Eritrea. Colonialismo italiano memoria negata

20 Ottobre 2015 | di
Terra, denaro, lavoro, benessere e donne, le belle africane. Questo immagina Francesco mentre si fa largo a spintoni sulla scaletta del Cesare Battisti (piroscafo della Regia Marina italiana, ndr) dove si accalcano decine di viaggiatori, commercianti, imprenditori e militanti, diretti in Eritrea. Francesco è il protagonista del romanzo L’Africa non è nera, di Paola Pastacaldi, edizioni Mursia. Da quel momento l’Africa sarà il suo destino e la città di Asmara la sua piccola patria. Quella di Francesco è la storia di tanti italiani che hanno investito tutto nell’epopea coloniale. Il dopo, però, è la sconfitta e la prigionia sotto gli inglesi o la fuga sulle navi bianche.

Giornalista, scrittrice e saggista, Pastacaldi racconta, in questo e altri romanzi, storie che si intessono con le memorie del nonno diplomatico, un livornese che visse in Etiopia, ai primi del Novecento.

Msa. L’epopea coloniale è stata a lungo un mito, ma spesso la realtà è ben diversa.
Pastacaldi. Quello italiano è stato un colonialismo come tutti gli altri: duro, feroce, non certo salvapopoli. Noi abbiamo ucciso, massacrando gli indigeni, senza pietà. Abbiamo usato i gas tossici. Il generale Rodolfo Graziani è stato un criminale di guerra. Purtroppo, fino a quindici-vent’anni fa, di quel periodo abbiamo saputo poco. Ci hanno fatto credere che l’Italia fosse stato un colonizzatore buono. La consapevolezza che, invece, non era così è arrivata tardi, ma è arrivata. Per gli italiani che vivevano e lavoravano lì quel periodo è stato una grandissima delusione, una profonda sofferenza. Perché, al di là di quello che il governo e Mussolini propagandavano come “posto al sole”, quelli che poi ci hanno messo la faccia, che hanno faticato, sono stati gli italiani. Quando, nel 1941, sono arrivati gli inglesi e Asmara è caduta, gli italiani hanno dovuto lavorare per gli inglesi. Molti sono stati imprigionati in Kenya, Somalia e altrove. La colonia è stata anche questo.

Cosa rimane, oggi, di quel periodo?
È rimasta un’eredità enorme per gli italiani. Secondo gli storici, le memorie coloniali, rappresentate da un oggetto che può essere una foto, un diario, una cartolina, un cestino africano o uno scritto, sono presenti in una casa italiana su tre. Sempre a detta degli studiosi, si tratta, però, di una memoria non ancora riconosciuta. Proprio grazie a quest’ultimo romanzo, ho sperimentato una sorta di recupero di questa memoria attraverso i miei lettori. Tutti, che siano di Treviso, di Roma o di qualsiasi altra parte d’Italia, mi dicono, indistintamente, sempre la stessa frase: «Non sapevo». Una frase che porta con sé un certo rammarico. I lettori si interrogano su quel Paese, e sul nostro, di fronte a un romanzo che racconta delle leggi razziali e di un rapporto intenso, stretto in quegli anni con gli indigeni, gli eritrei di oggi, quelli che oggi scappano dalla loro terra per morire, insieme ai tanti migranti, nelle acque del nostro Mediterraneo.

Qual è la situazione attuale?
Fino a qualche mese fa, per l’esattezza sino a maggio, nel presentare la situazione socio-politica odierna, ho sempre affermato, quasi osando, che si trattava di «una delle peggiori dittature al mondo». Oggi, invece, non ho più alcun dubbio. Il rapporto Onu dello scorso giugno su dittature e negazione dei diritti umani afferma senza mezzi termini che quella eritrea è, purtroppo, la peggiore dittatura al mondo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017