Doppia identità: un asso nella manica
Brisbane
Luigi Casagrande è presidente della Camera di Commercio italiana di Brisbane, e rappresentante delle Camere al Consiglio Assocamere di Roma. Come membro del Cgie e del Comites, si è particolarmente impegnato nella partecipazione alla Conferenza di Roma dei giovani italo-australiani di Brisbane.
Zanovello. Ho visto alla Conferenza un bel gruppo di giovani. Com’è avvenuta la loro preparazione?
Casagrande. È incominciata circa due anni fa, con delle pre-conferenze organizzate in autonomia dagli stessi giovani. Un’autonomia anche «economica» a dimostrazione del fatto che non si può sempre chiedere ma, per iniziative valide, è necessario anche assumersi i costi dell’organizzazione e darsi da fare. L’associazionismo giovanile italiano, anche in Australia, ha una sua storia. I giovani si sono riuniti più volte e in sedi diverse, anche se poi, per ognuno di loro, la partecipazione all’associazione è diminuita di anno in anno, a causa dell’inserimento nel mondo del lavoro o per l’assunzione di responsabilità legate al matrimonio e alla nascita dei figli. Tocchiamo, qui, l’eterno problema del fenomeno dell’associazionismo: un fenomeno dinamico, in continua evoluzione. Anche gli amici italo-australiani che hanno partecipato alla Conferenza di Roma, fra cinque o sei anni saranno adulti, lasciandoci la speranza che altri giovani aderiranno all’impegno associativo con altri loro coetanei. Nel fenomeno del cambio generazionale, nutriamo la fiducia che quanti hanno partecipato alle aggregazioni giovanili, dopo i 30-36 anni, aderiscano come adulti alle associazioni italiane nelle città dove risiedono, e accolgano con interesse il ruolo di certe istituzioni, come i Comites e il Cgie.
Lei crede che le associazioni abbiano ancora un loro ruolo?
Le associazioni sono state e continuano ad essere la spina dorsale dell’emigrazione. Quando la maggioranza degli italiani è arrivata in Australia, negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, i primi contatti e i primi aiuti per l’inserimento nel nuovo territorio, è stato loro offerto dalle associazioni. Oggi non ci sono più quelle situazioni sociali, ma il loro ruolo permane. Se le associazioni verranno rivitalizzate con una nuova linfa e nuove prospettive, noi italiani continueremo ad essere una forte realtà politica ed economica nei Paesi in cui operiamo. Questi giovani fanno parte, per qualche anno, dell’associazione. Ma poi escono perché «maturano», e devono affrontare situazioni e problemi che li coinvolgono totalmente come il matrimonio, la famiglia, il lavoro. Dopo qualche anno possono far ritorno al nostro mondo associazionistico, con nuovi interessi ed esperienze, e con la possibilità di assumere alcune attività di volontariato a beneficio della comunità italiana. Devo, però, sottolineare che ci sono delle stagioni della vita durante le quali il volontariato più efficiente è quello che si svolge in famiglia.
Mi ha colpito l’intervento di una rappresentante dei giovani italiani d’Australia che a Roma ha affermato: «quando ritorneremo, dovremo ri-fondare le nostre associazioni». Intendeva forse un modello associativo con modalità e stile partecipativo diverso?
Penso che da parte dei giovani inizialmente ci sia un atteggiamento di rigetto della vecchia gestione associativa. Ed è una cosa comprensibile. Credo, però, che non si possano cambiare lo stile e le finalità dell’aggregazione, anche se emergono delle alternative date dai nuovi sistemi informatici per facilitare i rapporti. I contatti attuati attraverso un computer non potranno mai sostituire l’incontro fisico, il valore e il significato del rapporto personale. Tutti i giovani che oggi usano i moderni strumenti informatici per approfondire conoscenze e allacciare rapporti, devono sentire innanzitutto il valore del contatto personale. Se non c’è in loro questa attenzione e questa sensibilità, non potranno mai capire il senso e i benefici dell’appartenenza a un’associazione giovanile o ad una qualsiasi aggregazione che abbia valore. Io provengo da Venezia, da una città dove, oltre alle bellezze delle strutture e delle sue opere artistiche, «si cammina sempre» a contatto con la gente. Venezia è amata perché ti obbliga a camminare, ad essere gomito a gomito con la gente. I contatti hanno valore quando ci si conosce, quando la comunicazione non si ferma a informazioni on-line, ma matura soprattutto nuovi rapporti umani che possono divenire anche profondi.
Lei è presidente della Camera di Commercio di Brisbane e responsabile del coordinamento delle Camere di Commercio in Australia. Queste entità quali incentivi e facilitazioni offrono alle nuove generazioni in rapporto all’italianità?
Tutte le Camere di Commercio d’Australia hanno una sezione giovani. Nel Queensland, in particolare, negli ultimi dodici anni si è sviluppato un nostro Gruppo giovani in parallelo. La Camera di Commercio di Brisbane ha da anni sovvenzionato delle conferenze giovanili. La prima è stata nel 2001, con la partecipazione di 150 giovani, la seconda nel 2007 con un centinaio di presenze. Le Camere di Commercio ci credono a queste iniziative perché il loro ruolo è di indicare il sentiero per il loro inserimento lavorativo. La nostra attiva segretaria, Maria Maruca, ci ha testimoniato che dopo la nostra Conferenza sulle Camere di commercio, ha ricevuto tante telefonate da parte di giovani italiani residenti nel Queensland che chiedevano informazioni su come inserirsi nel lavoro: e per una mezza dozzina siamo riusciti subito a trovare un impiego. Questi giovani hanno un bagaglio di esperienze, che spesso non sanno di avere, come la conoscenza di due lingue, l’appartenenza a una famiglia italiana con l’educazione australiana; infine, con i loro titoli di studio. Se si mettono insieme questi benefici e si è coscienti di averli come patrimonio, un giovane si trova a partire da un livello che lo pone in vantaggio rispetto agli altri suoi coetanei australiani, che parlano l’inglese.
Quali prospettive hanno questi giovani?
I nostri giovani italo-australiani hanno una marcia in più, una maturità eccellente. L’abbiamo constatato anche nei loro interventi durante la Conferenza di Roma. In Australia, i nostri giovani oltre i 21-22 anni sono già considerati adulti: conoscono già due mondi – certi addirittura tre – e la gran parte di loro ha incominciato a lavorare. La loro esperienza è esaltante, e dovrebbe essere maggiormente capita da quanti vivono in Italia. Hanno infatti l’oro per strada, e non sanno come raccoglierlo. Se facessi parte di questa generazione, vedrei un futuro molto roseo. La mia paura è che queste generazioni siano manipolate, messe in direzioni in cui, da soli, non andrebbero. Qui c’è la questione dei partiti e delle istituzioni italiane che potrebbero offrire l’alternativa di adagiarsi su una cultura «burocrate». I nostri giovani sono però indipendenti: vogliono pensare da soli, e io vedo con speranza il loro futuro se manterranno la loro autonomia.