Dall'Italia alle favelas
Venti Aprile 1950. Irina partì dal Veneto per emigrare in Brasile. In valigia, poche cose. Nel petto, un`angoscia lancinante come una stilettata. Il film della sua vita le trapassava la mente, come quando uno sta per morire: le trine all`uncinetto delle finestre di casa sua, il temporale sopra i campi, la voce di sua madre.
Ricacciando il nodo alla gola, pensava: «Tornerò dicendo `ce l`ho fatta`». Invece, di lei, d`improvviso non si seppe più nulla. Non una lettera né una cartolina a Natale. Quarant`anni dopo, un nipote andò a cercarla. La trovò vecchia di cent`anni. Lei si stupì. Lui le lesse un luccichio negli occhi. Difficile dire se fu più il dolore o la gioia. Il vestito dimesso, i santini appiccicati alla parete, i vecchi coperchi di latta appesi alle travi. La baracca era linda, ma poverissima. C`era un accenno di tende decorate all`uncinetto. Nel viso del nipote, lei riconobbe i tratti dei suoi e il passato le tornò alla gola. Lo abbracciò tra le lacrime, il braccio ossuto, le vene viola. Com`era grande, immersa nella sua vergogna. Lui la pregò di tornare in Italia. Ma lei scosse la testa. «Come faccio a tornare così? ` gli disse `. Non dire che mi hai vista».
Irina, come molti italiani che non trovarono fortuna in Brasile, fin che visse, fece parte della schiera dei poveri in questo Paese. La ricordiamo perché è l`esempio di un`Italia dimenticata e perché il progetto che segue ha radici nella consapevolezza di questa sofferenza.
La promotrice, Natalina Berto, padovana, è arrivata in Brasile nel 1974 per dedicarsi ad attività sociali nelle periferie di San Paolo e all`assistenza degli italiani all`estero. Dal 1988 è anche coordinatrice nazionale dell`Inas Cisl di San Paolo, punto di riferimento per gli italiani più bisognosi. «Ho visitato personalmente italiani che vivono per la strada ` afferma `. Non è giusto dimenticare la nostra prima emigrazione. Bisognerebbe prestarle maggiore attenzione e non fermarsi ai connazionali di successo o ai giovanissimi».
La povertà che accomuna
A Natalina risultò naturale pensare che l`emarginazione e la dimenticanza dei governi accomunavano questi italiani e i poveri della favela di Jardim Climax di San Paolo, in cui aveva deciso di vivere. Chi non ha prospettive, in fondo, è sempre senza patria. «Sin dal principio ` racconta ` mi sono occupata sia dell`assistenza sociale e religiosa sia dell`organizzazione pratica degli abitanti del quartiere. Insieme siamo riusciti a realizzare le più elementari opere infrastrutturali come la canalizzazione delle acque e il riordino delle strade. Pian piano la gente ha cominciato a fidarsi. È duro vincere la diffidenza di chi è si è sempre sentito sfruttato».
Ma alleviare la povertà richiedeva un impegno più grande: dedicarsi alla formazione umana, scolastica e professionale degli abitanti. Da questa idea nacquero le Opere sociali Jardim Climax (Obras sociais do Jardim climax), di cui oggi Natalina Berto è vicepresidente. Era il 1984 e l`intuizione si rivelò giusta. A distanza di 17 anni, la mancanza di educazione è tuttora una delle cause fondamentali di povertà . Una ricerca statistica apparsa nel quotidiano «Folha de S. Paulo» nel settembre del 1998, attesta che tra i poveri brasiliani, ci sono 25 milioni di persone che vivono in miseria totale. L`83 per cento di costoro è fatto di «analfabeti funzionali», cioè di persone che hanno frequentato da zero a meno di quattro anni di scuola.
Promuovere l`autoriscatto
Le Opere sociali Jardim Climax si basano sulla partecipazione popolare e hanno come obiettivo lo sviluppo integrale della comunità della favela con una particolare attenzione ai bambini e agli adolescenti, che senza guida e prospettive rischiano di diventare ragazzi di strada. Le opere sociali gestiscono diverse attività in due favelas, Jardim Climax e Monsenhor. Ci sono due scuole materne, un centro per la gioventù e quattro laboratori per corsi professionali di informatica, falegnameria, intarsio e cucito, aperti anche agli adulti.
Fino ad oggi sono passati da queste strutture più di 6 mila 500 tra bambini e adolescenti, ricevendo tutti una possibilità di sviluppo personale e professionale. Costanti sono le riunioni con la gente per discutere di salute, di diritti e doveri sociali, mentre gruppi di lavoro volontario si occupano della manutenzione e della conservazione delle infrastrutture della favela.
L`intervento della Caritas antoniana
La Caritas antoniana è intervenuta in questo progetto per due volte, sollecitata dalla stessa Natalina Berto. «Il problema ` spiega padre Luciano Massarotto, presidente della Caritas antoniana ` è che, nonostante l`impegno degli abitanti, la povertà è tale che le Opere sociali non sono in grado di ristrutturare i locali dove sono svolte le attività ».
Il primo urgente intervento risale al 1999 ed è consistito nella ristrutturazione di un vecchio edificio, donato da un`impresa, per stabilirci la sede definitiva di una delle due scuole materne. Il progetto è costato 40 milioni di lire.
Il secondo intervento, che si è concluso a febbraio di quest`anno, riguarda la ristrutturazione e l`ampliamento dei laboratori di falegnameria e cucito per un costo totale di 60 milioni di lire.
«Le devo dire ` scrive Natalina in una delle sue ultime lettere ` che quando mi è stato confermato l`aiuto non ho potuto nascondere l`emozione. Non sappiamo come esprimervi la nostra gratitudine per quanto abbiamo potuto realizzare per i bambini e i ragazzi che frequentano le nostre scuole. Ci sentiamo in dovere di fare tutto quanto ci è possibile per farli diventare cittadini con pieno diritto di cittadinanza in un paese che ancora non riesce a dare opportunità ai suoi figli. Lo dobbiamo fare anche in ricordo della povertà italiana che ha costretto molti dei nostri a un`emigrazione piena di sofferenze ed emarginazione».