Ecco la mia Italian community

04 Gennaio 1998 | di

Secondo il presidente di 'Feditalia', i comuni italiani dovrebbero destinare specifici fondi al rapporto coi propri cittadini all'estero per non perdere un inestimabile patrimonio di relazioni.

Buenos Aires

Arrivò in Argentina nel 1952. Doveva costruire una fabbrica di grandi motori diesel, ma non se ne fece nulla. Una volta scaduto il contratto, non tornò in Italia, ma rimase in Argentina e iniziò nuove attività  in campo agricolo e industriale, acquisendo commesse in associazione con altre imprese. Poco dopo si sposò.

Si snoda lungo questo canovaccio, l'avventura argentina di Luigi (Luis) Pallaro, imprenditore di successo, e tuttora presidente della Camera di commercio italiana nella Repubblica argentina.

Ogniqualvolta si pronuncia il suo nome in Sud America, tutti hanno un motto di rispetto. I capelli bianchi tradiscono la sua età  non più verdissima; ma Pallaro è un uomo tutto d'un pezzo, un self-made-man come lo definirebbero gli americani. Quando parla, non ha peli sulla lingua; incute rispetto come i grandi patriarchi di un tempo, eppure, se gli si siede accanto a tavola, si scopre in lui l'affabulatore che inebria i commensali con innumerevoli storie immaginifiche di vita vissuta, impregnate di un neorealismo ante litteram d'emigrazione.

Pallaro è un manager forse un po' yankee, sicuramente pragmatico e leale, ma nel petto ha un cuore latino, anzi veneto, quello della terra da cui partì non ancora trentenne.

Msa. Quando e come nasce il suo interesse per gli italiani all'estero?

Pallaro. Abbiamo visto la comunità  italiana dilaniata dagli effetti della seconda guerra mondiale: la vecchia e la nuova emigrazione, gli antifascisti, i comunisti, la lotta politica. Così, qui ci siamo messi in testa di trovare una forma per superare queste divisioni, e abbiamo riesumato un vecchio sodalizio che si chiamava 'Feditalia' fondato nel 1912, e che raggruppava tutte le associazioni e le istituzioni italiane in Argentina. Da quella base abbiamo cominciato a riunire le associazioni e i patronati di diverse espressioni politiche. È nata così la base per la prima conferenza per l'emigrazione. Dopo abbiamo fatto un comitato unitario per dare spazio alle diverse espressioni che si muovevano all'interno della Repubblica italiana e della Repubblica argentina, e le posso assicurare che questo ha dato ottimi risultati perché abbiamo rappresentato la comunità : eravamo gli interlocutori principali del governo.

Che responsabilità  addebita all'Italia?

Lo sanno tutti che la comunità  italiana nelle Americhe ha sopportato 50 anni di assenza dell'Italia la quale non è mai stata presente con nessun programma di appoggio, né culturale né sociale per i connazionali all'estero. Però gli italiani emigrati non hanno rinunciato alle proprie origini e alle proprie tradizioni e hanno creato mille associazioni; gli italiani sono stati promotori del mutualismo.

Qui associazioni che compiono 150, 130, 120 anni ce ne sono già  a decine, e queste rappresentano un enorme patrimonio degli italiani di qui che da soli sono riusciti ad autoproteggere la loro cultura d'origine.

Che valutazione dà  dell'informazione che viene dall'Italia?

In Italia si dovrebbe dire che nel mondo vivono 60 milioni di italiani. Di questa realtà  sono consapevoli, forse, i missionari o la gente che per vari motivi gira il mondo, però gli italiani che vivono in patria non conoscono le opportunità  che potrebbero avere in campo imprenditoriale, commerciale e culturale, se fossero al corrente di come sono attivi gli italiani all'estero. A Buenos Aires vediamo Rai International, ma il telegiornale è un telegiornale per l'Italia non per l'estero, perché un servizio di dieci minuti su un processo mafioso non lo guarda nessuno. Invece si vuole vedere l'Italia della moda, l'Italia delle piccole e medie imprese, l'Italia del miracolo economico, l'Italia della cultura.

Si parla di opportunità  reciproche per gli italiani in patria e all'estero. Ma che cosa si potrebbe fare concretamente insieme?

Insieme si possono fare molte cose. In modo speciale si possono iniziare rapporti culturali; bisogna fare investimenti su università , scuole tecniche; se l'Italia guardasse lontano, se fosse capace di alzare la testa e uscire dal provincialismo, allora si accorgerebbe di avere opportunità  immense per il millennio futuro. Quando si investe in cultura, si investe nel futuro, altrimenti i discendenti degli italiani all'estero, dopo la morte dei padri, dimenticheranno le proprie radici.

Sulla questione della riforma di Cgie e Comites e sul diritto di voto per gli italiani all'estero, si sta giocando una sorta di braccio di ferro politico-istituzionale.

Attualmente, a mio avviso, si ha paura di introdurre nel parlamento italiano, nuovi soggetti politici che potrebbero cambiare i rapporti di potere. C'è una mediocrità  in questa visione. Se, invece, si guardasse oltre, si scorgerebbe la possibilità  di stabilire rapporti con persone già  inserite nei diversi Paesi.

Voglio raccontarle un aneddoto. Mi trovavo a Washington, a una riunione con il sottosegretario statunitense per il Commercio estero il quale diceva che 'erano fortunati quei Paesi che avevano propri connazionali o correligionari sparsi nel mondo'. Finita la riunione gli chiedo: 'Scusi, lei si riferisce agli ebrei?'. 'Sì', risponde il sottosegretario. Aggiungo: 'Che ne dice degli italiani?'. 'Non ci avevo pensato', replica lui. Dopo un mese mi manda una lettera e mi dice che, analizzando la questione, si era reso conto che gli italiani sono molto più potenti e numerosi, ma che l'Italia non sa approfittare di questo patrimonio.

Per esempio, in Argentina il 95 per cento degli italiani ha una casa propria, e una percentuale altissima di connazionali ha figli che frequentano l'università .

Gli italiani in patria sono stati fra i propugnatori dell'Unione europea; e in Sud America del Mercosul (una specie di Cee sudamericana tra Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay n.d.r.). C'è una sorta di parallelismo economico-geografico tra i due continenti?

Le rispondo sulla scorta della mia esperienza personale. L'80 per cento degli industriali argentini è di origine italiana. Il nostro ruolo lo abbiamo come cittadini. Io mantengo il mio passaporto, sono presidente della Camera di commercio, sono in rapporto con tutti gli enti argentini, però i miei figli sono argentini. Pertanto, l'insegnamento delle nostre famiglie, il rilievo che può avere l'Unione europea, l'importanza di unirsi per essere più presenti nel mondo, ecco tutto questo lo trasmettiamo ai nostri figli, e loro, attraverso le loro azioni all'interno della società  argentina, nei settori che contano, portano avanti questo messaggio. Partecipiamo così, attraverso le nuove generazioni, a questo fenomeno nuovo che si chiama Mercosul. Ormai è chiaro che non si può più discutere da soli coi grandi blocchi.

Quali difficoltà  o possibilità  di sviluppo vede nei rapporti economici e commerciali tra Argentina e Italia?

Di difficoltà  non ce ne sono, anzi direi che fra Italia e Argentina il rapporto è straordinario. Lei pensi che negli ultimi 18 mesi l'Italia ha esportato per 1800 milioni di dollari e ha importato per 200 milioni di dollari; quando l'interscambio, qualche anno fa, non arrivava neanche a 200 milioni di dollari. Tuttavia l'Italia è un po' assente, indifferente. In Italia mancano piani per finanziare l'esportazione di prodotti italiani. C'è molta domanda, da parte degli argentini, di prodotti italiani, però trovano difficoltà  nell'interscambio, mentre in Francia, Spagna e Germania, le facilitazioni con crediti per l'esportazione da quei Paesi verso l'Argentina, sono molto più rilevanti di quanto avviene in Italia.

La formazione professionale e post-universitaria dei giovani è fondamentale per potenziare il legame tra Argentina e Italia. Che aspettative ci sono?

Qui parlo come presidente di 'Feditalia'. Recentemente abbiamo organizzato un congresso, per le nostre associazioni di tutta l'Argentina, dei giovani di origine italiana. Hanno par-

tecipato in 500, la maggior parte aveva meno di 30 anni; per il 70 per cento erano laureati. Il dibattito è stato molto profondo sui temi dei rapporti economici, culturali, sulla formazione, sugli interscambi di giovani argentini e giovani italiani, in enti di categoria o aziende, sia in Italia che in Argentina. Per quanto riguarda la cultura, una delle richieste più insistenti è stata quella di un'università  italiana a Buenos Aires, e di centri di studio di carattere tecnico nelle città  di Mendoza e Rio Negro dove ci sono molti italiani, e una forte produzione ortofrutticola, relativamente alla quale l'Italia ha molte tecnologie da esportare. Infine, c'è un enorme desiderio di mantenere il rapporto culturale col Paese d'origine benché, spesso, questi giovani siano di seconda o terza generazione.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017