Dalle nozze gay all'eutanasia. Dove finiremo?
«Egregio direttore, è vero che le scelte personali non si devono discutere, ma è altrettanto vero che, pur prendendone atto, possono essere analizzate e valutate. Le nozze gay e le eventuali adozioni, il divorzio, le separazioni e le convivenze, l’aborto, e l’eutanasia stanno cambiando quei principi etici-morali, che regolano la società. Purtroppo è triste riconoscere che la famiglia di oggi non ha più legami, vincoli, e responsabilità. Invece il sacramento del matrimonio è sinonimo di amore, di sentimenti forti, di comprensione e tolleranza reciproca. Dare vita a una “famiglia” è una benedizione di Dio, anche se comporta sacrifici. È un dovere per una convivenza fatta di rispetto, di regole, e di norme, per dare a noi stessi e ai nostri figli la certezza di una crescita morale e serena. L’accorato richiamo alla “famiglia” di papa Francesco ne è la conferma, e i miei 56 anni di matrimonio sono la testimonianza di un’unione voluta e vissuta con intensità, fedeltà, fiducia, e amore giorno per giorno, compiendo questo nostro percorso terreno nel segno della Fede».
Cesare B.
Sono d’accordo con lei. Nessun cambiamento nelle scelte e nei comportamenti sociali è neutro. È giusto analizzarlo, anzi, è doveroso. Non per giudicare, ma per capire. Questi aspetti sono terreno di riflessione per la Chiesa, ma dovrebbero esserlo anche e soprattutto per la società. Sarebbe opportuno domandarsi che cosa significano, dove ci porteranno, che tipo di società configurano. Su questi temi di cruciale importanza – dall’eutanasia alle nozze gay, dal divorzio all’aborto – il pensiero invece spesso si arena. E così, mentre da un lato è facile ammettere ogni tipo di opzione in nome delle libertà individuali, dall’altro è diventato difficilissimo analizzarle pacatamente, creare un dibattito senza scadere in una crociata o rischiare di incappare nel politicamente scorretto. Quei pochi che si azzardano a dire qualcosa di diverso dal comune sentire, rispetto per esempio al gender o alle adozioni ai single, rischiano spesso di essere considerati retrogradi o liberticidi. E così, per non far torto a nessuno, alla maniera di Ponzio Pilato tutto è posto sullo stesso piano, come se ogni cosa, ogni opzione, fosse uguale. Strana questa modernità: alla libertà di scelta non corrisponde più la libertà di pensiero. I blocchi di opinioni diventano contrapposti. I pregiudizi si consolidano. Il confronto è scontro. La complessità si appiattisce dietro le ideologie. Strana ancora questa modernità che normalizza la diversità e, nell’intento di darle un passaporto sociale, finisce per annullarla, più che accoglierla: che tu sia maschio, femmina, omosessuale, transgender, sposato o divorziato è la stessa cosa. Come se dietro a ogni scelta e a ogni condizione non ci fosse una complessità di vissuti e di differenze. Per questo mi piace il tono pacato, non giudicante, della sua lettera. Lei più che rivendicare esprime un timore: che questa società faccia a meno di valori fondanti. Un timore che le giunge non per sentito dire, ma perché lo ha sperimentato nella sua vita. In famiglia, lei dice con realismo, non è sempre facile starci, ma essa è comunque un luogo insostituibile di amore, di sentimenti, di tolleranza, di regole e di accoglienza reciproca. Un punto saldo da cui i giovani possono partire per affrontare il mondo. Lo fa partendo da una preoccupazione collettiva. L’unico appunto che mi permetto di rivolgerle riguarda quel velo di nostalgia da tesoro perduto che traspare dalla sua lettera. Come cristiani siamo chiamati a guardare ai cambiamenti con gli occhi della speranza, ad affrontarli come nuove opportunità. Non sempre il passato è un’età dell’oro, ogni epoca ha le sue contraddizioni oltre che i suoi doni. Ce lo ripete spesso anche papa Francesco: «Non siate donne e uomini tristi. Non lasciamoci rubare la speranza». Mai come oggi siamo chiamati a riscoprire le nostre radici e a trovare nuove vie. Non è già questa un’opportunità per vivere la fede?