Da una generazione all’altra

Bisogna re-imparare il gusto di «pensare per generazioni».Ogni figlio non è solo figlio dei propri genitori, ma di più generazioni, di tutte quelle che lo hanno preceduto.
23 Gennaio 2008 | di

 Da varie parti sono state elaborate analisi impietose della società attuale che finisce per uscirne con un’immagine poco appagante sia per i vecchi che per gli adulti, ma anche per i giovani e perfino per i giovanissimi. Psicologi, sociologi, filosofi e intellettuali di ogni tipo si sforzano di comprendere le ragioni di un malessere diffuso che sembra diventare sempre più invadente. C’è chi parla di società solitaria, nella quale l’isolamento costituisce la principale minaccia all’integrità e al benessere dell’individuo; c’è poi chi la definisce società autistica, nella quale ognuno è racchiuso nel proprio guscio e poco disposto o incapace di calarsi nei panni degli altri. Altri ancora parlano di una società schizofrenica, che non riesce cioè a riassorbire una serie di contraddizioni. Su quest’ultima interpretazione mi sono trovata anch’io a riflettere, colpita dalla coesistenza di opposte tendenze: da un lato l’esplosione di guerre, massacri e avvenimenti tragici, dall’altro l’imperversare di atteggiamenti infantili, che richiamano un mondo di cartoni animati, dominato da bisogni effimeri e situazioni al limite del ridicolo.


Non si tratta naturalmente di fare una scelta tra queste diagnosi, tutte valide in quanto mettono in risalto aspetti diversi della realtà in cui viviamo. Si tratta piuttosto di chiedersi se esistano dei «controveleni» nei confronti delle distorsioni di cui soffre la nostra società, nella quale la carta dei valori sembra diventare sempre più sbiadita.

Ritengo che un antidoto efficace sia quello di imparare, o meglio di re-imparare, a cogliere il filo rosso che si dipana da una generazione all’altra, di valorizzare il retaggio del passato e la sua azione sul presente, di sottolineare una continuità temporale tra le diverse età che riesca ad annullare i sentimenti di spaesamento e ci faccia sentire partecipi di un grande albero nel quale ogni parte – radici, tronco, rami, foglie – è indispensabile.

Forse ciò che si è perso, nel vorticoso succedersi degli eventi, è la consapevolezza di quanto sia importante recuperare un’ottica generativa che riunisca i vari attori della società – nonni, genitori, figli – in un progetto che si avvalga del patrimonio del passato, si radichi nel presente e prefiguri obiettivi futuri. Se tutte le parti dell’albero, dalle radici ai rami più periferici, saranno coinvolte in questo progetto, sarà possibile uscire dalla precarietà e dall’isolamento. Bisogna insomma ritrovare il gusto di «pensare per generazioni», legando ciò e chi ci precede a ciò e a chi ci segue, armonizzando quindi passato, presente e futuro.


Ma è soprattutto sulle parti estreme dell’albero che vorrei soffermarmi, cioè sulle radici e sui rami, per coglierne i reciproci benefici. Credo infatti che tra nonni e nipoti possa crearsi un’intesa felice, in virtù di affinità che accomunano entrambi, differenziandoli gli uni e gli altri dagli adulti genitori. I nonni, per esempio, sanno spesso creare per i nipoti un ambiente a loro misura: il loro tempo è più lento di quello dei genitori, il loro spazio è più ristretto e al bambino viene risparmiata l’ansia del raggiungimento di nuove mete, a cui spesso invece i genitori lo sospingono. Il bambino, dal canto suo, sospinge il nonno verso un mondo di fantasia e di immaginazione che può rendere meno gravosi gli anni del commiato. Ogni figlio in realtà non è solo figlio dei propri genitori, ma di più generazioni, di tutte quelle che lo hanno preceduto.

In un’organizzazione verticale di questo tipo ognuno avrà il suo ruolo da giocare con dignità e soddisfazione. I vecchi non dovranno più rincorrere, per non sentirsi esclusi, un’immagine giovanilistica per loro anacronistica; i giovani, anziché rifiutare il passato, lo recupereranno per servirsene destinandolo a nuove avventure.




Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017