Editoriali
Politica, di Francesco Jori
L’industria dei cervelli
L’istruzione ha prodotto un gran numero di persone capaci di leggere, ma incapaci di distinguere quello che merita di essere letto, avvertiva qualche decennio fa lo storico inglese Trevelyan. Dalla riforma Gentile del 1923 in poi, fino a quella appena varata dal governo, la scuola italiana cerca di porre rimedio a questo handicap, con alterni risultati; specie in un tempo come il nostro in cui i canali di apprendimento extrascolastici si sono moltiplicati e hanno pure prodotto guasti, come sottolineava Popper quando parlava di «cattiva maestra televisione». Il ridisegno compiuto dal ministro Gelmini per gli istituti superiori ha l’indiscutibile pregio di mettere ordine e semplificazione in quella che era diventata una vera e propria giungla, in cui gli studenti e le loro famiglie si trovavano di fronte a quasi 450 possibilità di scelta. Oggi i licei diventano sei in tutto, con un generale potenziamento delle lingue straniere e delle discipline scientifiche e matematiche, e con il sacrificio di materie come la geografia, nella maggior parte dei casi accorpata con la storia.
Positivo o negativo? Il giudizio del mondo delle imprese propende per il primo, nella convinzione che la riforma risponda di più alle esigenze del mondo del lavoro; quello del mondo della scuola è più articolato, criticando in particolar modo la fretta con cui è stato elaborato il provvedimento, e il taglio di 17 mila posti negli organici degli insegnanti. Ma in realtà il punto centrale è un altro, e più generale: nessuna riforma sta in piedi senza risorse; e sotto questo profilo la scuola, in Italia, è fortemente penalizzata da decenni, quali che siano stati i governi. Un esempio: dove sono i fondi e i programmi per formare gli insegnanti che dovranno gestire le novità introdotte dal provvedimento Gelmini, a cominciare da quelli che saranno chiamati a tenere lezioni in lingua straniera? In Inghilterra, al momento di assumere la guida del governo, Tony Blair disse che il Paese aveva tre priorità: education, education, education. La scuola è l’industria più strategica, perché lavora sulla materia grigia. Ma in Italia si sono fermati all’aggettivo: grigia, e basta.
Esteri di Carmel Lasorella
Usa-Cina: e il dialogo?
«La relazione bilaterale con la Cina sarà la più importante di questo secolo»: Hillary Clinton lo aveva dichiarato già nel 2008 e la politica del fair-play inaugurata da Obama a Pechino, seguita dai vertici dell’Aquila e di Copenaghen e concretizzata nelle formule, che dal G7 al G8 al G20 avevano portato al G2 – Usa e Cina – sembravano il principio di una lunga primavera. Invece, è arrivato il gelo. Obama vuol vendere a Taiwan, proprio dirimpetto alla Cina, forniture militari per circa 6 miliardi e mezzo di dollari (lo avevano però già fatto Clinton e George Bush); ha incontrato, in forma privata, il Dalai Lama, indigesto a Pechino; riapre il dossier Google: una faccenda commerciale, che diventa un caso politico per le interferenze cinesi su internet. La reazione del gigante asiatico è stata immediata: proteste ufficiali, minacce di ritorsione contro il sistema-imprese americano, irrigidimento della posizione cinese all’Onu sulla questione Iran. Si aggiungeranno probabilmente altre conseguenze per i dossier intanto aperti, ovvero il clima, i diritti umani, il nucleare, i fronti della Corea del Nord, dell’Afghanistan, ma soprattutto i rapporti di forza sul piano economico e finanziario. Perché tutto questo? Il fatto è che gli Stati Uniti, dopo lo tsunami finanziario, stentano a ricominciare. E la Cina c’entra. È la Cina, infatti, che muove molte delle leve finanziarie americane: ha comprato obbligazioni emesse dal Tesoro per centinaia di miliardi di dollari. Un’ipoteca ingombrante. Allora, se non puoi pagare e vuoi sottrarti alla stretta, la strategia dello scontro può servire. Obama, inoltre, pur con il Nobel, vede il suo consenso in calo. Dopo la sconfitta elettorale in Massachusetts, con la sfida per la riforma sanitaria in salita, arranca, è in cerca di alleanze. I cosiddetti poteri forti, tra i quali le lobby delle armi o dei grandi network web e tv, vogliono commesse miliardarie. Lo è quella per Taiwan, lo è Google. Premono la Boeing, la Lockheed, Murdoch. Per ragioni opposte, preme l’opinione pubblica: che cosa sta facendo l’America per i diritti umani, ad esempio per il Tibet? Sul banco degli imputati, in bella evidenza, c’è sempre la Cina. E la Cina è sul fronte opposto nel conflitto, intanto diplomatico, per la minaccia nucleare dell’Iran, ed è la grande antagonista nella lotta aggressiva per il reperimento di risorse energetiche, dall’Asia all’Africa, fino all’America Latina, ovvero nel cortile di casa degli Stati Uniti. Il gioco è rischioso. Anche perché il governo di Pechino, sulle questioni dell’integrità territoriale e degli interessi nazionali, incassa il pieno consenso delle forze economico-finanziarie cinesi e dell’opinione pubblica. In passato, la logica del business as usual, ovvero degli affari che trovano comunque gli accomodamenti, oltre le tensioni, ha garantito una soluzione ai problemi. Nella partita tra Usa e Cina, le prossime mosse saranno decisive.
Economia di Leonardo Becchetti
La creazione progressiva
La vita sulla terra è come un gioco affascinante le cui istruzioni vengono scoperte man mano e non ci sono ancora tutte note. La creazione ha rappresentato solo l’avvio di questo apprendimento progressivo nel quale l’uomo è stato chiamato a essere co-creatore in un’opera che si è, appunto progressivamente, affinata con la crescita delle sue capacità. Guardando molto indietro e poi, più vicino a noi, alla grande accelerazione della storia più recente possiamo dire che le nostre possibilità e capacità sono enormemente accresciute. Gli incredibili progressi della scienza medica, nei trasporti, nelle telecomunicazioni e comunicazioni, gli sviluppi tecnologici nel loro insieme, hanno aumentato moltissimo le nostre capacità di far fronte ad avversità le cui conseguenze erano fino a poco tempo fa ineluttabili. La battaglia per il progresso dell’umanità si gioca oggi in parallelo su due fronti. Sul primo cerchiamo di far avanzare ancora la frontiera delle conoscenze applicando con il nostro sforzo cognitivo il principio della sapienza ordinatrice che ci consente di progredire nelle conoscenze e nelle loro applicazioni. Sul secondo siamo impegnati a diffondere i benefici di queste conoscenze a un numero sempre maggiore di persone. Purtroppo, ciò che oggi, in linea di principio, è possibile raggiungere, non lo è nei fatti per tutti coloro che, per cause economiche e politiche, non hanno libero e pieno accesso ai benefici delle scoperte dell’umanità. Per tornare al problema delle calamità, un terremoto del settimo grado della scala Richter in Giappone, dove tutte le costruzioni sono antisismiche, può quasi non provocare morti mentre ne provoca centomila se accade ad Haiti. Fermo restando che esiste ed esisterà sempre un limite alle nostre capacità, e che il grande rischio di un’umanità con sempre maggiori capacità è di perdere la percezione della propria creaturalità e con essa l’importanza della relazione con un Dio creatore, dobbiamo tutti impegnarci nella sfida del progresso. Se gli scienziati sono gli unici a poter agire sul primo campo (estensione della frontiera delle conoscenze) tutti noi dobbiamo sentirci impegnati sul secondo (la diffusione a tutti dei benefici delle scoperte) lottando contro la diseguaglianza e promuovendo il progresso sociale. In questo ambito il compito principale di noi economisti è proprio quello di rimuovere le barriere di accesso all’istruzione, al credito e a una vita piena di relazioni che impediscono il godimento delle pari opportunità e la fruizione da parte di tutta l’umanità dei nuovi frutti della creazione progressiva.
In una foto
I volti dell’emancipazione
Aziza Ibrahim è la prima donna giordana ad aver aperto un’agenzia per la consegna a domicilio delle bombole di gas, lavoro prettamente maschile. L’iniziativa le ha causato grandi discussioni in famiglia.