Doctor Letts, una mecenate a Londra

Con l'Accademia Club, Rosa Maria Letts promuove la nostra cultura tra gli inglesi, ma - lamenta - «le istituzioni italiane potrebbero fare di più».
17 Gennaio 2007 | di

Londra

Ha studiato con Marcuse in America e con Gombrich in Inghilterra. Conosce vip di fama internazionale, cantanti, attori, stilisti, pittori, architetti, scultori, principi e principesse, ma anche giovani artisti alle prime armi, persone che hanno in comune con lei l’amore per l’arte. È difficile descrivere Rosa Maria Letts, una donna rinascimentale come l’epoca che più ama e sulla quale ha scritto un libro ancora oggi consultato dagli istituti d’arte di mezzo mondo. Una donna coltissima che si esprime in modo chiaro e mai pretenzioso, dal lignaggio aristocratico eppure dai modi semplici. La signora Letts – o, come la chiamano in Inghilterra, Doctor Letts – grazie ad un master in Storia dell’arte conseguito quando era già mamma di un bimbo e in attesa di un altro, è un’italiana all’estero sui generis il cui amore per l’arte, soprattutto italiana, ne ha contraddistinto tutta la vita. Rosa Maria Ciarrapico, figlia di un noto giurista d’origine abruzzese trasferitosi per motivi di lavoro e di matrimonio a Roma, era una signorina dell’alta società, dalla solida educazione cattolica, diciottenne spensierata nella Roma felliniana.
La sua vita cambiò quando a 21 anni, all’inizio degli anni Sessanta, fu inviata dal padre a completare gli studi di Legge, già coronati da una laurea a Roma, all’Università di Brandeis, vicino a Boston. «Là – ci racconta – ebbi un’esperienza molto formativa. Oltre a Marcuse, avevamo come insegnante la signora Roosevelt, mentre un artista del calibro di Chagall dipinse la nostra biblioteca». In America conobbe un giovane inglese, studente a Yale, Anthony – Tony – Letts, rampollo di un’antica famiglia inglese, che sposò nel 1963. Lasciandosi Roma alle spalle, la dottoressa Letts non avrebbe mai più pensato che da lì a poco sarebbe diventata una delle più note paladine della nostra cultura in Inghilterra. «Il mio amore per l’arte – confessa – non era molto spiccato. Avevo vissuto a contatto con le “pietre” romane, cioè con i monumenti, il Foro, le Chiese; avevo partecipato alla maestosa messa funebre per Papa Pio XII, in un’atmosfera di grande suggestione, con il Vaticano illuminato soltanto dalle candele, nello spirito in cui Bernini lo aveva concepito, un’esperienza che mi aveva molto colpito, ma cominciai ad interessarmi all’arte solo quando mi trasferii in Inghilterra».
L’assenza di romanità, per sua stessa definizione, fu la molla che fece scattare in lei, trasferitasi in un Paese ancora fortemente colonialista e poco ospitale, il desiderio di capire di più e meglio le sue origini. «In Inghilterra compresi la grande ammirazione di questo popolo per l’Italia: dall’epoca del Gran Tour ad oggi, gli inglesi hanno amato e invidiato il nostro passato». Ancora giovanissima, tenne lezioni d’arte francese e tedesca presso il Victoria and Albert Museum di Londra, ma ben presto introdusse lezioni sull’arte italiana che, in breve tempo, presero il sopravvento attirando oltre 300 studenti. Da lì nacque anche il libro sul Rinascimento di cui recentemente è stata pubblicata la traduzione in cinese. Negli anni Ottanta, Rosa Maria fondò l’Accademia Italiana. «Mi resi conto che l’Istituto di Cultura promuoveva la nostra cultura principalmente tra gli italiani, mentre a me interessava diffonderla tra gli inglesi. Organizzai, perciò, mostre, viaggi e conferenze per il pubblico anglosassone». L’Accademia, la cui sede era un prestigioso palazzo a ridosso dei giardini di Buckingham Palace, ospitò circa 65 mostre, venti delle quali di altissimo prestigio. «La mostra su Pompei – rivela la signora Letts –, attirò più di 150 mila persone, al punto che i direttori di importanti musei londinesi mi chiesero il motivo di tanto successo». La risposta si può trovare nell’alta qualità organizzativa e nella scelta tematica.
«Le mie mostre – aggiunge ancora – portavano a Londra il meglio dell’arte classica e contemporanea. Inoltre, avevamo una macchina pubblicitaria molto efficiente: facevamo campagna a tappeto per molti mesi prima e durante le mostre». Poco alla volta, l’Accademia e la dottoressa Letts divennero il sinonimo di cultura italiana in Inghilterra. Ma gli oneri finanziari erano pesanti e, nonostante l’apertura verso altre culture, con la trasformazione dell’Accademia da Italiana a Europea, si giunse al triste epilogo. «I costi erano elevati e non ottenemmo aiuti dall’Italia (dal Governo, ndr) per il lavoro che svolgevamo. Così l’Accademia fu costretta a chiudere nel 2000 lasciandoci con il rimorso di non essere riusciti a fare di più per il nostro Paese». Ma la dottoressa Letts, dotata di grinta indomabile, non si diede per vinta. «Ben presto – continua – riuscimmo a trovare un’altra soluzione. Dalle ceneri dell’Accademia Italiana nacque l’Accademia Club». La mission dell’Accademia Club non era più soltanto quella di portare l’arte italiana agli inglesi, bensì di portare gli inglesi in Italia per conoscere direttamente la nostra cultura. «La formula ha avuto successo – aggiunge –. Oggi realizziamo circa dieci, dodici viaggi all’anno per gruppi ai quali offriamo sia un corso intensivo di lingua sia un corso di approfondimento sulle città e i siti storici che verranno poi visitati grazie a guide turistiche altamente specializzate». In questa attività che ha galvanizzato tutta la vita di Rosa Maria Letts, la presenza di Anthony è stata fondamentale. «Tony – ci confessa – mi ha sempre incoraggiato a proseguire su una strada che, dal punto di vista economico, non ha portato profitto anzi, ci ha fatto perdere molto danaro però ci ha dato la soddisfazione di aver contribuito a riportare in auge il nostro Paese». Con una punta polemica, la dottoressa aggiunge che le nostre istituzioni non fanno abbastanza per promuovere le iniziative culturali italiane. «Ogni città, ogni museo, ogni galleria d’arte è un pozzo culturale a cui attingere. Spesso, però, non vengono pubblicizzati abbastanza, soprattutto all’estero. È un peccato perché potrebbero attirare un’enorme quantità di turisti». C’è da auspicare che l’esempio della dottoressa Letts venga seguito anche da altri mecenati della nostra cultura e soprattutto dal Governo italiano anche perché, come dice Rosa Maria Letts, se il nostro Paese vuole guardare al futuro, non deve far altro che ricordarsi del proprio passato e valorizzarlo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017