Eremita nel Sahara e fratello universale
Charles de Foucauld verrà proclamato beato il 13 novembre prossimo. L'avvenimento toglierà dal cono d'ombra, in cui negli ultimi tempi è rimasta confinata, una delle figure spiritualmente più affascinanti del secolo passato. Protagonista di un'avventura cristiana forte e suggestiva, ha riscoperto e vissuto la radicalità del Vangelo, a imitazione del Gesù quotidiano di Nazareth. E così povertà , condivisione di vita con i più poveri, annullamento, insieme con preghiera, adorazione, amicizia, testimonianza, dialogo... sono diventati il paradigma della sua avventura segnando una «rivoluzione» per una Chiesa ancora allettata da sogni di gloria e di potenza.
De Foucauld è una figura attualissima: da riscoprire e imitare. Lo sottolinea anche il cardinale Walter Kasper che vede nella sua esperienza un «modello per realizzare la missione del cristiano e della Chiesa nel deserto del mondo: la missione tramite la semplice presenza cristiana, nella preghiera con Dio e nell'amicizia con gli uomini» .
De Foucauld, dunque, straordinario maestro di spiritualità , «rifondatore del cristianesimo del Novecento» e altro ancora. Eppure, nulla nella sua inquieta ed errabonda giovinezza fa presagire un tale esito della sua vita, della quale vi raccontiamo i passaggi salienti.
Nasce a Strasburgo nel 1858. Famiglia borghese, educazione religiosa, ma a sedici anni, abbacinato dalla cultura francese impregnata di antireligiosità , si allontana dalla fede mettendo Dio tra le cose di cui fortemente dubitare e di cui non vale comunque la pena di occuparsi. In verità , svagato e vuoto com'è, non trova nulla cui dedicare attenzione. E quando intraprende la carriera militare (1876) nella celebre scuola di Saint-Cyr, non ci sono ideali a sospingerlo: semplicemente, non sa che altro fare. Infatti, diventa un pessimo soldato: insofferente alla disciplina, più sensibile alle strategie della dolce vita che a quelle di von Clausewitz, quando gli sfagiola - cioè spesso - lascia la caserma per andare a gozzovigliare con amici e amiche (ha un'amante, Mimi) in un appartamento lussuosamente arredato con i soldi di una sostanziosa eredità .
Poiché sfuriate e accigliati rapporti non lo fanno rientrare nei ranghi, l'esercito decide di sbarazzarsi dell'indisciplinato fannullone. De Foucauld lascia senza rimpianti il suo reggimento, «I cacciatori d'Africa», e si dedica a tempo pieno ai riti goderecci della bella vita.
Lo scavezzacollo, «pecora nera» per la famiglia, ha un rigurgito d'orgoglio quando legge che il suo reggimento è in Algeria a sedare un'insurrezione (sono in corso le conquiste coloniali). Ottenuto il reintegro nell'esercito, raggiunge i commilitoni accompagnato da Mimi, che spaccia per sua moglie. Stavolta sorprende tutti comportandosi da soldato coraggioso e disciplinato. Ma quando pensa di aver pareggiato il conto, si congeda e torna a Parigi.
Il viaggio alla ricerca di se stesso e di Dio
L'esperienza algerina lo ha un po' cambiato, ma soprattutto gli ha fatto conoscere l'Africa, i suoi abitanti, l'ambiente fantastico, gli orizzonti mozzafiato. È il «mal d'Africa» e de Foucauld ne è colpito in pieno. Vuole saperne di più sulle tradizioni, sui costumi, sulla gente. Si improvvisa allora esploratore e geografo e viaggia in lungo e in largo per quelle contrade, travestito da ebreo e accompagnato da un vero rabbino.
I suoi viaggi non sono inutili, gli appunti e le scoperte che fa contribuiscono a rendere più precisa la carta geografica dell'Africa settentrionale.
È un altro uomo quello che a Parigi riceve la Medaglia d'Oro della Società Geografica per le sue scoperte. Ma i turbamenti interiori gli fanno capire che il viaggio veramente importante deve ancora compierlo, quello che lo porti alla ricerca di se stesso e di Dio. Decide di intraprenderlo. Ecco come lui stesso racconta quel passo: «Per dodici anni, ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi pareva sufficientemente provato. L'identica fede con cui venivano seguite religioni tanto diverse mi appariva come la condanna di ogni fede [...]. Per dodici anni rimasi senza nulla negare e nulla credere, disperando ormai della verità , e non credendo più nemmeno in Dio, sembrandomi ogni prova oltremodo poco evidente» .
Alla fine, aiutato da un'abile guida spirituale, l'abate Huvelin, ritrova Dio: «Quando riconobbi che Dio esiste, capii anche che non avrei potuto fare altro che servire Lui solo».
E per farlo si fa monaco (gennaio del 1889) nella trappa di Nostra Signora delle Nevi, nella diocesi di Viviers. Vi passa sei anni, ma non è quello che cerca. «Desiderando, per rassomigliare ancora di più a Gesù, uno spogliamento più profondo e un'abiezione più grande, andai a Roma e ottenni dal generale dell'ordine il permesso di recarmi solo a Nazareth e di vivere là , sconosciuto, da operaio, con il mio lavoro quotidiano». A Nazareth trova finalmente la sua vocazione: «Abbracciare l'umiltà , la povertà , la rinuncia, l'abiezione, la solitudine, la sofferenza di Gesù nel suo presepio; non tenere in nessun conto la grandezza umana, l'elevatezza, la stima degli uomini, ma stimare tanto i più poveri quanto i più ricchi. Per me, cercare sempre l'ultimo degli ultimi posti, disporre la mia vita in modo da essere l'ultimo, il più disprezzato degli uomini» .
Ma Nazareth è ovunque. Anche nel Sahara, dove nei suoi viaggi ha incontrato alcuni dei poveri più poveri del mondo. Ed è lì, a Beni-Abbès, ai confini tra Algeria e Marocco, che nell'ottobre del 1901 de Foucauld, ora fratel Carlo, si trasferisce, dopo esser stato ordinato sacerdote. Vi costruisce un piccolo eremo, «Kaua», Fraternità , dove prega, lavora, accoglie chiunque passi da quelle parti.
Nel 1905 si sposta a Tamanrasset, un pugno di capanne di fango su un arido altopiano, intorno ad alcuni pozzi usati dalle carovane dei tuareg, lontano da ogni altro segno di vita e di civiltà . Ed è con i tuareg , i poveri abitanti di questi tuguri, che fratel Carlo decide di condividere la misera sorte per annunciare loro, musulmani, il Vangelo di Gesù. Ma a suo modo, cioè prima di declamarlo, viverlo: senza vanto, senza diversità , senza privilegi testimoniandolo nella fraternità , nell'amicizia e nell'amore. Ma i musulmani di qui sono meno teneri che altrove con i cristiani. «I non cristiani - dice lui - possono essere nemici di un cristiano, un cristiano è sempre tenero amico di ogni uomo». Si fa amico dei tuareg, anzi fratello, piccolo fratello, fratello universale. Vive non in mezzo a loro ma insieme a loro. Li invita nella sua capanna ed è ospite nelle loro: con loro beve il tè verde, ne rispetta le abitudini, ascolta le donne che cantano le melodie della tribù e raccontano storie antiche. Impara così a conoscere i loro problemi, i desideri, le paure. Dopo un po', parla e pensa nella loro lingua. Diventa uno di loro. Lo chiamano Marabutto l'uomo della preghiera, e il grande capo dell'Hoggar Musa, Ag Amastan lo onora della sua amicizia.
Traduce la Bibbia in lingua tuareg della quale scrive una grammatica e compila un dizionario. Procura alle donne i ferri per lavorare a maglia e si adopera perché il figlio del capo della tribù venga educato in Francia. Ovunque ci sia bisogno di aiuto, lui c'è. Pratica quel dialogo, estraneo a ogni proselitismo, teorizzato dall'amico Louis Massignon, precursore del confronto tra cristiani, musulmani ed ebrei.
Ma il suo è un dialogo che non porta frutti apparenti: quando, in seguito alle tensioni create in Algeria dal risorgente colonialismo, viene casualmente ucciso (1 dicembre 1916) da un giovane tuareg , non ha «convertito» nessuno, come non è riuscito a concretizzare neppure una delle comunità monastiche sognate e per le quali ha anche tracciato Regole ispirate alla povertà radicale, alla condivisione di vita con i poveri, condizioni indispensabili per avere la libertà assoluta di amare Dio, di adorarlo nella preghiera e nella contemplazione. E di amare gli altri. Amore: nessuno come fratel Carlo ha riscattato e ridato dignità a una parola così abusata. Amare, vuol dire dividere i propri beni con i poveri, vivere come loro ed essere come loro.
Dopo la prima guerra mondiale vengono ritrovati i suoi appunti; dopo averli letti, qualcuno (uomini e donne) decide di seguire il suo esempio e inizia a vivere nel suo spirito. Nascono così i «Piccoli fratelli» e le «Piccole sorelle di Gesù», le comunità che fratel Carlo ha sognato, oggi diffuse in quasi tutto il mondo. Il chicco di frumento caduto in terra porta ora una ricca messe.