutto la capacità di scaldare il cuore dei giovani. Diamogli tempo.
Però il tempo stringe, lo dicono ormai molti scienziati, mentre l’economia ha bisogno di trovare nuove fonti energetiche.
Non si può più pensare in termini solo economici e pretendere di sopravvivere. Non è più tempo. Bisogna basarsi su cosa davvero serve agli uomini giornalmente e trovare la tecnologia che con il minor impatto ambientale riesca a soddisfare il bisogno. Dovrebbe essere così per il trasporto come per tutti gli altri servizi. Questo è un cambiamento di mentalità fondamentale.
Come favorire questo cambiamento?
Ristabilendo a livello mondiale il principio di equità, riconoscendo che ciascuno di noi ha diritto allo sviluppo e che siamo tutti interdipendenti. Solo se cambia il cuore saremo in grado di cambiare i nostri stili di vita e, di conseguenza, l’economia mondiale. Non farlo significherebbe condannare i nostri figli al disastro ecologico e alla guerra.