Epilessia: l’intervista dell’esperto Attimi senza coscienza
«L'epilessia è una strana malattia: alcune cellule del cervello incominciano a lavorare a un ritmo molto superiore al normale, provocando la cosiddetta scarica epilettica».
Così inizia l'intervista rilasciata a Trentatré il quotidiano di medicina del Tg2, dal professor Mario Manfredi che insegna neurologia all'università La Sapienza di Roma. L'epilessia è una delle malattie neurologiche più frequenti; nel nostro paese colpisce infatti, almeno 500 mila persone. Si rileva con un breve e improvviso disturbo delle funzioni nervose, molto differente da caso a caso. Una delle manifestazioni più comuni è la sospensione improvvisa della coscienza e la comparsa di movimenti involontari di tipo convulsivo, ma anche di movimenti apparentemente normali compiuti in maniera automatica, come masticare, inghiottire, parlare, toccare gli oggetti. In altri casi la coscienza è conservata o solo lievemente annebbiata e il soggetto avverte sensazioni del tutto peculiari quali lampi di luce, rumori, formicolii a una parte del corpo, gusti e odori strani, ma anche improvvise sensazioni di angoscia o di gioia, sentimenti di estraneità , folate di ricordi del passato. Non raramente vi può essere caduta a terra con danni fisici.
Ma qual è, allora, il carattere comune delle crisi?
La loro imprevedibilità , l'impossibilità di controllare in quel momento il proprio comportamento, la breve durata, l'inizio e la fine improvvisi. Il disturbo provoca gravi disagi. Si immagini, ad esempio, una persona colta da una crisi mentre sta utilizzando una macchina utensile o sta guidando l'auto, oppure è di fronte a un fornello acceso e all'acqua che bolle.
Ma quali sono le cause di questa malattia?
Si possono dividere in due grandi categorie. La prima comprende tutte le lesioni della corteccia cerebrale (è lì, infatti, che avviene la scarica epilettica), a partire dalle malformazioni cerebrali, ai disturbi dell'ossigenazione al momento della nascita, ai traumi cranici nell'adolescenza o nell'età adulta (ad esempio una caduta senza casco dal motorino), ai tumori, alle lesioni circolatorie.
In pratica tutte le malattie neurologiche possono provocare l'epilessia, ma le più frequenti sono le malformazioni del cervello, i danni al momento della nascita e i tumori. La seconda categorie è costituita da una predisposizione congenita delle cellule cerebrali a produrre scariche epilettiche. In questo caso il cervello non presenta alcuna lesione e l'unica anomalia è questa curiosa caratteristica.
Si può curare l'epilessia?
Certamente sì, anche se solo nel 60-70 per cento dei casi. Si usano, infatti, farmaci che controllano e bloccano la tendenza delle cellule a produrre scariche epilettiche. Purtroppo l'effetto dei farmaci termina poche ore dopo che si è interrotta la cura. È per questo motivo che la terapia dell'epilessia è molto impegnativa per il paziente che assume farmaci e per il medico che li prescrive: è necessario che il medico scelga il farmaco e lo dosi in maniera corretta, ma è altrettanto importante che il paziente comprenda il significato e gli scopi della terapia e la prosegua in maniera precisa e per un lungo periodo di tempo, quasi sempre molti anni, non raramente per tutta la vita.
Se capisco bene professore, l'epilessia si può curare ma non si può guarire.
No, non è sempre così. Molte forme che iniziano nell'infanzia, su base costituzionale, si esauriscono spontaneamente con l'accrescimento e, quindi, vanno curate per periodi limitati. Inoltre, in alcuni casi, si può asportare, con un intervento chirurgico, la zona del cervello da cui prende inizio la crisi (focolaio o area epilettogena).
Come si possono selezionare i pazienti per l'intervento chirurgico?
L'intervento chirugico viene preso in considerazione quando i farmaci non funzionano. Inoltre, è necessario essere certi che le crisi prendono origine da una precisa e identificabile zona del cervello. Infine questa zona deve essere asportabile chirurgicamente senza creare deficit, cioè senza provocare perdite di forza o di sensibilità o disturbi della parola. Nell'80 per cento dei casi il paziente guarisce; la percentuale di effetti secondari è dell'ordine dell'1-2 per cento.