Dalla memoria al futuro
Le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia non dovrebbero restare un mero tributo alla memoria. È importante che l’Italia sappia cogliere il grande apporto di idee e proposte che può venire dai connazionali all’estero.
15 Luglio 2011
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Nel contesto del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, molte sono state le celebrazioni che hanno messo in evidenza i valori dell’italianità. Un riconoscimento va rivolto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per aver sostenuto e trasmesso le motivazioni di questa ricorrenza nazionale, caratterizzata, a Roma come nelle altre città visitate dal presidente, da una viva partecipazione dei cittadini. Una testimonianza, questa, che ha lasciato nell’animo degli italiani la consapevolezza che anche per le più alte autorità di uno Stato può divenire prioritario porsi a servizio della memoria collettiva, specie quando in tempi di crisi economica ed etica, risulta ancora più importante riscoprire il significato del nostro «stare insieme», gli eventi e i valori «costitutivi» della nostra storia.
Questi 150 anni sono legati anche alle vicende di quanti hanno lasciato la penisola: un’ondata migratoria di grandi proporzioni, che ha coinvolto prima il Nord Italia e poi il Meridione, dalla fine dell’800 agli anni Settanta del secolo scorso. La documentazione di questo grande esodo è ricca di dati storici e culturali: ricerche, memorie, diari, composizioni poetiche e musicali che fanno rivivere i drammi vissuti nei porti d’imbarco, nei primi insediamenti d’oltreoceano e nelle tragedie minerarie, avvenute soprattutto nel Nord Europa. Un immenso patrimonio che registra anche molti risvolti positivi: l’operosità, la creatività, l’energia di quanti, lasciata l’Italia, hanno cooperato efficacemente allo sviluppo dei Paesi ospitanti. Tanto da divenirne protagonisti. Oggi, sono più di quattro milioni gli italiani con passaporto, che vivono stabilmente nel mondo e decine di milioni sono gli oriundi. Una presenza che, anche per l’esodo delle nuove generazioni che lasciano la penisola per motivi di studio o di lavoro, rende sempre più visibile l’Italia.
Un motivo in più per chiedersi quali possano essere, oggi, le prospettive dell’italianità nel mondo. Se è pur giusto e doveroso celebrare la memoria, lo è altrettanto progettare il futuro, anche alla luce della «grande Italia» che oggi popola il mondo. La via può essere quella di potenziare i rapporti interculturali e individuare nuovi orizzonti operativi. Ma per farlo c’è un prezzo da pagare. «Noi riceviamo solo ciò che doniamo», scriveva il poeta Samuel T. Coleridge. L’Italia finora ha solo parzialmente risposto alle istanze più volte espresse dagli italiani all’estero nelle Conferenze nazionali dell’emigrazione del 1975, del 2000 e nella prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo del 2009. Manca un progetto politico più organico – dalla promozione della cultura e della lingua italiana al riconoscimento della cittadinanza e delle attese sociali – che tenga uniti gli italiani e i loro discendenti alla terra d’origine e li renda promotori di italianità nel mondo. Il tempo è propizio anche per chiederci quale apporto concreto essi possano offrire alla patria d’origine. Non a caso, Giuseppe Sbalchiero, presidente della «Vicentini nel mondo», ha affermato in una recente conferenza a San Paolo, in Brasile: «Non dovete guardare all’Italia come il Paese che può dare qualcosa, ma che può anche ricevere qualcosa. Inviate proposte che ci coinvolgano in prima persona». La reciprocità si sviluppa attraverso rapporti e gemellaggi, soprattutto nelle regioni in cui l’italianità è più visibile. Un esempio è il Rio Grande do Sul, dove su 500 comuni, 300 hanno sindaci d’origine italiana. Quanta ricchezza potrebbe venire da quei contatti! Il rapporto interculturale è prioritario, ma sviluppa interessi anche in altri settori, dalla formazione all’economia. Ci auguriamo dunque che le celebrazioni per il 150° siano l’occasione per riscoprire tutte queste potenzialità, approntando politiche adeguate, che se da un lato richiederanno una maggiore attenzione per le istanze dei connazionali all’estero, dall’altro diverranno un volano di nuove idee e relazioni, capaci di rendere più grande l’Italia.
Questi 150 anni sono legati anche alle vicende di quanti hanno lasciato la penisola: un’ondata migratoria di grandi proporzioni, che ha coinvolto prima il Nord Italia e poi il Meridione, dalla fine dell’800 agli anni Settanta del secolo scorso. La documentazione di questo grande esodo è ricca di dati storici e culturali: ricerche, memorie, diari, composizioni poetiche e musicali che fanno rivivere i drammi vissuti nei porti d’imbarco, nei primi insediamenti d’oltreoceano e nelle tragedie minerarie, avvenute soprattutto nel Nord Europa. Un immenso patrimonio che registra anche molti risvolti positivi: l’operosità, la creatività, l’energia di quanti, lasciata l’Italia, hanno cooperato efficacemente allo sviluppo dei Paesi ospitanti. Tanto da divenirne protagonisti. Oggi, sono più di quattro milioni gli italiani con passaporto, che vivono stabilmente nel mondo e decine di milioni sono gli oriundi. Una presenza che, anche per l’esodo delle nuove generazioni che lasciano la penisola per motivi di studio o di lavoro, rende sempre più visibile l’Italia.
Un motivo in più per chiedersi quali possano essere, oggi, le prospettive dell’italianità nel mondo. Se è pur giusto e doveroso celebrare la memoria, lo è altrettanto progettare il futuro, anche alla luce della «grande Italia» che oggi popola il mondo. La via può essere quella di potenziare i rapporti interculturali e individuare nuovi orizzonti operativi. Ma per farlo c’è un prezzo da pagare. «Noi riceviamo solo ciò che doniamo», scriveva il poeta Samuel T. Coleridge. L’Italia finora ha solo parzialmente risposto alle istanze più volte espresse dagli italiani all’estero nelle Conferenze nazionali dell’emigrazione del 1975, del 2000 e nella prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo del 2009. Manca un progetto politico più organico – dalla promozione della cultura e della lingua italiana al riconoscimento della cittadinanza e delle attese sociali – che tenga uniti gli italiani e i loro discendenti alla terra d’origine e li renda promotori di italianità nel mondo. Il tempo è propizio anche per chiederci quale apporto concreto essi possano offrire alla patria d’origine. Non a caso, Giuseppe Sbalchiero, presidente della «Vicentini nel mondo», ha affermato in una recente conferenza a San Paolo, in Brasile: «Non dovete guardare all’Italia come il Paese che può dare qualcosa, ma che può anche ricevere qualcosa. Inviate proposte che ci coinvolgano in prima persona». La reciprocità si sviluppa attraverso rapporti e gemellaggi, soprattutto nelle regioni in cui l’italianità è più visibile. Un esempio è il Rio Grande do Sul, dove su 500 comuni, 300 hanno sindaci d’origine italiana. Quanta ricchezza potrebbe venire da quei contatti! Il rapporto interculturale è prioritario, ma sviluppa interessi anche in altri settori, dalla formazione all’economia. Ci auguriamo dunque che le celebrazioni per il 150° siano l’occasione per riscoprire tutte queste potenzialità, approntando politiche adeguate, che se da un lato richiederanno una maggiore attenzione per le istanze dei connazionali all’estero, dall’altro diverranno un volano di nuove idee e relazioni, capaci di rendere più grande l’Italia.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017