Dare fiducia alla fiducia
Vorrei proseguire nella lettura di alcuni passi del Vangelo, alla ricerca di significati non immediati. Siamo al terzo appuntamento, dopo i due articoli dedicati a Giovanni 10,3-5 (settembre 2008) e a Marco, 2,1-12 (febbraio 2009). Qui vorrei soffermarmi su un passo famosissimo, «la moltiplicazione dei pani e dei pesci», nella versione di Giovanni (6,1-15), più articolata e viva delle altre, perché l’evangelista riporta un particolare di grande importanza che cambia un po’ di segno la lettura cui siamo più abituati. Il rischio infatti è di considerare questo episodio solo come un ulteriore miracolo, spettacolare e di sicuro effetto scenico data la grandezza della folla riunita («erano circa cinquemila uomini»). Secondo me, invece, non è questo il punto focale dell’episodio, e Gesù lo dimostra allontanandosi da lì, «sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re». Qual è il particolare decisivo e rivelatore, il centro di questa «fotografia»? A mio avviso, la presenza del ragazzo che possiede i «cinque pani d’orzo e due pesci» poi moltiplicati da Gesù.
Proviamo a immaginarci la scena: una folla molto vasta e rumorosa, forse tanto più rumorosa quanto più affamata (anche a bocche cucite, sono pur sempre cinquemila pance che borbottano…). Tra costoro c’è un ragazzo capitato lì per caso, o per curiosità, e che invece viene individuato da Gesù e dai discepoli. Immaginate quindi il disagio e l’imbarazzo che può aver provato, e magari anche il fastidio perché, in fondo, a lui viene chiesto di donare il suo piccolo possesso, che forse serviva per sfamare se stesso e la sua famiglia. Sicuramente all’inizio avrà rifiutato di cedere quel poco cibo; la situazione era particolare, avrà temuto una fregatura.
Gli si saranno prospettate due alternative: la prima, andarsene; la seconda, restare e fare quanto gli veniva chiesto. Quest’ultima possibilità richiede un gesto di fiducia, che si concretizza nel passaggio dei pani e dei pesci dalle mani del ragazzo a quelle di Gesù: «Mi rimetto nelle tue mani».
È solo a partire da qui che può realizzarsi la moltiplicazione: Gesù riconosce questa «abilità» e la valorizza, dando, in un certo senso, fiducia alla fiducia ricevuta, fiducia all’«abilità» di avere fiducia, forse l’unica residua nel ragazzo in quella situazione così disorientante.
Questo aspetto del racconto di Giovanni, nascosto tra le pieghe della narrazione, mi ha sempre affascinato: senza una partecipazione delle rispettive abilità e un riconoscimento reciproco, senza innescare una catena di fiducia (così simile alla catena del perdono, cui secondo me la dottrina di Gesù invitava e invita come unica possibilità di salvezza), il miracolo è non tanto impossibile, quanto meno efficace, svuotato di una parte del suo senso. Gesù, in fondo, non fa altro che moltiplicare la portata del gesto del ragazzo. Stessa cosa avviene con la disabilità, ed è un punto che mi sta molto a cuore: se la si affronta secondo una prospettiva di riconoscimento delle abilità (diverse, residue, chiamatele come volete), questo approccio favorisce la moltiplicazione e il potenziamento delle abilità stesse. Vale a dire: creare un contesto di fiducia e riconoscimento, che porti ad altra fiducia e a un riconoscimento via via maggiore. È un meccanismo che ci riguarda come singoli e come membri di una comunità, come beneficiari e promotori, e che ha degli effetti nelle singole persone e, da qui, nel tessuto e nelle rappresentazioni sociali.
Ci avete mai pensato che, come nel brano di Giovanni, per moltiplicare bisogna prima dividere o, almeno, con-dividere? Sperimentare la con-divisione? E voi, quante divisioni avete compiuto? E in quante moltiplicazioni si sono trasformate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o cercate il mio profilo su Facebook.