Dal pulpito di Brooklyn

Alla guida della diocesi di Brooklyn (New York) dal 2003, questo vescovo originario del Molise presiede un gruppo di nove vescovi americani incaricati di redigere un documento finalizzato alla formazione dei fedeli.
11 Dicembre 2012 | di

A New York è una delle principali autorità in fatto di immigrazione. Sarà per questo che monsignor Nicholas DiMarzio, dal 2003 alla guida della diocesi di Brooklyn – una delle più multiculturali della Grande Mela –, è stato scelto dalla Conferenza episcopale americana come chairman (presidente, ndr) di un gruppo di vescovi impegnati a redigere uno studio su come formare le coscienze dei cittadini, nella vita politica, umana e familiare. Ordinato sacerdote nel 1970 e vescovo nel 1996, monsignor DiMarzio ha conseguito la licenza in teologia all’Università Cattolica di Washington, il master in sociologia all’Università di Fordham, nel Bronx (New York), e il dottorato in ricerca sociale all’Università di Rutgers (New Jersey).

Nato a Newark, nel New Jersey, da genitori originari di Campobasso, nel Molise, con la sua padronanza delle lingue italiana, inglese, spagnola e francese, DiMarzio incarna l’esempio di un’immigrazione che ha saputo svilupparsi, portando buoni frutti nel tessuto sociale statunitense.

Msa. Quali sono i suoi progetti per la comunità italiana immigrata nel Nuovo continente?
DiMarzio. Come figlio di immigrati, mi sono sempre interessato a questa categoria. Mi reco spesso a Washington per ricordare al governo americano i diritti e le aspettative dei migranti. Inoltre, invito le altre diocesi ad accogliere seminaristi e sacerdoti stranieri (provenienti, ad esempio, da Haiti, Corea, Vietnam, America Latina, Polonia, Africa e India) che possano guidare i vari gruppi etnici. Infine, pubblico libri, organizzo convegni e corsi.

Intervengo alla radio e in televisione sulle problematiche riguardanti la società attuale, ogni giorno più multietnica, multireligiosa e multiculturale.

Più volte lei è intervenuto a dibattiti con leader politici e religiosi per ribadire l’opposizione della Chiesa nei confronti del divorzio, del matrimonio gay e dell’eutanasia. Qual è il suo punto di vista a riguardo?
Ho condotto processioni dalle chiese alle cliniche, ho pregato e predicato contro l’aborto, che – rifacendosi al comandamento di Dio «non uccidere» – è un delitto abominevole. Come non essere turbati di fronte alla disponibilità nello spendere ingenti somme di denaro per diffondere mezzi contraccettivi eticamente inammissibili, e al rifiuto di sviluppare, invece, il grande potenziale della pianificazione familiare naturale? Spetta a noi vescovi la responsabilità di educare i fedeli alla sessualità secondo il piano di Dio, al valore del matrimonio, per arginare il dramma del divorzio e il relativismo morale. Anche lo Stato, però, ha il compito di garantire e favorire in ogni modo il rispetto della vita. Non si può invocare, contro tale dovere, la libertà di coscienza, perché il rispetto della vita è fondamento di ogni altro diritto.

In un tempo in cui la disoccupazione dilaga e la povertà miete sempre più vittime, quanto conta il lavoro, in vista di una piena realizzazione dell’individuo?
Il lavoro è la dimensione fondamentale dell’esistenza umana sulla Terra. Personalmente, mi limito a seguire l’insegnamento della Chiesa, quando rivendica il ruolo primario che compete all’operato dell’uomo nei disegni di Dio; quando esalta le mete che l’intelligenza umana ha saputo raggiungere nel campo della scienza; quando mostra la predilezione verso i lavoratori e, in particolare, verso quelli più provati dalla fatica – come gli operai e i contadini –; quando si avvicina al mondo del lavoro, tanto nelle baraccopoli come negli alloggi confortevoli, per assistere materialmente e spiritualmente i lavoratori, preservarli dai pericoli, tutelare il loro senso morale e sociale, migliorando nel contempo le loro condizioni di vita.

Nella tradizione cattolica la cittadinanza responsabile è una virtù, mentre la partecipazione alla vita politica è un dovere morale: in che senso?
«Rendete quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio». Con la sua risposta Gesù offre indicazione di una linea di comportamento valida per tutte le epoche. Egli afferma che il mondo della religione e quello della politica sono distinti tra loro, ciascuno con finalità proprie, e ciascuno con il potere di vincolare la coscienza delle persone. Religione e politica devono rimanere ambiti distinti. Ma l’uomo religioso e il cittadino si fondono nella stessa persona, e ogni persona deve essere consapevole e sollecita sia delle proprie responsabilità religiose sia di quelle sociali, economiche e politiche. I laici cristiani non possono sottrarsi alle loro responsabilità. Devono piuttosto testimoniare con coraggio la fiducia in Dio, signore della storia, e l’amore per l’America attraverso una presenza unita e coerente, e un servizio onesto e disinteressato.

Nelle sue omelie, lei parla spesso della crisi della fede cattolica, del relativismo della società moderna e della necessità di una nuova evangelizzazione. Perché?
È ciò su cui insiste da tempo, e giustamente, papa Benedetto XVI. Oggi assistiamo a un mondo afflitto dall’incertezza e dalla sordità nei confronti di Dio, un mondo che è un «deserto spirituale», minato dalla difficoltà di credere, dal rifiuto della verità, dal dramma dell’ateismo e dall’ignoranza religiosa, che è il peggiore nemico della fede. Ideologie materialistiche e permissivismo morale hanno indotto molti a credere nella possibilità di costruire una società nuova e migliore escludendo Dio ed eliminando ogni riferimento ai valori trascendenti. Si stenta anche a vedere la Chiesa come sacramento e dono oggettivo. Ma senza la Chiesa la parola di Dio non sarebbe stata tramandata e conservata. La fede è un incontro con Dio in Gesù Cristo e nella Chiesa.
 

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Il comitato

Vita umana, unione familiare, giustizia sociale e solidarietà globale. Queste le tematiche discusse dal comitato che la Conferenza episcopale americana ha istituito, allo scopo di stabilire linee guida per la formazione delle coscienze tra i fedeli.
A formare il gruppo di nove vescovi, presieduto da Nicholas DiMarzio: Timothy Dolan, cardinale di New York, Donald Wuerl, cardinale di Washington D.C., José Gomez, Thomas Curry e Gabino Zavala, vescovi di Los Angeles, Stephen Blaire, vescovo di Stockton, Howard Hubbard, vescovo di Albany (New York), Kevin Carl Rhoades, vescovo di Fort Wayne-South Bend, in Indiana, e Jaime Soto, vescovo di Sacramento, in California.
 
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017