Donne in prima linea
Il 2006, in politica internazionale, è stato l’anno delle donne. Michelle Bachelet è diventata presidente del Cile; Ellen Johnson-Sirleaf è stata la prima donna eletta presidente di uno stato africano, la Liberia; Ségolène Royal si è imposta come candidata socialista all’Eliseo; Nancy Pelosi ha guadagnato negli Usa la carica di speaker della Camera; Tzipi Livni è stata posta a capo della politica estera israeliana. Per non parlare delle già note Angela Merkel, cancelliere tedesco da più di un anno, nonché della grintosa Condoleezza Rice; e del fatto che proprio una donna, Hillary Clinton, sta puntando alla poltrona politicamente più prestigiosa del pianeta.
Perché questa avanzata a dir poco poderosa? Si tratta forse di moda passeggera o di un pedaggio da pagare alle tambureggianti rivendicazioni femministe? Credo proprio di no, dal momento che la discesa delle donne nel campo della politica porta con sé significati oggi particolarmente apprezzati: le relazioni umane, la famiglia, la cura e l’educazione dei figli, l’attenzione alla qualità della vita diventano finalmente temi centrali della vita pubblica. Con un conseguente riavvicinamento tra politica e società.
Oltre a parlare del dato più che significativo, a livello internazionale, costituito dall’emergere in ambito politico di personaggi femminili, in questo numero – volutamente tinto di rosa, ma comunque senza smancerie – ci soffermiamo su particolari storie di donne: Romina, la protagonista del nostro reportage, è figura emblematica di tante straniere che lasciano il loro Paese per accudire i nostri vecchi e accarezzare i nostri bambini, messe a «badare» alla vita che è ancora troppo fragile o che ricade nella fragilità. Nel servizio fotografico la seguiamo nel suo viaggio di andata e ritorno, sul filo della nostalgia ma soprattutto per sistemare i conti di famiglia, e nella breve sosta nella terra natale, la Moldavia. Le radici non sono state recise, anche se ormai i due mondi si stanno allontanando, troppo diversi e quasi estranei. Romina – il cui vero nome è Rodica, subito riaggiustato perché difficile da mandare a memoria qui da noi – è straniera in Italia, ma un poco lo è anche tra la sua gente, che ormai la guarda in modo distaccato. Lei è «arrivata», e dall’altezza dei suoi 1.200 euro al mese ha fatto un salto nella scala sociale. Appartiene a un altro mondo, irraggiungibile e quasi da favola.
Ma ci sono altre donne, in altre culture, di altre religioni e zone geografiche, che stanno crescendo. Ed è quanto testimonia l’esperienza di adozione messa in atto, in Marocco, dalla coraggiosa Hakima e da altre come lei.
Ci sono poi donne particolarissime, che non si mettono in mostra e proprio per questo non passano inosservate. Donne che hanno messo al centro della loro vita l’intimità con Dio, la relazione con Lui, nella preghiera lieta e costante all’interno di una comunità di sorelle, e lì si giocano tutto. Una giornalista, la brava Sara Melchiori, ha incontrato per noi due comunità femminili di vita monastica: la prima vive nel Monastero del Sacro Cuore a Monselice, la seconda nel Monastero di San Giuseppe e Bonaventura a Venezia. Ecco alcune risposte, spigolate qua e là. Alla domanda sul senso di questo genere di vita, una giovane professa risponde: «Se nel mondo alziamo il tasso di contemplazione, il bene non resta isolato». Interpellata in maniera galeotta: «Non ti manca nulla?», un’altra sorella risponde con un interrogativo carico di stupore: «Cosa potrebbe mancarmi?». E quando Sara chiede a suor Margherita se è contenta della strada che ha scelto, ecco che questa declina le selettive condizioni di partenza: «Prima di entrare in clausura ho detto a Gesù: “Se non mi dai il cento per cento, io torno indietro, perché voglio essere una donna completa”». Fino a oggi i conti tornano.