Elisabetta Vendramini, la forza dell'amore

Il 4 novembre di vent'anni fa veniva beatificata la fondatrice della Congregazione delle Suore Terziarie Francescane di Padova. Una venerazione e una testimonianza diffuse in tutto il mondo.
12 Ottobre 2010 | di
Padova
L’inizio di questa storia di collaborazione con il divino comincia con Elisabetta Vendramini, oggi beata. La sua vita si svolge tra Bassano del Grappa (VI), sua città natale, e Padova; a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, in un’epoca di profondi e talvolta traumatici mutamenti politici, sociali e culturali. Collocata in un crocevia geografico strategico, all’epoca Bassano è attraversata dalle scorribande degli eserciti napoleonici e austriaci che si susseguono seminando morte, soprusi e violenze.
La famiglia Vendramini gode di una buona posizione sociale ed economica. Elisabetta nasce in questo contesto il 9 aprile 1790. All’età di 6 anni, i genitori la affidano alle monache agostiniane del Monastero di San Giovanni Battista dove, con metodo e regolamento rigorosi, le giovanette benestanti della città vengono preparate alla vita di spose e di madri. Qui Elisabetta riceve un’impronta spirituale che inciderà in modo determinante nella sua vita: l’amore per il Vangelo, per Gesù Bambino, per l’Eucaristia, la tenera compassione per la Passione di Gesù, l’affetto vivo per Maria, l’inclinazione al sacrificio e alla solitudine, la gioia della lettura della vita dei santi, la generosità nel soccorrere i poveri, e il desiderio del martirio.
Rientra in famiglia a 15 anni. La florida situazione economica già goduta in casa è ormai un ricordo. Elisabetta, insieme con le sorelline Regina e Gaetana, viene trasferita nella villa di San Giacomo di Romano, lontana dai pericoli rappresentati dalla soldataglia di passaggio.
Dopo la morte del papà, nel 1812, e in un clima sociale più disteso, Elisabetta ritorna a Bassano. Si affida alla guida di padre Antonio Maritani, francescano riformato. Questi, intuendo lo spessore umano e spirituale della giovane, le chiede di annotare in un diario tutto quanto passa nel suo animo. In Elisabetta si intrecciano sentimenti a volte contrastanti, infatti sente forti attrazioni per la vita mistica e solitaria, e altrettanto forte l’attrazione per la vita mondana, del bel vestire. Innamorata di un buon giovane ferrarese, progetta il suo matrimonio dopo aver superato l’opposizione della famiglia, durata sei anni.
Il 17 settembre 1817, Festa delle Stimmate di san Francesco, ormai prossima alle nozze, mentre ascolta i suggerimenti per una nuova acconciatura di capo, Elisabetta viene visitata improvvisamente da Dio con una chiamata straordinaria, che le fa intuire come per lei sia un’altra la strada di una piena e soddisfacente realizzazione di sé. Nel 1820, dopo tre anni di attesa purificatrice, Elisabetta si confronta con la dura realtà di miseria e abbandono in cui vivono le ragazzine accolte nell’ex Convento dei Cappuccini, che la voce misteriosa in prossimità delle nozze le aveva indicato come luogo dove realizzare il progetto che Dio Padre le riservava. Nella sofferta esperienza fatta pure di incomprensioni e gelosie da parte della priora del luogo, Elisabetta è accompagnata da esperienze mistiche che vanno rivelando in lei la figlia diletta del Padre. Uscita dall’orfanotrofio, ormai destinato alla chiusura, Elisabetta sperimenta il fallimento di un progetto che aveva inteso chiaramente essere voluto da Dio, ma non si perde d’animo. Dopo soli tre giorni, il 4 gennaio 1827 parte per Padova dove il fratello Luigi, commissario di polizia della città, le ha procurato un posto di maestra all’Istituto degli Esposti. Qui Dio le dà una mano concreta per la realizzazione del sogno, facendole incontrare don Luigi Maran, sacerdote padovano impegnato anche socialmente. Sarà la sua nuova guida spirituale, e un valido aiuto nella realizzazione di una comunità religiosa ispirata alla spiritualità di Francesco d’Assisi, e totalmente dedicata alla carità verso i poveri.
La nascita della comunità avviene in una «reggia della santa povertà»: una vecchia soffitta in Contrada degli Sbirri, regno degli abbandonati di quel tempo, a Padova. Era il 10 novembre 1828. Insieme con le compagne Felicita Rubotto e Maria Chiara Der, apre la propria casa alle fanciulle del quartiere per insegnare loro a leggere,  a scrivere e a conoscere il Signore. Ma ben presto giungono alla comunità altre giovani: così le suore possono inserirsi nella Casa di Industria al Beato Pellegrino (1834), per seguire le giovani accolte, tratte dalla strada, cui si aggiungono poi le orfane (1836), e infine, sempre al Ricovero, assumono la direzione (1838). Si prendono cura dei bambini negli asili infantili appena aperti a Padova, in via Beato Pellegrino, nel quartiere Santa Caterina, nel 1846; e in periferia, nel 1852. Lo stesso anno ritornano agli Esposti, e assumono il servizio all’Ospedale Civile di Padova (1853). Sono richieste pure a Venezia fin dal 1850.
Madre Elisabetta assiste con gioia alla crescita della Famiglia religiosa, e cura spiritualmente ogni sorella in modo personale. Le «figlie» condividono il fuoco che arde nel cuore della Madre e si chinano con tenerezza di madre su ogni forma di povertà: bambini abbandonati, anziani, ammalati, adolescenti, giovani, adulte analfabete. Si sentono una famiglia: la famiglia di Gesù nella quale, come gli Apostoli, lavorano con l’obiettivo di aiutare ogni uomo a ritrovare la bellezza delle origini, conforme all’immagine del Figlio di Dio.
Elisabetta, a 70 anni, il 2 aprile 1860, chiude gli occhi su questa vita, confortata dalla visione della Sacra Famiglia. Lascia in eredità alle figlie e alla Chiesa i suoi Scritti, permeati di dottrina e di itinerari per camminare con Dio, di contemplazione e di mistica ma, soprattutto, traboccanti di quell’amore e di quella misericordia che Dio nutre per ogni uomo.
Riconosciuta dalla Chiesa figlia amata da Dio, a cui ha risposto vivendo in pienezza le virtù umane e cristiane, Elisabetta fu proclamata Beata il 4 novembre 1990 da Papa Giovanni Paolo II. Le figlie della Vendramini si ispirano come lei a Francesco d’Assisi nel suo amore al Cristo povero e crocifisso e, operativamente, guardano a santa Elisabetta regina d’Ungheria, amica e madre dei poveri, sostenute dall’eucaristia, centro della loro vita fraterna.Con il tempo si sono diffuse in varie regioni d’Italia e, «come vento per il mondo», sono andate a cercare e a servire il povero in Egitto (1935),  Libia (1936), Argentina (1970), Kenya (1972), Ecuador (1979), Israele (1975) e Sudan (1984).
Nel celebrare i 150 anni dalla morte di Elisabetta Vendramini e i 20 dalla sua beatificazione, è bello e doveroso rendere gloria al Signore per le molteplici modalità con cui la famiglia fondata da Elisabetta ha ascoltato la voce del povero percorrendo ogni strada per rendergli possibile l’incontro che salva, e per come il seme del carisma ha dato frutti nella Chiesa. Così la storia delle «figlie di Elisabetta», attente ai bisogni dei fratelli, è stata caratterizzata nel tempo da un movimento di chiusura-apertura di opere e di servizi, con flessibilità e impegno a coniugare continuamente la visione ideale attinta dal carisma e dai bisogni, dichiarati e non, dell’uomo nei suoi contesti di vita e nel tempo. Riconoscere tutto questo significa benedire Dio che si fa continuamente prossimo all’uomo.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017