... E io vivo

La sclerosi laterale ha limitato a tal punto la sua esistenza da vivere solo grazie a un respiratore artificiale, e da avere vigili solo la mente, gli occhi e l’udito, ma chi può negare la preziosità di questa vita?
07 Giugno 1997

Ad attenuare l`€™impatto con una situazione inusitata in chi le fa visita per la prima volta è proprio lei, la malata, con il suo sorriso appena accennato che le illumina il volto, con i suoi occhi chiari che sembrano finestre aperte su un mare di tranquillità . E dopo un po`€™ quasi non avverti il tonfo cadenzato del respiratore artificiale che ti sorprende come un messaggio funereo appena varchi la soglia della sua stanzetta, al primo piano di una villetta a Cormons, Gorizia. Ma senza quella macchina Maria Pia Pavani non ci sarebbe più! E da tanto tempo, da quando la malattia che l`€™ha colpita (sclerosi laterale amiotrofica), proseguendo nella sua inesorabile opera distruttrice, era giunta a paralizzarle i muscoli dell`€™apparato respiratorio facendola lentamente scivolare in un coma, a quelle condizioni, senza ritorno. Le restava, unica alternativa, una macchina alla quale restare legata per il resto della vita.

Attaccarla ad essa era una decisione che spettava ai familiari, marito e quattro figli. 'Ma `€“ ricorda il marito `€“ esausti da oltre due anni di lotta, durante i quali le avevamo tentate tutte, ricorrendo a cure e istituti specializzati di mezza Europa che ci avevano prosciugato ogni possibilità  materiale e spirituale, eravamo terribilmente perplessi'. I primi sintomi del male si erano manifestati in Maria Pia nel 1991. Il succesivo aggravarsi l`€™aveva costretta ad abbandonare l`€™insegnamento (era maestra elementare) per poi ridurla in carrozzella e infine a letto.

A toglierli dall`€™imbarazzo ci pensò il medico curante, il professor Busato, primario della Rianimazione nell`€™ospedale di Gorizia, che seguendo la donna ne aveva conosciuto la ricchezza interiore, la inesausta voglia di vivere e la preziosità  della sua vita. Non decise di suo, ovviamente, ma si rivolse alla malata stessa, sperando di sorprenderla in un attimo in cui il coma avesse allentato la sua morsa. Gridando, per penetrare il muro dell`€™incoscienza, le chiese di esprimere con un battito delle ciglia, se lo sentiva, la sua volontà  di continuare a vivere oppure no. E gli occhi di Maria, sorprendentemente si aprirono e si rinchiusero più volte. L`€™équipe medica dell`€™ospedale goriziano, prontamente chiamata, provvedeva subito a collegare i suoi polmoni al ventilatore automatico, mentre altre cannule le venivano inserite per poterla alimentare. Ed è tornata a vivere.

Ora Maria Pia di vigile ha solo la mente, gli occhi e l`€™udito. Il resto del corpo è lì: inerte, come un estraneo manichino. È come se in lei fosse viva solo l`€™anima. Ma il suo vivere non è vegetare, la sua vita non è sprecata. Certo, per la sua famiglia, che con grande forza e coraggio la assiste in ogni attimo e spesso da sola, è un peso non indifferente, e lei stessa lo nota, ma ricambia quelle attenzioni continuando a essere l`€™anima della casa, occasione di conforto e di speranza per tanti che l`€™avvicinano, attingendo alla fede in Dio che la sostiene in questa non comune esperienza di malattia. Come ci testimonia l`€™arcivescovo di Gorizia, Antonio Vitale Bommarco, che ce l`€™ha fatta conoscere.

Fino a poco tempo fa, Maria Pia comunicava attraverso un codice di linguaggio semplice, indentificando con la chiusura e l`€™apertura delle palpebre, una per una le lettere o i numeri che le venivano indicati su una tabella. Oggi riesce a scrivere utilizzando un computer che lei attiva con minimi, quasi impercettibili, movimenti del mento, che un sofisticatissimo programma traduce in lettere e numeri sullo schermo. In questo modo comunica con la famiglia, suggerendo di momento in momento il da farsi, anche nelle minute cose quotidiane. Accompagna con i suoi suggerimenti la crescita dei figli (alla più piccola ha dato ripetizioni di matematica). Scrive traducendo in forma poetica la sua esperienza, le sue sensazioni, i sentimenti, il trascorrere quotidiano della vita; il locale 'Lions Club' ha raccolto il tutto in un prezioso volume: Volo di farfalla, per le Edizioni della Laguna. Ha anche raccontato, in un manoscritto ancora inedito, la sua avventura: un documento di rara intensità  e bellezza. Risponde anche a decine di persone, malate come lei o anche sane, che le scrivono da ogni parte d`€™Italia per chiedere consigli su come vivere la malattia e, pensate, parole di conforto.

I medici, con la loro scienza e la loro disponibilità , la tecnologia, i suoi familiari, i rari volontari... hanno avuto un ruolo determinante nella sua esperienza e verso tutti Maria Pia manifesta riconoscenza: senza di loro lei non ci sarebbe! Ma poi è lei a trasformare la sopravvivenza offertale dalle macchine in pienezza di vita, al di là  delle condizioni del corpo. Alla fine, è lei che prende per mano tutti coloro che la circondano, e li conduce a esplorare un mondo che è di tutti gli uomini, ma che solo 'chi ha perso il corpo' riesce a percorrere con sicurezza. Maria Pia fa questo attraverso la parola che diventa poesia: per lei uno strumento di lotta contro la deriva della solitudine, e per rispondere con amore a un difficile destino.

Al computer abbiamo dialogato con lei.

Msa. Perché, mentre la vita le stava sfuggendo, ha chiesto di continuare a vivere, pur sapendo che l`€™avrebbe potuto fare solo dipendendo da una macchina?

Pavani. La morte, pur attesa, giunge sempre improvvisa e troppo presto, quindi diventa istintivo, in qualsiasi condizione, aggrapparsi alla vita. Si è trattato di una forma di egoismo, perché non mi ha sfiorato l`€™idea che per vivere avrei coinvolto nell`€™assistenza tutta la famiglia; mi ossessionava, per contro, il pensiero di dover abbandonare i figli ancora piccoli.

Che cosa risponde a chi dice che in certe condizioni non è più vita?

Subentra l`€™adattamento anche nella fisicità  più disastrata, e basta l`€™amore dei propri cari, la solidarietà  del prossimo, la disponibilità  e sensibilità  dei medici, ecc., a far dimenticare che anche le rose hanno le spine. Essenziali sono, però, la forza, la voglia di fare, la gioia di vivere, anche di minime cose, del disabile.

Che cosa le dà  la forza di sopportare disagi non comuni?

È sempre stata una mia caratteristica avere carattere forte e deciso; altri lati, quali umiltà  e pazienza, sono stati esaltati e affinati dalla sofferenza. La fede mi è stata indubbiamente di grande aiuto.

Ha mai imprecato, come Giobbe, contro Dio che le ha dato prove così forti?

Dapprima, come tutti coloro che si scoprono colpiti da gravi malattie, mi sono chiesta perché proprio io, e mi logoravo nella ricerca di quale mancanza avessi commesso per meritare una pena così grave; poi ho capito che la mia sofferenza doveva servire a qualcosa, e mi sono abbandonata al disegno di Dio.

Che cosa pensa al mattino quando si sveglia?

Vivo ogni giorno come un prezioso dono del Signore e, sbrigate le mie incombenze che riguardano igiene e medicazioni, mi metto al computer fino a sera, ringraziando Dio della forza che mi dà .

Che cosa rimpiange di più del tempo in cui stava fisicamente bene?

Rimpiango l`€™uso delle mani, mi addolora il pensiero di non poter accarezzare i bimbi.

La malattia le ha consentito di scoprire cose, sentimenti che prima non conosceva?

La malattia non dona alcunché al malato, in molti casi esaspera astio e pretese; in me ha acuito sensibilità , amore e altri doti che già  possedevo.

Quando ha sentito l`€™esigenza di esprimere in forma poetica i suoi sentimenti?

Ho espresso in versi pensieri e sentimenti perché la poesia permette di dire in poche parole grandi cose. (E per colpa di padre Pio, che mi ha indicato la via con profumo d`€™incenso e di gigli).

Perché la gente, che magari sta bene, racconta a lei i propri guai?

Molti si sentono in dovere di rendermi visita. Siedono compunti sulla branda accanto al mio letto, poi si infervorano nel racconto delle loro pene. Infine, se ne vanno sollevati, perché confessando la loro sofferenza hanno partecipato alla mia, e cancellato il disagio di essere sani.

Ha paura della morte?

Non temo la morte che, secondo il credo cristiano, conduce al cospetto di Dio. l

 

 

Mani mie

I colori giaccion in fondo al cassetto rimiro ben curate
immobili mani di fata;
ricordi di mille lavori
scivolano tra le dita,
brulicare di idee complete
e per dar loro vita
usi mani altrui.
Ma la parola non riesce mai
a comunicare l`€™estro.
Vorrei mani ruvide e sporche.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017