È Pasqua e tacciono le campane
Pasqua è stata per secoli la festa più importante della cristianità, dal momento che ricorda i due episodi su cui si fonda la nostra salvezza: la Passione e la Risurrezione di Cristo. Oggi, però, è la festa religiosa più secolarizzata. Il Natale, pur ridotto a un’apoteosi del consumismo, mantiene tracce del suo significato originario: non tanto la gioia per la nascita di Gesù, ma un generico senso di bontà e qualche atto di carità (quasi sempre modesto) ricordano la sua origine cristiana. E anche se i regali ai bambini non sono più un premio, ma un diritto indiscusso e indiscutibile, qualcosa del tradizionale anelito a essere buoni e a occuparsi della famiglia è rimasto.
Il complesso e profondo significato religioso della Settimana Santa e di Pasqua sono invece più difficilmente traducibili in comportamenti generici, e così questa festa si è più decisamente secolarizzata, diventando soprattutto occasione di vacanza, anticipo delle ferie estive per chi può, qualche giorno tranquillo per andare al cinema e mangiare bene per gli altri.
La benedizione delle uova – che significava la benedizione per la nuova stagione, i nuovi animali e i nuovi raccolti – si è tramutata nel mercato delle uova di cioccolata, che però riguarda quasi solo i bambini. E anche per loro il significato si è attenuato: ormai le uova con sorpresa sono diventate un prodotto quotidiano, non più legato a questa scadenza. Probabilmente molti giovani italiani non sanno neppure più quale sia il significato di questa festa o ne hanno un’idea piuttosto confusa.
Del resto, anche quello che era il segno pubblico della gioia pasquale, cioè il suono festoso e prolungato delle campane che annunciano la Risurrezione, non si sente più. In quasi tutte le chiese, infatti, le campane sono sostituite da registrazioni, spesso programmate elettronicamente, con una scelta che è più pratica ed economica delle campane, e permette di non pagare campanari, in fondo anche di abolire i campanili, utili ormai solo come sostegno di antenne. O addirittura, per le proteste di molti, le campane sono state zittite del tutto.
Ma per la comunità cristiana la fine delle campane non è un avvenimento secondario. Al contrario, si può parlare di una vera e propria morte di un protagonista della vita cristiana, perché si riteneva che le campane fossero dotate quasi di personalità propria: dopo la costruzione, venivano «battezzate», al loro interno veniva incisa una scritta beneaugurante, quasi sempre una citazione sacra, ed erano considerate protettrici della comunità.
Si credeva, infatti, che il suono delle campane potesse disperdere le tempeste e in generale non solo avvertire dei pericoli, ma anche scongiurarli. Non solo le campane avevano un linguaggio – i rintocchi di festa, quelli quotidiani, quelli di lutto e di pericolo – ma ognuna aveva la propria voce, che i componenti della comunità riconoscevano fra le altre. Nei romanzi, spesso, il ritorno al villaggio natio era accompagnato dal riconoscimento della voce della propria campana.
Il primo colpo al prestigio delle campane venne inferto dall’interiorizzazione della vita religiosa imposta da Riforma e Controriforma in Europa; poi la laicizzazione delle istituzioni locali e l’indifferenza per il patrimonio simbolico hanno fatto il resto.
La fine di questa forte voce pubblica della vita cristiana ha portato con sé anche il declino della Pasqua, la festa che nella tradizione popolare è sempre stata legata alle campane: il dolore per la Passione e la gioia per la Risurrezione, privati della dimensione pubblica, non hanno resistito nell’intimo dei cuori.
Chi compra le campane di cioccolata pensa solo al pranzo, e magari rimpiange di non essere in vacanza in un Paese lontano, soffocando dentro di sé il dolore di non credere più nella Risurrezione.