Donne in festa
Di nuovo si avvicina l’8 marzo, festa della donna, e di nuovo, anche a costo di ripetermi, vorrei riflettere sull’eterna questione femminile che nell’attuale situazione del mondo mi sembra di particolare importanza, considerata anche la sempre maggior numerosità e longevità delle donne. Questa volta ciò che più mi colpisce è la contraddittorietà di una situazione che vede collocarsi su sponde opposte due modelli femminili diversi, difficilmente conciliabili. E allora cerco di trovare le mie risposte riesaminando quanto la ricerca psicologica in questi ultimi anni ci ha detto circa le caratteristiche del sesso femminile. Se consideriamo le conquiste che le donne hanno fatto negli ultimi cento anni, non possiamo che restare compiaciuti e ammirati. Partendo da quella fondamentale che è stata, almeno nel nostro Paese, il diritto al voto, dobbiamo riconoscere che molta acqua è passata sotto i ponti, acqua nella quale le nostre protagoniste hanno imparato a nuotare con vigore. Nella società moderna si moltiplicano, infatti, le presenze femminili nel mondo della politica, arti, tecnica e scienze. In Germania, nell’ottobre scorso, è stata rieletta cancelliera Angela Merkel, definita da alcuni giornalisti, anche nostrani, «la prima della classe che non imita gli uomini»; definizione che la dice lunga sul modo nuovo, rispetto a quello degli uomini, col quale le donne si muovono ai vertici della politica. E poi ancora un’altra donna, l’inglese Catherine Ashton, è stata scelta come ministra degli Esteri dell’Unione europea, mentre una ricercatrice egiziana è consigliera di Obama per i rapporti con il mondo musulmano.
Sull’altra sponda troviamo invece un universo femminile che non ci piace, ci rattrista, dominato dalla ricerca affannosa di eterne giovinezze e fisici attraenti con i quali barattare «un posto di rilievo» nella società. Un pullulare di veline, letterine, accompagnatrici e via dicendo, per le quali quel famoso posto sembra consistere ormai quasi inevitabilmente nella presenza in televisione o sui rotocalchi. Oppure, e anche questo ci rattrista, donne che subiscono violenze in famiglia, senza avere il coraggio di sottrarvisi.
Eppure la ricerca psicologica ci rimanda un’immagine di femminilità con potenzialità nettamente più ricche e articolate di quanto pensavamo. Molte autrici hanno ripercorso con sana ironia gli sforzi compiuti dagli scienziati del secolo scorso per spiegare le supposte carenze intellettuali delle donne e la loro debolezza emotiva, riconducendo le une e l’altra alle dimensioni del cervello, più piccole nelle donne che negli uomini. Caduto questo presupposto sulla base della semplice considerazione che le maggiori dimensioni del cervello negli uomini sono controbilanciate dall’altezza e dal peso anch’essi maggiori, gli scienziati non si arresero puntando la loro attenzione sulla specializzazione emisferica, sempre a danno del genere femminile. Ma anche qui dovettero cedere di fronte alle scoperte sulla plasticità del cervello che accomunava entrambi i sessi.
Questo per quanto riguarda i risultati delle neuroscienze. Dal punto di vista, poi, delle caratteristiche psicologiche, sono risultate sempre più evidenti le doti comunicative e sociali delle donne, che nell’ambito lavorativo sono dotate di capacità di cooperazione, pur non escludendo una sana componente competitiva. È risultato anche infondato il pregiudizio che alcune attività di pensiero, necessarie per lo studio della matematica e delle scienze, facciano difetto alle donne. Insomma, molte convinzioni sulle quali la società si è arroccata per secoli sono risultate fallaci.
Credo che le donne dovrebbero fare tesoro dei risultati della ricerca psicologica, acquisendo piena consapevolezza delle loro possibilità. È questa la vera conquista che auguro in occasione della loro festività.