Dossier. Il sole e le altre fonti
Provate a rispondere a bruciapelo alla domanda: che cos’è l’energia? Sembra facile... Meglio partire allora dal significato letterale della parola, che deriva dal greco en ergòn, vale a dire «dentro al lavoro». Adesso ci siamo: l’energia è la capacità di compiere un lavoro. Vale per noi quando alziamo un peso, facciamo le scale, sbucciamo una mela; vale per un cubetto di ghiaccio quando si scioglie; vale per le cellule che tengono in attività ogni realtà vivente. Senza un simile carburante prezioso, il mondo sarebbe un cimitero.
Ma come tutti i carburanti, anche questo va usato con cura, per evitare di ritrovarsi a piedi a metà strada: soprattutto perché l’energia ha il brutto difetto, come insegnava un tipo autorevole quale Einstein, di non poter essere né distrutta né creata, ma solo trasformata nelle sue diverse forme. Le quali, a loro volta, hanno una caratteristica: alcune sono esauribili, altre rinnovabili. Le prime sfruttano combustibili fossili tipo la legna, il carbone, il petrolio, il gas naturale, ma anche un minerale radioattivo, e cioè l’uranio; le seconde vengono rigenerate dalla natura man mano che le si utilizza: succede per l’acqua, il vento, le onde marine, i raggi solari, la geotermia, la biomassa, la stessa forza muscolare.
Il fatto è che ogni sistema, grande o piccolo che sia, nel momento in cui si dedica a trasformare energia, assorbe qualcosa dall’ambiente, e gli restituisce dell’altro. Il che pone un duplice problema: fare in modo che ciò che viene assorbito non vada esaurito; far sì che quello che si riversa nell’ambiente non gli causi danni gravi o, ancor peggio, irreparabili. La natura in questo è maestra: ad esempio, l’ossigeno, di cui le piante si disfano nel processo di fotosintesi, viene utilizzato dagli animali per respirare. L’uomo invece è un allievo sempre peggiore: basti pensare a quel che combina con il modo di utilizzo dei combustibili fossili, responsabili del riscaldamento progressivo della Terra (la temperatura media del pianeta, negli ultimi anni è stata sempre al di sopra dei 15 gradi).
C’è un aspetto che deve preoccuparci: i consumi di energia sono esplosi ai livelli più alti mai toccati nell’intera storia dell’umanità. Per rendere l’idea, c’è chi ha fatto un calcolo tanto singolare quanto efficace: se trasformassimo i consumi energetici in energia fornita per via muscolare, scopriremmo che oggi ciascuno di noi, neonati e anziani compresi, utilizza l’energia corrispondente al lavoro di centoquaranta schiavi o di una trentina di cavalli.
I pannelli solari e il fotovoltaico
Fin qui abbiamo provveduto attingendo a piene mani alle fonti energetiche più disponibili ed economiche, dal carbone al gas naturale, dal petrolio al nucleare. Ma sappiamo benissimo (anche se a volte fingiamo di dimenticarcene) che queste fonti tradizionali sono destinate prima o poi ad esaurirsi, e che quindi è indispensabile, da un lato, imparare a risparmiare, e, dall’altro, soprattutto trovare e «coltivare» fonti alternative, puntando in particolare su quelle rinnovabili, in attesa dello sviluppo di diverse e più avanzate tecnologie: penso alla fusione nucleare, per la quale in ogni caso occorre un lavoro di molti anni.
Da dove cominciare? Da quello che abbiamo sotto (anzi sopra) gli occhi tutti i santi giorni: il sole, un’autentica ed enorme centrale atomica in cui un processo costante di fusione nucleare sprigiona gigantesche quantità di energia, parte della quale arriva a noi, variando a seconda delle stagioni: circa due kilowatt al giorno per metro quadro in inverno, da cinque a sei d’estate. Il fatto è che essa è sparsa su una superficie vastissima, quindi è inutilizzabile dal punto di vista pratico perché si disperde: il problema è raccoglierla per poterla sfruttare. E su questo piano ci siamo attrezzati abbastanza bene, ricorrendo a due tipi di sistemi: quelli che sfruttano direttamente l’energia dei raggi solari, come le celle fotovoltaiche o i collettori solari; e quelli che sfruttano i fenomeni provocati dal sole, tipo il moto ondoso o il ciclo dell’acqua.
Prendiamo una delle soluzioni più conosciute, i pannelli solari, che a loro volta sono di due tipi: quelli piani, in grado di produrre acqua e aria calda fino a 70-80 gradi, e quelli concentratori, che garantiscono acqua calda fino a 200 gradi. Peccato che entrambi presentino tuttora costi abbastanza elevati per l’installazione e che, per i secondi in particolare, si aggiungano rilevanti problemi di manutenzione, mentre i primi abbiano bisogno comunque di essere abbinati a una fonte tradizionale di energia per i periodi in cui l’energia solare non è sufficiente a garantire i quantitativi necessari di acqua calda. E tuttavia, i rapidi progressi tecnologici consentono di sperare che in tempi abbastanza veloci questi ostacoli saranno superati.
Per quanto riguarda in particolare il capitolo energia elettrica (sia pure per consumi modesti, diciamo di tipo domestico), lo scenario più promettente appare comunque quello delle celle fotovoltaiche: si tratta di veri e propri generatori di corrente elettrica che per funzionare hanno bisogno soltanto della luce naturale. È un meccanismo possibile, grazie alla scoperta del cosiddetto effetto fotovoltaico, che risale addirittura al 1839; ma solo oltre un secolo dopo, e precisamente nel 1954, si è riusciti (negli Stati Uniti) a costruire le prime celle in grado di produrre energia elettrica con un rendimento accettabile.
Quelle che si possono attualmente comprare sul mercato hanno una resa del 12 per cento, il che significa che trasformano in energia elettrica il 12 per cento di quella luminosa: che non è molto, ma la percentuale aumenterà sicuramente in tempi rapidi grazie ai progressi tecnologici legati alla costruzione delle celle (le quali sono sostanzialmente lamine di silicio opportunamente trattate). Resta anche qui il nodo dei costi, che sono decisamente elevati (grosso modo 15 euro per ogni watt di potenza prodotta, e per una casa civile isolata occorrono potenze da almeno 150-200 watt), anche se sono già ridotti a un decimo rispetto a quelli iniziali.
Anche il vento produce energia
Come alternativa, si parla parecchio dell’energia eolica, quella cioè prodotta dal vento, che è tra le forme più antiche cui l’umanità abbia fatto ricorso. Basti pensare ai mulini a vento, che utilizzavano l’energia cinetica dell’aria attraverso vele di stoffa triangolari disposte a raggiera su un rudimentale telaio, e che venivano impiegati, ad esempio, per macinare il grano e produrre quindi la farina. Oggi, si impiegano generatori eolici che trasformano l’energia del vento direttamente in energia elettrica, e che sono in grado di erogare potenze molto elevate, fino a 3 mila kilowatt (peraltro con pale gigantesche, dell’ordine del centinaio di metri di diametro). Naturalmente, la condizione fondamentale è che nella zona in cui sono installati soffi un forte vento per parecchi giorni all’anno.
Ci sono altre risorse naturali che possono soddisfare il nostro bisogno di energia, e una di queste ce l’abbiamo sotto i piedi: la temperatura della crosta terrestre aumenta di circa tre gradi ogni 100 metri di profondità, solo che, per poterne prelevare la quantità necessaria a scopi energetici, bisognerebbe spingersi fino a un paio di chilometri sottoterra. E tuttavia, ci sono nel nostro pianeta alcune zone dove il caldo giusto si trova molto più vicino alla superficie, ed è da lì che si attinge per ricavare quella che viene chiamata l’energia geotermica, attraverso la trivellazione di appositi pozzi: con questa fonte si ricava vapore per muovere le turbine collegate ai generatori elettrici, ma anche per riscaldare edifici o per consentire particolari coltivazioni agricole.
Biomassa: energia dai rifiuti
Dove invece non c’è bisogno di procedere a scavi o a impianti sofisticati di varia natura, è (letteralmente) per terra, dove buttiamo i rifiuti: che tali in realtà non sono, visto che si possono recuperare per trasformarli nella cosiddetta biomassa, cioè l’insieme degli scarti forestali, agricoli, zootecnici e urbani (attenzione: non quelli industriali, perché contengono sostanze inquinanti), dai quali si può ricavare energia o semplicemente bruciandoli, o realizzando prodotti combustibili ottenibili attraverso particolari procedimenti biochimici. Tra questi ultimi, il più interessante è il biogas, che deriva dalla fermentazione, realizzata in un ambiente privo di aria, di sostanze organiche come ad esempio i liquami degli allevamenti o le acque di fognatura. A occuparsi di questa trasformazione sono dei batteri anaerobici che, «digerendo» letteralmente i rifiuti, producono un miscuglio di gas formato per due terzi da metano e per un terzo da anidride carbonica e altri gas. Questo biogas può essere utilizzato direttamente, oppure venire immagazzinato in appositi serbatoi; tra l’altro, il fango che rimane al termine del processo di fermentazione può a sua volta essere riutilizzato come concime, perché mantiene inalterato il contenuto originario di azoto, fosforo e potassio, mentre si è depurato del carico inquinante.
Tornando alla biomassa, c’è da dire, più in generale, che il suo utilizzo come combustibile immesso in apposite caldaie ha ormai raggiunto un livello tecnologico molto avanzato, e, di conseguenza, possiamo aspettarci un crescente ricorso a questa forma di energia tanto povera quanto preziosa. A dimostrazione – in un’età come la nostra, caratterizzata da sprechi diffusi e a volte scandalosi – che la natura ci fornisce materiali e alternative più che sufficienti (ed efficienti) per convivere in maniera pacifica con essa. Certo, per riuscirci occorre che siano i cervelli a produrre la giusta dose di energia.