Educare, con verità nella libertà
Se in passato educare era un compito, svolto con sostanziale disinvoltura e con qualche tensione determinata dall’inevitabile confronto generazionale, oggi è diventato una sfida, una realtà complessa e complicata, alla quale è sempre più difficile far fronte. La delusione crescente degli educatori rischia di trasformarsi in «sfinimento educativo» (l’educazione non è finita ma sfinita, sostiene il pedagogista Duccio Demetrio), e la tentazione è quella di gettare la spugna, di disertare, di chiamarsi fuori. Non che gli adulti non avvertano tutta la serietà della situazione e non siano perciò allarmati da quanto vedono e constatano quotidianamente, ma quasi mai la preoccupazione educativa si trasforma in occupazione educativa: se così fosse, anche solo in piccola parte, il problema sarebbe subito risolto. Anzi, la preoccupazione montante rischia di logorare le energie residue, attivando un cortocircuito inconcludente che mentre lascia intatta la situazione la dipinge con tinte sempre più fosche.
Anche la vastità del fenomeno sorprende, per il fatto che il disagio educativo è trasversale alla società e coinvolge tutte le sue componenti istituzionali (famiglia, scuola, Chiesa…) togliendo il sonno a molti educatori. Cosa fare? Da dove ricominciare? È ancor possibile educare? Perché e come educare oggi?
Per volere e potere educare ci vuole innanzitutto uno scopo, un fine, detto più concretamente un progetto di uomo; lo si legge con chiarezza nell’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, al n. 61: «Per educare bisogna sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura», cosa assolutamente non scontata ai nostri giorni. Non si accetta infatti una verità sull’uomo, solo per il fatto che parlare di verità risulterebbe già di per sé atteggiamento autoritario e impositivo: là dove c’è una verità – così la pensano in molti – questa farebbe di tutto per imporsi e quindi solleverebbe conflitti insanabili tra le parti. Meglio accontentarsi di opinioni, varie e molteplici, senza fare la fatica di innalzarsi a quell’amore ricco di verità e a quella verità piena di amore di cui si parla nell’enciclica sopra citata (cf. n. 30). Senza verità, inoltre, anche la libertà – che dell’educazione è uno dei pilastri –, diventa cieca. Secondo il modo comune di sentire e giudicare, la libertà non si esprime al meglio nella ricerca della verità (tra l’altro tolta di mezzo come impiccio incomodo, l’abbiamo già detto), quanto piuttosto nel solo fatto di poter sempre nuovamente decidere di se stessa. Ma quando tutto ha valore solo perché è scelto, si giunge al punto che nulla è scelto perché ha valore. Come è possibile dunque educare senza indicare una verità e senza allenare la libertà a desiderarla e a perseguirla? Privata di questi due cardini l’educazione non solo è di fatto impraticabile, ma resta ancor prima del tutto impensabile.
Questo editoriale è motivato da una duplice contingenza. A metà settembre sono stato invitato a Roma, presso gli uffici della Cei, per la presentazione del volume La sfida educativa, un rapporto-proposta sull’educazione che mette a fuoco l’attuale situazione italiana attraverso i contributi di alcuni esperti. Lo strumento è davvero interessante e raccomandabile a pastori e laici che abbiano a cuore la sfida educativa, quella che oggi a tutti preme e non può essere rimandata. A fine ottobre, inoltre, parteciperò a una tavola rotonda che si terrà a Ragusa per l’inaugurazione del secondo anno di attività della «Cattedra di dialogo tra le culture», istituita in quella città dalla Facoltà teologica «San Bonaventura» di Roma in collegamento con le realtà ecclesiali e culturali della zona. La decisione della Conferenza episcopale italiana di dedicare il prossimo decennio pastorale al tema dell’educazione sta mettendo in moto energie e sinergie notevoli. La nostra rivista farà la sua parte.