Educhiamo alla mondialità

Il teatro come scuola di vita e di relazione. Attraverso la cultura si incrementano anche i rapporti commerciali. Consensi per il sistema Italia.
17 Febbraio 2006 | di

Ho incontrato Marina Salvarezza a Padova, sua città  d";origine, in occasione della premiazione dei cittadini padovani residenti all";estero che hanno onorato l";Italia. La medaglia d";oro che le è stata consegnata, è legata a una serie d";impegni svolti con professionalità  e creatività : è infatti docente in varie Università  di Guayaquil, in Ecuador, oltre che attrice, regista, insegnante di teatro, fondatrice della Dante Alighieri e della Camera di Commercio Italo-Ecuadoriana, già  presidente del Comites e, infine, consigliere delegato del Cgie per l";Ecuador e la Colombia.
Segafreddo. Quando si è trasferita in Ecuador?
Salvarezza
. Dopo il mio matrimonio con un ecuadoriano conosciuto all";Università  a Milano. Visitando il suo Paese, mi è talmente piaciuto che, nel 1976, ho deciso di trasferirmici definitivamente.
Com";è iniziata e proseguita la sua attività  teatrale?
È iniziata a Milano, dove all";Accademia dei Filodrammatici sono stata promossa come migliore giovane attrice. Nel contempo, avevo iniziato a lavorare anche in un";emittente radiofonica; attività  che poi ho continuato in Ecuador. Dopo il mio trasferimento, iniziai a frequentare l";ambiente teatrale di Guayaquil, la città  dove vivo, pensando di trovare delle compagnie stabili professionali ma, non trovandone, ho cominciato ad insegnare teatro nelle scuole. Un lavoro che faccio anche oggi, con bambini dai 6 ai 15 anni d";età , mettendo in scena le loro opere oppure quelle che io stessa scrivo con il mio gruppo professionale. Ho adattato, per esempio, i racconti di Pinocchio e Biancaneve, e ho presentato diverse «storie» con i classici burattini. Queste rappresentazioni piacciono molto ai bambini perché danno loro un messaggio sui valori dell";ubbidienza, dell";onestà ; li stimola a cercare la verità  e ad essere buoni con i loro compagni. C";è sempre più bisogno di educare non solo all";arte ma anche alla vita. Logicamente nei bambini l";interesse di fare i futuri attori può cessare, ma la loro esperienza teatrale rimane come un momento della vita in cui hanno imparato a riflettere e a essere più socievoli. La mia attività  teatrale, dunque, è didattica, ma mi ha permesso di entrare in contatto con il pubblico, tanto che ho potuto creare una compagnia stabile di teatro per adulti.
Che cos";è per lei il teatro?
Per me il teatro "; per-e-con i bambini, e parallelamente per gli altri "; è divenuto una vocazione. Per gli adulti abbiamo un repertorio dedicato a Garcia Lorca, uno dei più grandi drammaturghi di lingua spagnola. Una delle sue opere, La Casa di Bernarda Alba mette in scena, come attrici, 17 donne: un teatro fatto dalle donne per le donne. Amo molto anche Luigi Pirandello che ho studiato quando frequentavo l";Accademia a Milano; Eugène Ionesco, con il suo teatro dell";assurdo, e Samuel Beckett. La presentazione de La lezione di Ionesco, una metafora sull";educazione, mi ha fatto vincere dei premi.
Questa attività  teatrale si estende oltre i confini dell";Ecuador?
Abbiamo presentato opere in Perù, in Colombia e a Cuba, un Paese che amo perché lavoro con attori cubani presenti in Ecuador. La loro partecipazione ci ha permesso di andare a Cuba e svolgere attività  teatrale.
Lei ha fondato qui anche la Società  Dante Alighieri e poi la Camera di Commercio...
Come attività  parallela, ho sempre cercato di diffondere la cultura e la lingua italiana che, 30 anni fa, erano solo dei «segni» riferiti al mondo dell";arte italiana. I diplomatici italiani presenti in Ecuador non sentivano la necessità  di promuovere un discorso culturale, convinti che l";Italia non aveva l";interesse di «esportare» la sua cultura e la sua lingua. Ciò che invece fanno da sempre Germania, Gran Bretagna e Francia con i loro Istituti culturali con i quali ho sempre lavorato, ricevendo il loro appoggio per la mia attività  teatrale. L";Italia era presente con i suoi missionari, che svolgevano attività  enormi senza nessun aiuto, mentre i nostri rappresentanti non capivano che diffondere cultura e lingua di un Paese, significa promuovere anche interessi economici. Per fortuna, negli ultimi dieci anni, la situazione è cambiata anche perché tantissimi ecuadoriani vivono oggi in Italia. Da sei anni è attiva la Camera Italo-Ecuadoriana di Commercio e i rapporti tra i due Paesi si sono maggiormente attivati; l";ambasciatore e le altre autorità  si sono resi conto che il «sistema Italia» è un discorso che va promosso anche e soprattutto attraverso la sua lingua e la sua cultura. Tre anni fa, è nata anche la Società  Dante Alighieri che promuove l";insegnamento dell";italiano di base in modo moderno e aiuta così gli studenti che, dopo il Liceo, hanno l";interesse di venire in Italia. Nel 2004 siamo riusciti ad ottenere, anche in Ecuador, un Comitato degli italiani all";estero, Comites, votato dai discendenti e da quanti hanno il passaporto italiano, e un consigliere delegato per il Cgie.
Qual è il volto degli italiani in Ecuador?
I primi italiani arrivati 200 anni fa, hanno lasciato moltissimi discendenti, molti dei quali non parlano l";italiano. La loro emigrazione si differenzia da quella che ha raggiunto l";Argentina o il Brasile, perché in Ecuador essi hanno costruito delle piccole fortune. I loro discendenti "; di quarta e quinta generazione "; appartengono all";alta borghesia ecuadoriana, anche se negli ultimi anni molti hanno perso quanto i nonni e i bisnonni avevano guadagnato a causa della crisi economica che ha coinvolto il Paese. Trent";anni fa, l";80% degli italiani stavano bene, mentre oggi siamo scesi al 60%, con una piccola borghesia che fa fatica a tirare avanti e deve essere sostenuta, dato che in Ecuador non c";è l";assistenza sociale. La pensione è molto al di sotto di quello che è il costo della vita per cui, dopo aver lavorato per 35 anni, un lavoratore riceve circa 200 dollari al mese, insufficienti per vivere. Molte persone hanno bisogno di essere aiutate dai figli ma, se si ammalano, la situazione si aggrava. Parallelamente ci sono tanti ecuadoriani che ritornano dall";Italia con figli che sono già  italiani, e questa situazione avvicinerà  di più l";Ecuador all";Italia nel senso più giusto. Ci troviamo di fronte a persone che non possono essere considerate solo «forza lavoro» ma portatrici di determinati diritti sociali sia in Italia come in Ecuador.
Quanti sono gli italiani o ecuadoriani con doppio passaporto?
Oggi sono circa 17 mila gli italiani presenti in Ecuador con passaporto, o con passaporto in corso di rilascio. Tanti hanno il cognome italiano ricevuto dai bisnonni italiani, ma non hanno ancora ottenuto un riconoscimento. Invece quello che ancora non abbiamo sono i dati sugli ecuadoriani. Sappiamo che in Italia ufficialmente essi sono 80 mila, ma per le istituzioni sociali che li aiutano, la cifra sale a 200 mila presenze. Ci sono quindi dalle 100 alle 120 mila persone presenti in Italia senza documenti legali. Cifre sconvolgenti se si pensa quale problema può creare la presenza di illegali. Io sostengo la regolarizzazione delle persone che vivono in Italia anche perché questo permette loro di viaggiare, mentre gli illegali creano un submondo che lavora e che guadagna in nero, con gravi difficoltà  per ritornare in patria. Con il «visto Schengen», valido per l";Unione europea, la mobilità  è stata ulteriormente limitata. Tanti fenomeni che toccano il mondo delle migrazioni turbano le coscienze più sensibili. Bisogna incominciare a chiedere ai governi di fare molto di più perché non si può tollerare che ci siano persone che rischiano la vita per cercare di sopravvivere. Io vedo che in Ecuador non si sta male. Se solo la gente potesse guadagnare un po"; di più non cercherebbe di andare negli Stati più ricchi, come l";Italia.
L";Ecuador non è uno stato povero: c";è purtroppo molta corruzione, e la gente quando non ha speranza e non vede un futuro per i figli, cerca di costruire la propria vita altrove. Questo succede anche per gli africani o per i curdi e gli asiatici, e io credo che l";obiettivo prioritario che dovrebbero porsi le grandi nazioni e le istituzioni internazionali, sia di dare a ogni popolo un futuro migliore. Se invece di creare più giustizia, creiamo solo delle barriere, noi provochiamo rabbia e diffidenza verso lo straniero.
Da quando faccio parte del Cgie, ho avuto modo di impegnarmi per gli italiani ma anche per i latino-americani, lottando contro ogni razzismo. Anche noi italiani possiamo essere visti come persone che portano via il lavoro e fasce di benessere. Sappiamo invece quanto gli italiani abbiano dato, con il loro lavoro e la loro creatività , al benessere e alla cultura dei Paesi che li hanno accolti. Credo allora che ci voglia un impegno da parte di tutti contro ogni discriminazione affinché vengano riconosciuti gli stessi diritti-doveri, e adottata la stessa giustizia per ogni essere umano, di qualsiasi razza e cultura. Un mondo giusto dovrebbe aver già  vinto questa battaglia basata sulla libertà  e sulla condivisione tra tutti i popoli.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017