Da Verona la Chiesa del «sì»
Qualcuno temeva che da Verona uscisse una Chiesa paralizzata dalla paura. Paura del mondo in continuo cambiamento, paura della scienza e della tecnologia, paura della libertà. Paura. Una Chiesa arroccata in difesa, capace di pronunciare soltanto dei «no». Invece dal IV Convegno ecclesiale della Chiesa italiana, celebrato a Verona dal 16 al 20 ottobre scorso, è uscita la Chiesa dei «sì». Del sì a Cristo, «Speranza del mondo», senza il quale la fede cristiana si ridurrebbe a un involucro vuoto, a una serie di precetti e comportamenti. Del sì all’amore fedele. Del sì alla ragione, alla scienza e alla tecnica, purché non intendano ergersi a tiranni e scrollarsi di dosso la compagnia vigile della fede, perché fede e ragione non soltanto non sono in contraddizione, ma hanno bisogno l’una dell’altra. Sono i sì pronunciati con forza da Benedetto XVI il 19 ottobre, e sottolineati dagli applausi.
I 2.700 delegati delle diocesi italiane hanno pregato, celebrato l’eucaristia, ascoltato interventi di alto profilo e, per tre mezze giornate, discusso nei gruppi di lavoro dove tutti hanno avuto la possibilità di esprimersi. Un’occasione rara. I Convegni ecclesiali si tengono una volta ogni dieci anni. A Roma (1976) seguirono Loreto (1985) e Palermo (1995). Non sono avvenimenti facili. Vi convergono il Nord e il Sud, e associazioni e movimenti vecchi e nuovi poco abituati a incontrarsi e a dialogare. I Convegni ecclesiali hanno quindi un grande valore a prescindere dalle cose che vengono dette. Il primo valore sta nell’avvenimento in sé, nel con-venire – scritto con il trattino, ossia convergere, giungere assieme – di tante realtà diverse della stessa Chiesa di Cristo.
La Chiesa italiana che esce da Verona sa di trovarsi di fronte a sfide formidabili. Il Messaggio alle Chiese particolari in Italia le riassume così: «Non ci tiriamo indietro davanti alle grandi sfide di oggi: la promozione della vita, della dignità di ogni persona e del valore della famiglia fondata sul matrimonio; l’attenzione al disagio e al senso di smarrimento che avvertiamo attorno e dentro di noi; il dialogo tra le religioni e le culture; la comunione e la corresponsabilità all’interno della comunità cristiana; la necessità per le nostre Chiese di dirigersi decisamente verso modelli e stili essenziali ed evangelicamente trasparenti».La Chiesa italiana non vuole essere da sola e non lo è. Tende la mano a tutti gli uomini di buona volontà, di fede salda, fragile o (apparentemente) senza fede. Sa che per riuscirci è necessaria una generale conversione. Occorre appoggiarsi al fondamento unico che è Cristo; pur restando diversi, imparare a camminare insieme verso la stessa meta. È la Chiesa della speranza, intesa come metodo, stile, modo di pensare. Spera solo chi sa di avere radici solide e profonde (Cristo, la tradizione, i nostri santi…) e un futuro dinanzi a sé.
Futuro… «La vera conclusione – ricordava il cardinale Camillo Ruini nell’ultimo intervento di Verona – consisterà in quello che, come Chiesa italiana, sapremo vivere e testimoniare nei prossimi anni». Le pagine del grande libro della comunità cristiana le scrivono i singoli fedeli, giorno dopo giorno.