Dalla patria del formaggio alla terra dei canguri

Il volume «Altopiano di Asiago, terra delle nostre radici», realizzato dalla Comunità montana di Melbourne, raccoglie le biografie di 220 altopianesi emigrati nello Stato del Victoria in Australia. Veneti legati alla loro terra d'origine.
23 Giugno 2011 | di

Ciascun angolo d’Italia porta con sé un bagaglio di storia personale. L’Altopiano di Asiago non fa eccezione. La chiamavano «Gloriosa Lega de le 7 Tere», «Siben Komoin», «Sete Cari Fradei». Vecchi modi di dire che compaiono scritti sulla facciata del palazzo della Reggenza ad Asiago. Al loro fianco, c’è pure una data: 1310 – 1807, cioè il periodo di estensione della Reggenza. Ci troviamo di fronte a un rarissimo caso di amministrazione popolare del territorio, una «fratellanza» che parla una lingua propria, il cimbro (derivante dal tedesco), e rimane isolata per secoli dal resto della Penisola. Fino a tutto il 1800 l’emigrazione dall’Altopiano è proiettata verso l’Austria  o la Germania. Ma la situazione cambia completamente dopo la Prima guerra mondiale. I bombardamenti radono al suolo Asiago e tutti i paesi della zona soffrono enormi perdite di case, uomini e beni materiali. Risalgono agli anni ‘20 i primi viaggi alla volta delle Americhe e dell’Australia. Non c’è paese dell’Altopiano che non abbia dato un contributo notevole all’emigrazione verso questi continenti. La storia dell’emigrazione in Australia è storia di gente che ha sofferto, ma che ha lavorato con determinazione per farsi onore e costruirsi un avvenire. Una storia a lungo lasciata all’oblio, almeno fino a pochi anni fa.
«Il progetto (pensato e realizzato dalla Comunità di Melbourne ndr) di documentare con un libro l’emigrazione degli altopianesi inizia nel 2007. L’idea di partenza è quella di raccogliere storie per lasciare un ricordo alle future generazioni – spiega Oriella Rigoni Romanin, asiaghese di nascita e promotrice del progetto, insieme a Darren Comi (nipote di Olga Schivo di Gallio) e Fortunato Forte (figlio di Guido di Asiago) –. L’entusiasmo iniziale non è mai diminuito: così ogni ostacolo è stato superato con tenacia, tenendo lo sguardo fisso al traguardo: la pubblicazione del volume Altopiano di Asiago, terra delle nostre radici».
Il lungo lavoro di ricerca costringe i tre ideatori a cercare l’aiuto di altre persone per la revisione del manoscritto e la traduzione dei testi. Quattro anni di fatiche e il libro è pronto. Occasione per presentarne la pubblicazione è il «V Day», il giorno della vittoria, della gloria e dell’onore, il 20 marzo scorso.
A fare da teatro all’appuntamento, che registra il tutto esaurito con oltre 350 presenti, la sala Venezia del Veneto Club di Bulleen.
La parete al centro della sala è addobbata con bandiere, stendardi e gli stemmi della «Gloriosa Lega» (Asiago, Gallio, Lusiana, Enego, Foza, Roana e Rotzo. L’ottavo Comune è quello di Conco che fino al 1796 era una frazione di Lusiana). A confermare l’importanza del convivio, la presenza di una qualificata delegazione dall’Altopiano: oltre al sindaco di Asiago, Andrea Gios, e a quello di Gallio, Pino Rossi, partecipano anche gli assessori Andrea Benetti, Giampaolo Rigoni e Corrado Paganin.
«Una cosa che colpisce subito il lettore è la natura corale del libro – commenta Paolo Baracchi, direttore della Società storica italiana di Melbourne, presente al “debutto” del volume –. Più che una compilazione, è un’impresa collettiva. Un progetto cui prendono parte molte voci che, quasi riunite intorno a un focolare immaginario, condividono le esperienze dell’emigrazione. Sono storie raccontate con onestà, umiltà, orgoglio e umorismo».
Separato dalle regioni circostanti per via delle barriere geografiche, l’Altopiano di Asiago è descritto nell’introduzione del libro come «la nostra isola nel cielo». Paragone, questo, valido anche a livello culturale. Il popolo dell’Altopiano, infatti, ha da sempre saputo coniugare il mantenimento della priopria ricca tradizione con notevoli contributi alla cultura e alla letteratura nazionale, prendendo parte ai momenti cruciali della storia italiana.
I doni dell’emigrazione
Ma l’esperienza dell’emigrazione ha dato all’Altopiano anche un’allure di universalità. L’Australia ha offerto a questi veneti opportunità di istruzione e di lavoro; e loro, di contro, possono essere orgogliosi del fondamentale contributo (nel campo dell’edilizia, della musica, della medicina e dello sport) che hanno saputo offrire al Paese che li ha adottati. Un contributo che comunque non ha cancellato il legame con la terra d’origine. Per Luciano Benetti, presidente della Comunità montana di Melbourne, infatti, «L’orgoglio delle radici sta nelle parole dei vecchi asiaghesi: Ricordate bocia che quei dell’Altopiano ze la miglior gente del mondo».
Dello stesso avviso Lucio Spagnolo, presidente della Comunità montana dei Sette Comuni che conferma lo stretto vincolo tra l’Altopiano e i suoi abitanti espatriati all’estero: «Voi siete partiti dalle nostre montagne per cercare una vita migliore in Australia, terra che vi ha ospitato, che avete aiutato a crescere con il vostro lavoro e con il vostro esempio di vita. Il vostro ricordo è sempre vivo quassù. In ogni casa, in ogni porta c’è un emigrante nel mondo. In ogni casa c’è la preghiera che la vita vi sia facile, che tutto vada bene, che possiate essere felici e in salute».
In prima fila alla presentazione del libro Altopiano di Asiago, terra delle nostre radici c’è anche Pino Rossi, il sindaco di Gallio che ha colto l’occasione per incontrare i suoi paesani e donare loro pubblicazioni riguardanti l’Altopiano.
Conclusi gli interventi, l’intensa mattinata prosegue con lo scambio di doni: libri, targhe e oggetti di artigianato targati Altopiano. Chiusura in bellezza con un ricco buffet. Il piatto forte? Naturalmente del buon Asiago dop.
Montanari per sempre
Non è facile scegliere tra i 220 racconti biografici solo alcuni esempi: quasi tutte le vicende narrano di persone che si sono distinte in qualche professione, nell’impresa, nel commercio, nella cultura o nello sport. Evidentemente il detto popolare «Scarponi grossi e cervelli fini» ha una sua verità. Basta infatti sfogliare le pagine del voluminoso libro (360 facciate e oltre 300 foto storiche) per incontrare esempi di genialità, determinazione e coraggio.
Ivo Vellar nato a Camporovere, frazione di Roana, emigrato con la famiglia nel 1938 alla tenerissima età di quattro anni, confessa di aver sempre avuto un forte legame affettivo con la sua terra d’origine. Eminente medico chirurgo, premiato con l’Order of Medal of Australia, Vellar in ogni viaggio di ritorno in Italia viene conquistato dalla magia dell’Altopiano. «Mi sono familiari i nomi come Vezzena, Spitz Verla, Cima Mandriolo, Cima Dodici, Cima Portule». In particolare, l’anziano ricorda un viaggio in Italia intrapreso con suo padre nel 1978. «Visitammo i luoghi in cui papà aveva fatto l’alpino: le Dolomiti, la Paganella, la Marmolada, il Cristallo, le tre cime di Lavaredo».
Proprio alle fine del libro due pagine sono dedicate a Stelvio Slaviero, nato a Rotzo (frazione di Albaredo) nel 1933. Emigrò in Australia all’inizio degli anni ’50 e nel 1958 si trasferì a Bendigo, dove si stava costruendo l’ultima sezione della cattedrale del Sacro Cuore. Stelvio era scalpellino e lavorava alle rifiniture dei rosoni della grande facciata. Il 14 settembre 1963, per l’inadeguatezza delle strutture di protezione, cadde e rimase paralizzato dalla vita in giù. Non si diede per vinto. Volle finire il suo lavoro. Costretto su una sedia a rotelle, saliva ogni mattina con un montacarichi in alto, sempre più in alto, fino alla conclusione dell’opera.
Si potrebbero citare decine e decine di persone che hanno vissuto esperienze ricche e intense. Le famiglie Benetti, Bortoli, Costa, Cunico, Pesavento, Rigoni, Spagnolo, Stefani e Stella possono ora trasmettere a figli, nipoti e pronipoti, un prezioso affresco di storia personale. Un tuffo nel passato della propria famiglia e, quindi, dell’Altopiano dei Sette Comuni.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017