È morto per il suo popolo

09 Maggio 2000 | di
 
      Il 24 marzo 1980 veniva assassinato monsignor Oscar Arnulfo Romero,  colpevole di aver denunciato i soprusi e le ingiustizie  di alcuni potenti contro i poveri, che erano la gran parte del paese. Un breve ricordo per non dimenticare.

 

«Vorrei fare un appello speciale agli uomini dell`€™esercito e in particolare alle truppe della Guardia Nacional, della Polizia e a quelli delle caserme. Fratelli, siete parte del nostro popolo. Voi uccidete i vostri fratelli e sorelle contadini. Davanti all`€™ordine di uccidere, dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio, che dice: 'Tu, non uccidere'. Nessun soldato è obbligato a eseguire un ordine che va contro la legge di Dio. Nessuno deve rispettare una legge immorale. È tempo di ricuperare le vostre coscienze e obbedire a esse, piuttosto che agli ordini del peccato. Vogliamo che il governo si convinca che le riforme non valgono niente se sono macchiate di sangue. In nome di Dio e in nome delle persone che soffrono, il cui lamento si leva ogni giorno tumultuoso verso il cielo, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino: fate cessare la repressione».
Era domenica 23 marzo 1980, quando monsignor Romero, dalla basilica del Sacro Cuore di San Salvador e non dalla cattedrale, occupata dalle organizzazioni popolari, invocava la cessazione della guerra fratricida, in atto da tempo nel Salvador. Poi, sui gradini della chiesa, salutava, accarezzando, i bambini e le fronti rugose dei vecchi. Ai giovani raccomandava prudenza e coraggio. Breve riposo in casa dell`€™amico Francisco Miranda (libero professionista) che nel pomeriggio l`€™accompagnò in un paesetto per l`€™amministrazione delle cresime.
Di ritorno, espresse il desiderio di riposare, il giorno dopo, in riva al mare. Invece, passò tutta la mattinata nel suo studio: una stanzetta messa a disposizione dalle suore nell`€™ospedale della Divina Provvidenza. Nel pomeriggio, si presentò dall`€™anziano confessore gesuita dicendo `€“ e sembrava un presagio `€“: «Voglio sentirmi pulito davanti al Signore».
Alle 18, Romero celebrò una messa di suffragio nella cappella dell`€™ospedale. Dopo l`€™appello della domenica, molti temevano per la sua vita. All`€™omelia commentò il vangelo di Giovanni (12,23-26), soffermandosi sul versetto: «Se il granello di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto», sottolineando che «non si deve amare se stessi al punto di sfuggire i rischi della vita che la storia esige da noi». Poi il pane e il vino, che stava offrendo sull`€™altare, non ebbero tempo di diventare il corpo e il sangue di Cristo. Risuonò uno sparo. Romero crollò all`€™indietro, di fronte a un grande crocifisso.
L`€™arcivescovo di San Salvador moriva, poco dopo, in sala di rianimazione. Erano circa le 18 e 45 di lunedì 24 marzo 1980. Aveva 63 anni. Molti governi stranieri condannarono l`€™assassinio. La Giunta di governo presentò le condoglianze alla Conferenza episcopale salvadoregna. Solo le radio e le televisioni delle oligarchie economiche continuarono come se nulla fosse accaduto.
Ai funerali, nella domenica delle Palme, altra messa incompiuta. Il cardinale Ernesto Corripio, presidente dell`€™assemblea liturgica, fu costretto a seppellire in fretta la salma di Romero, per l`€™esplosione di bombe all`€™angolo del Palazzo Nazionale. Si calcolò che oltre ai trenta vescovi, trecento preti, cinquecento suore da tutto il mondo, vi abbiano partecipato duecentomila persone, di cui quaranta morirono schiacciate dal fuggi fuggi.

Chi era l`€™arcivescovo Oscar Arnulfo Romero? Lo abbiamo chiesto ad alcuni che lo hanno conosciuto e stimato.

- Monsignor Ricardo Urioste, suo vicario generale per tre anni a San Salvador: «Romero fu un uomo che amò intensamente il Signore. Un grande cristiano, un grande sacerdote, un grande vescovo. Amato e rifiutato nella sua patria: un segno di contraddizione, ma grande regalo di Dio al Salvador, piccola e povera nazione. Si consigliava costantemente con Dio nella preghiera. Una mattina presto, nel mese di dicembre 1979, erano venuti a trovarlo il cardinale Lorscheider dal Brasile ed Ector Dada, a quel tempo presidente del governo nazionale. A un certo momento, monsignore si scusò e uscì. L`€™assenza si prolungava. Lo cercai dappertutto; infine lo trovai nella chiesetta, inginocchiato nel terzo banco, in adorazione del Santissimo. 'Monsignore, La stanno aspettando!'. 'Che abbiano pazienza un attimo', mi rispose. E continuò a pregare. Era come un albero in fiore: affondava le radici in Dio».
La sua profezia?
La sua denuncia del male. Il denaro è la radice di tutti i mali, dice la Scrittura. Denunciava il sopruso dei potenti - che non resistevano al suo ragionamento, se non con la violenza - la repressione.
Ma chi erano gli avversari di Romero?
La risposta si trova nella domanda: chi erano gli avversari di Gesù Cristo? Lo uccisero coloro che non tolleravano le sue parole, la sua profezia. Gli ipocriti di sempre. I violentatori della persona umana. Quelli che non sanno amare, ma sanno ammazzare. La voce di Romero è diventata più forte e universale di prima.
Che cosa manca alla storia di Romero?
Un`€™analisi seria della sua personalità  da parte dei suoi avversari. Gli hanno tolto la vita prima ancora di ammazzarlo.
In breve, chi è stato monsignor Romero?
È stato un martire del Vangelo e del magistero universale della Chiesa. La sua morte fu quello che fu la sua vita: una comunione intima con Dio fino a mescolare il suo sangue con quello di Gesù. I poveri con le loro sofferenze fecero di lui un vescovo fatto popolo.

- Monsignor Luigi Bettazzi, già  vescovo di Ivrea e presidente internazionale di Pax Christi: «Romero è il martire della speranza come san Massimiliano Kolbe lo fu della carità , offrendosi di morire al posto di un compagno di prigionia».
Chi aveva paura di Romero?
Un ristretto numero di benestanti che dominavano il paese (pare si trattasse di sole quattordici famiglie; oggi sarebbero ridotte a sei o sette), disturbati dall`€™azione di Romero che aveva instaurato un Ufficio di difesa dei diritti umani dei più poveri, vittime di soprusi e di attentati, nel quale si serviva dell`€™avvocato Marianela Garcia Vilas (assassinata nel 1983).
E nell`€™ambito ecclesiastico?
Nell`€™ambito ecclesiastico ci si appellava a possibili strumentalizzazioni, anche se quella gente traeva forza dal Vangelo. Non dimentichiamo che in quei tempi i governi, più o meno dittatoriali, del Centro America erano protetti dagli Usa e che, quindi, chi sperava in un cambiamento guardava alla Cuba di Fidel Castro. Forse questa contrapposizione, alimentata dai riflessi dello scontro ideologico europeo, ha pesato sui giudizi dati dalle Chiese occidentali, che erano in grado di influenzare le situazioni anche con elargizioni finanziarie. Forse per questa comprensibile prudenza, Giovanni Paolo II, quando visitò il Salvador, non mise nel programma ufficiale l`€™omaggio alla tomba di monsignor Romero, ma andò poi a visitarla, elogiando pubblicamente l`€™arcivescovo come pastore zelante e generoso.

- José Elias Rauda, un francescano salvadoregno di Aguilares, la parrocchia dove fu assassinato il gesuita padre Rutilio Grande, il cui martirio aprì definitivamente il cuore di Romero alla causa dei poveri, testimonia che fu l`€™arcivescovo a illuminare la sua vocazione e a determinare la fioritura di tante anime consacrate nel Salvador. «Nel 1978 Romero confidò a un gruppo di miei confratelli del Guatemala di essere stato informato del come sarebbe stato ucciso».
Alla domanda: «Lei ha paura di morire?» Romero rispose: «Quando sono solo e penso a tutto questo mi vengono i brividi, ma quando sono con il mio popolo, in cattedrale o in qualunque comunità  di fedeli e penso al futuro, mi sento più forte».
Due settimane prima di essere assassinato, Romero aveva detto a un giornalista dell`€™«Excelsior» del Messico: «Se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno. La mia morte, se è accettata da Dio, sia per la liberazione del mio popolo e una testimonianza di speranza per il futuro. Un vescovo morirà , ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà  mai».


 
   
SESSANTA INTENSI ANNI      

O scar Arnulfo Romero y Galdamez nasce a Ciudad Barrios, provincia di San Miguel, il 15 agosto 1917, secondo di otto fratelli. Viene battezzato l`€™11 maggio 1919. A 13 anni (1930) entra in seminario dopo un apprendistato come falegname. Per aiutare la famiglia, lascia il seminario e lavora nella miniera d`€™oro di Potosl. Nel 1937, tornato in seminario, è inviato a studiare nelle facoltà  pontificie romane. Nel 1942, viene ordinato sacerdote. Un anno dopo, inizia il suo ministero sacerdotale in patria. Il 21 giugno 1970, consacrato vescovo, è nominato ausiliare di San Salvador. Poi, nel 1974 (15 ottobre), vescovo di Santiago de Maria. Il 3 febbraio 1977 è scelto come arcivescovo di San Salvador (la capitale dello stato El Salvador). Il 12 marzo 1977 Romero veglia nella notte le salme del gesuita padre Rutilio Grande, parroco di Aguilares e di altre due vittime (data della sua nuova evoluzione o conversione alla causa del popolo). Il 24 marzo 1980 è assassinato, durante la celebrazione della Messa, nella cappella dell`€™ospedale della Divina Provvidenza a San Salvador.

 

IL CENTRO P. KOLBE RICORDA MONSIGNOR ROMERO
Morte per un popolo (Oscar A. Romero: pastore e martire) è il titolo di un oratorio in tre atti, scritto dall`€™autore di quest`€™articolo, per ricordare i vent`€™anni dall`€™assassinio.
È rappresentato dal Gruppo Teatro Ricerca del Centro culturale P. M. Kolbe, di Venezia-Mestre (via Aleardi 154, cap 30172; tel. E fax 041/5414717 oppure 041/5059433).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017