Elezioni alle porte
È il 24 gennaio 2008: alla fine il governo Prodi cade, non per una vigorosa e demolitrice spallata ma per una sottrazione di voti al Senato, sul filo di lana che altre volte al fotofinish aveva dato ragione al centrosinistra. I giudici soffiano sul fuoco e Mastella getta la spugna, dopo di che per il governo in carica i conti non tornano. 161 i no e 156 i sì, un astenuto e tre assenti, e parte il banchetto in aula con champagne tenuto in fresco e mortadella nostrana ingurgitati a gogo, mentre le immagini da contrada festaiola baciata dal sole fanno il giro del mondo. Se per qualcuno è baldoria, altri si mettono le mani nei capelli e si deprimono, mentre c’è chi non perde tempo e si prepara a montare in sella, anche se il cavallo è stremato e vorrebbe capirne qualcosa di più. Morto un papa, si sa, se ne fa un altro, anche se non è da sottostimare il tempo che passa tra il congedo di chi se ne va e l’arrivo del volto nuovo. Fa bene il presidente Napolitano a placare gli animi e ad affidare a Marini un mandato esplorativo, non fosse altro per il fatto che d’ora in avanti è necessario che l’ascolto delle parti diventi uno stile di sana politica, non solo una necessità quando c’è bisogno di stampelle e non se ne può proprio fare a meno. L’esito delle consultazioni rimanda alle urne, e ha così inizio la campagna elettorale.
Sono settimane di grandi manovre, in cui si vede la destrezza (e fors’anche la fretta) di una classe politica che si ridispone in campo con estrema abilità, al fine di chiudere la partita a proprio vantaggio: le elezioni sono altra cosa rispetto alle Olimpiadi, l’importante non è partecipare ma vincere. La campagna elettorale parte in modo più avvincente del solito, e alcune scelte fanno «effetto novità», andando oltre il gioco dei ruoli e innescando mosse a sorpresa. Tutti vogliono essere «nuovi» e far valere questa verginità ritrovata in termini di immagine, mentre di giorno in giorno i guru dei sondaggi informano gli italiani sugli esiti di voto previsti a seconda della compagine politica che si va configurando, delle alleanze e delle sigle di fresco conio. Finora si è trattato di una campagna elettorale anomala, certamente meno incendiaria del passato, anche se il fair play va progressivamente scemando.
Il nostro contributo specifico, in questo numero, sarà quello di offrire uno sguardo sulla presenza dei cattolici in politica all’interno di alcune formazioni. L’impressione è che il voto dei cattolici sia corteggiato, attraverso la rivendicazione di valori etici, ma anche politici, in grado di fare la differenza.
Solo una volta nella mia vita di prete, anni fa, mi è capitato di essere investito dalla fatidica domanda con assoluta e autoliberatoria disponibilità all’esecuzione: «Padre, mi dica per chi devo votare». In quel caso, lo confesso, mi trovai in grande imbarazzo, ma la risposta fu sincera: «In questo momento, nemmeno io so per chi votare». Nonostante titubanze e qualche inevitabile compromesso tra me e me, giunto il momento mi sono sempre recato al voto, da buon cittadino, anche perché quando – dopo le elezioni – mi trovo nel gruppo dei vincitori rimango sempre pensoso, e quando mi capita di stare dall’altra parte non sono incline ad abbattermi. Ho comunque bisogno di dire la mia così come mi è concesso, anche se vorrei tanto che mi fosse data la facoltà di scegliere i candidati.
L’appuntamento del 13-14 aprile lo ricorderemo a lungo, tutti, perché oltre quella data stiamo proiettando il bisogno di una politica che rimetta in movimento il Paese, che lo sproni a non ripiegarsi e a non cedere al qualunquismo. Anche se un po’ delusi e magari in parte conquistati dal vento dell’antipolitica, anche se in quattordici anni siamo chiamati per la quinta volta alle elezioni politiche, non deleghiamo a nessuno la decisione che anche a noi spetta.