Donatello, un genio a Padova

Dopo aver onorato Giotto, Padova celebra un artista che nella basilica del Santo ha creato immortali capolavori lasciando un segno indelebile nell’arte patavina e schiere di discepoli che hanno iniziato la scuola del bronzetto.
03 Luglio 1996 | di

Gli amministratori di Padova, ringalluzziti dal grande successo ottenuto con la mostra «Giotto e il suo tempo» che ha proposto la città  del Santo come capitale dell`€™arte nel Trecento, ci riprovano con un`€™altra mostra, «Donatello e il suo tempo. Il bronzetto a Padova nel Quattrocento e nel Cinquecento», per dimostrare che anche nel secolo del Rinascimento, Padova non è stata seconda a nessuno. Lo ha sottolineato, con la consueta enfasi, il professor Vittorio Sgarbi `€“ che degli eventi artistici padovani è l`€™ispiratore e il curatore `€“, nel presentare alla cittadinanza la nuova mostra.

A fare diventare la città  del Santo polo di attrazione indiscusso per gli artisti del tempo, non solo padovani, è stata la presenza in quel periodo di uno straordinario Maestro, Donatello (e in seguito anche di Mantegna), che ha traghettato l`€™arte veneta, già  splendida ma ancora ingabbiata nei rigori schematici del tardogotico, verso il mare aperto e luminoso della Rinascenza.

Rinascimento vuol dire interesse rinnovato per la realtà , recupero della cultura classica greco-romana, rivalutazione dell`€™«uomo» e del suo mondo, dopo secoli di esclusiva attenzione ai misteri e ai simboli dell`€™aldilà . Portata nell`€™arte, la classicità  ridefinisce il «bello» come proporzione e armonia; e alla classicità  gli artisti si ispirano ricercando-ne le tracce (e a Padova ve n`€™erano di vistose), ristudiandone le opere (scovate, magari, violando antiche tombe), riprendendone alcuni elementi formali, come capitelli, colonne, timpani, nell`€™architettura ma anche nella pittura...

Rinascimento è anche prospettiva, una nuova tecnica di raffigurazione che, servendosi di regole matematiche e grafiche, consente di riprodurre la realtà  nella sua completezza di dimensioni.

Queste esplosive novità , apprese e maturate a Firenze, alla scuola di Lorenzo Ghiberti, assieme all`€™amico Filippo Brunelleschi (geni del Rinascimento), Donatello portava in una Padova impigrita nel tardogotico, determinando «il sorgere `€“ come scrive Marco Pizzo nel Catalogo della mostra `€“ non solo di una bottega, ma di una vera `€œofficina`€, popolata di collaboratori e di esperti artieri, dai fonditori ai facchini, tutti coinvolti in imprese che riverberarono in maniera determinante in tutto il panorama artistico circostante», con conseguenze «vulcaniche». In quell`€™officina nasceva una tradizione artistica tra le più interessanti del Rinascimento, il «bronzetto», piccole sculture in bronzo, con figure mutuate dal mondo classico, ma anche di oggetti di uso comune, investiti anch`€™essi (non più solo la grande opera religiosa) dal canone dell`€™estetica, della bellezza.

Il bronzetto, genere frequentato da una schiera di discepoli ed epigoni del Donatello, ha nella mostra, accanto a sei opere del Maestro (il Crocifisso, quattro formelle e il Putto alato), testimonianze di particolare raffinatezza e preziosità .

· Donato de`€™ Bardi, detto Donatello, giungeva a Padova da Firenze nel 1443. Scultore notissimo per aver creato nella sua città  straordinari capolavori di scultura: in marmo, in legno policromo, ma soprattutto in bronzo. Opere splendide e innovative, frutti maturi di uno studio costante dell`€™artista, attento al passato classico ma anche impegnato nella ricerca di soluzioni nuove che gli permettessero di tradurre un`€™ispirazione sempre fervida e prolifica in spazi, volumi, forme sempre più espressive ed eleganti.

Non si sa chi abbia chiamato a Padova Donatello: se il concittadino Palla Strozzi, che stava consumando, in una splendida dimora in Prato della Valle, un forzato, ma fecondo, esilio; o se il vescovo padovano Pietro Donato, grande umanista e mecenate che in quel lasso di tempo di trovava a Firenze.

Chiunque lo abbia fatto, sapeva che lo scultore fiorentino era perfettamente in grado di rispondere alle esigenze dei francescani che, probabilmente anche in vista del Giubileo del 1450, sotto papa Nicolò V, avevano trasformato la basilica antoniana in una fucina d`€™arte vivacissima.

Presbiterio e dintorni erano coinvolti in un`€™importante trasformazione: si stavano innalzando le cortine per delimitare il coro; si pensava a un grande crocifisso da porre al centro della chiesa per la venerazione dei fedeli; si progettava di popolare di statue il vecchio altare maggiore gotico.

Ma anche committenti laici erano interessati a Donatello. Gli eredi di Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, capitano generale della Serenissima, morto nel 1443, intendevano dedicare un monumento equestre al loro illustre famigliare. Ce n`€™era abbastanza per eccitare l`€™ardore creativo del Maestro, che accettò l`€™invito dei padovani, rinunciando a un`€™importante e prestigiosa commessa: la realizzazione delle porte di bronzo per la sacrestia della cattedrale di Firenze.

· Il crocifisso e una selva di statue. La prima opera cui Donatello pose mano fu il monumento equestre al Gattamelata, ma impreviste difficoltà  lo costrinsero a sospendere il lavoro, che porterà  a termine solo nel 1453. Intanto, i frati gli commissionavano il Crocifisso. A esso vi pose mano subito e cinque anni dopo l`€™artista consegnava ai frati e alla città  un capolavoro assoluto. Basta osservare la morbidezza con cui è modellato il corpo del Cristo morente; la sapienza anatomica (Donatello deve aver frequentato i già  prestigiosi Studi di medicina e anatomia dell`€™Università  padovana); l`€™armonia delle proporzioni nella figura atletica e muscolosa del Cristo; la serena dignità  che promana dal volto pur contratto dall`€™agonia, rivelata da una vena rigonfia sulla fronte.

Il Crocifisso inizialmente fu collocato nel mezzo della chiesa, poi spostato sopra l`€™arco d`€™ingresso del coro, quindi, nel 1651, incorporato nell`€™altare barocco e infine issato da Camillo Boito, nel 1895, sopra l`€™altare, dove è tutt`€™oggi.

Per la fusione di questa e delle altre sue opere, Donatello si è servito di un abile fonditore, Andrea Conti «de le caldiere», che aveva la fucina vicino al Ponte del Maglio, a quattro passi dalla basilica.

Nel frattempo, i frati avevano affidato all`€™artista il compito di realizzare una serie di altre opere per l`€™altare maggiore: sei statue a tutto tondo, diverse formelle in bassorilievo con episodi della vita di sant`€™Antonio e altro ancora. Un lavoro imponente e faticoso per realizzare il quale Donatello si attorniò di un discreto numero di discepoli (Giovanni da Cortona, Giovanni da Pisa, Francesco del Valente, Niccolò Pizzolo... ) ai quali affidò subito la realizzazione di dieci bassorilievi con angioletti musicanti e le formelle dei quattro evangelisti.

Piantato in asso dai collaboratori che mal tolleravano il suo caratteraccio, Donatello proseguì il suo lavoro creando: sei statue di santi (Francesco d`€™Assisi, Giustina, Antonio di Padova, Ludovico d`€™Angiò, Daniele e Prosdocimo) tutti bellissimi nella loro quieta ma fremente classicità ; un Cristo morto sorretto da due angeli piangenti, al quale molti pittori veneti, dal Bellini al Vivarini, si ispireranno per le loro «Pietà »; due angioletti musicanti per completare la serie interrotta dai discepoli; una drammatica Deposizione in pietra di Nanto bronzata nella quale l`€™espressionismo donatelliano raggiunse i vertici più alti; quattro formelle raffiguranti altrettanti miracoli di sant`€™Antonio.

Queste ultime formelle sono considerate tra le più belle opere in assoluto del Quattrocento. In esse il Donatello ha sviluppato al massimo le sue qualità  pittoriche, conferendo al bronzo prospettive e vibrazioni mai prima tentate. Per farlo ha usato sugli sfondi prospettive eccentriche, piani sghembi onde dilatare la dimensione dello spazio; oppure ha sovrapposto al bronzo lamine d`€™oro e d`€™argento il cui luccichio fa sbalzare, illuminandoli, i diversi piani.

Scrive Davide Banzato nel Catalogo della mostra: «Nei rilievi con i Miracoli del Santo, pur memore delle gabbie prospettiche e scenografiche delle precedenti esperienze di Finezze e Siena, l`€™artista inventa un nuova sintassi architettonico-scultorea. Dorature e argentature non fungono, come si usava fino a quel momento, da ornamentazione, ma paiono concepite in vista dell`€™ottenimento di specifici effetti nella propagazione della luce e nella definizione dello spazio».

Ultima in ordine di tempo, una Madonna seduta nell`€™atto di «offrire» alla devozione dei fedeli un delizioso Gesù Bambino. È una composizione inconsueta. «Nella sua ieratica frontalità  `€“ scrive Giuseppe Mazzariol in Donatello, Le sculture al Santo di Padova, (Emp) `€“ è colta con iconografia inedita nel momento in cui sta alzandosi dal trono per presentare il Bambino che, avvolto tra le pieghe del suo manto disposto quasi a mandorla, la costringe a piegarsi leggermente in avanti per sorreggerne il peso». Nella solennità  della rappresentazione è più evidente il richiamo a modelli bizantini presenti nella vicina Venezia che a quelli del Rinascimento fiorentino.

· L`€™altare del Donatello. Il vecchio altare gotico, cui le sculture donatelliane inizialmente erano destinate, si dimostrò inadeguato e il Maestro fu invitato a realizzarne uno più adatto. Su di esso alla fine trovarono degna collocazione tutte le opere dell`€™artista, Crocifisso escluso.

Come fosse l`€™altare donatelliano non è dato saperlo. Ritenuto non più consono alla solennità  della liturgia emersa dal concilio di Trento, esso venne abbattuto e sostituito da uno più pomposo, ideato da Francesco Campagna e Cesare Franco: un gigantesco arco di trionfo sotto il quale era collocato un sontuoso tabernacolo. Nel macchinoso altarone avevano, tuttavia, trovato posto tutte le statue donatelliane che nel 1668, quando anche l`€™altare del Campagna venne sostituito, finivano sparse qua e là  per la basilica.

L`€™altare attuale, realizzato nel 1895 dall`€™architetto Camillo Boito, cronologicamente il quinto, non ha nulla a che vedere con l`€™altare del Donatello. Non esistendo nulla che possa aiutarci a farcene un`€™idea, sono state avanzate diverse ipotesi ispirate a dati ambientali e consuetudini liturgiche del tempo. Lo hanno fatto, ad esempio, F. Cordendons (1895), C. de Mandach (1899), D. von Hadeln (1909), H. Kauffman (1935), G. Fiocco e A. Sartori (1963), A. Parronchi (1963).

Di recente, ha fatto una sua ipotesi Andrea Calore, avvalendosi di alcune opere, del Donatello stesso, come l`€™Annunciazione, eseguita nel 1453 nella chiesa di Santa Croce in Firenze, o di discepoli o di altri artisti rinascimentali, come la pala in terracotta di Niccolò Pizzolo (1448), un bassorilievo che raffigura la Madonna con il Bambino e santi; il trittico di Andrea Mantegna per la chiesa di S. Zeno a Verona (1456-1459)... Riferendosi alle architetture presenti in queste opere, il Calore ha ideato un altare che la riproduzione sopra riportata illustra meglio di qualsiasi spiegazione. L`€™ipotesi del Calore, elaborata dal computer, è stata tradotta in un`€™immagine tridimensionale, che costituisce uno degli elementi di novità  della Guida della basilica in videocassetta realizzata dall`€™Audiovideo Messaggero di sant`€™Antonio.

·  Donatello lascia Padova. Nel 1453 l`€™artista completava il monumento al Gattamelata: una straordinaria statua del condottiero a cavallo, 3,40 metri di altezza, issata su un piedistallo di metri 7,80. È la prima statua equestre dell`€™epoca moderna, di classica e vigorosa compostezza, e rappresenta «uno dei punti più alti della scultura occidentale di ogni tempo».

Donatello lasciò Padova inaspettatamente nel 1454, Andandosene, lasciava una schiera di discepoli che, interpretando il suo spirito, hanno creato opere di indiscusso valore, alcune delle quali fanno degna corona ai capolavori del Maestro esposti nella Sala della Ragione.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017