Euro e Schengen accelerano il processo di avvicinamento. La Svizzera apre alla UE
Dopo l'accordo di Vienna, la Confederazione elvetica ha imboccato la via di Bruxelles. Tra francofoni e italofoni cresce la voglia di Europa. Forse nel 2013 cadranno le frontiere.
Zà¼rich
Gli anni dello «splendido isolamento» della Svizzera sembrano oggi definitivamente passati, superati da una serie di eventi epocali che segnano profondamente le moderne società del vecchio continente. Non c'è soltanto la novità costituita dall'introduzione dell'Euro, novità alla quale il sistema economico e finanziario elvetico è comunque molto sensibile. Ci sono anche gli aspetti politici e sociali legati al processo di integrazione, insieme alle sfide poste dalla disoccupazione e dall'evolversi della società in una direzione sempre più multietnica.
Osservando una cartina dei Paesi aderenti all'Unione Europea, la Svizzera appare ancora oggi come un buco nero al centro del continente, enclave geopolitica posta al crocevia delle direttrici di traffico che attraversano l'Europa. I Paesi confinanti, la Germania a nord, l'Italia a sud, la Francia a ovest, sono da sempre fra i più convinti fautori di una politica di integrazione europea che riunisca sotto un tetto comune i Paesi del vecchio continente. Per la Svizzera, la tentazione di aprire le proprie frontiere a questi poderosi processi è sempre stata molto forte, sebbene sia stata spesso frenata da resistenze e spinte all'isolamento. Negli ultimi mesi, soprattutto nei cantoni francofoni e italofoni della cosiddetta «Svizzera latina», è cresciuta notevolmente la voglia di Europa, sulla spinta dei successi ottenuti dai governi aderenti all'Unione. Uno storico accordo che sembra aprire la strada a un possibile ingresso futuro della Confederazione Elvetica nell'Unione Europea, è stato raggiunto durante l'ultimo vertice dei capi di stato e di governo europei, che si è svolto a Vienna nel dicembre del '98, e al quale ha partecipato anche una delegazione svizzera composta dal presidente federale Flavio Cotti e dal ministro dell'Economia Pascal Couchepin.
Le lunghe trattative bilaterali che hanno preceduto l'intesa, avevano messo sul tappeto una serie di punti nodali da risolvere, che andavano dall'estensione del trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone in ambito europeo, alla spinosa questione del traffico delle merci, toccando, poi, delicati protocolli agricoli e commerciali. Per tutti e sette i dossier in discussione è stato raggiunto un accordo, tanto da far dichiarare all'austriaco Schà¼ssel, presidente di turno dell'Unione Europea, che il cammino della Svizzera verso Bruxelles è stato appianato da «una soluzione creativa e intelligente». Grande è stato l'entusiasmo con il quale la folta comunità italiana nella Confederazione elvetica ha salutato il raggiungimento dell'accordo di Vienna. Considerato il rigido sistema giuridico per gli stranieri tuttora vigente in Svizzera, l'estensione del trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone in ambito europeo è infatti un tema particolarmente sentito dai nostri connazionali residenti in questo Paese.
Sono ora in corso le procedure di ratifica, prima di sottoporre gli accordi a una consultazione referendaria in vista della loro definitiva entrata in vigore il 1 gennaio 2001. Una volta approvati tutti i protocolli, la libera circolazione delle persone sarà comunque introdotta gradualmente. In una prima fase, della durata di cinque anni, le condizioni di soggiorno e di impiego dei cittadini europei in Svizzera subiranno un notevole miglioramento. In una seconda fase, a partire dal 2008, la Svizzera introdurrà , in forma sperimentale, la libera circolazione delle persone sancita da Schengen, mantenendo però la facoltà di un eventuale restringimento degli afflussi immigratori. Soltanto a partire dal 2013, per i cittadini europei non ci saranno più frontiere fra il proprio Paese e la verde terra di Gulielmo Tell.
Politica. Rispettare le leggi per diventare europei
Doppia cittadinanza a chi?
di Antonello Pietromarchi (*)
Nell'antica Roma, i cosiddetti «barbari» integrati aumentarono la prosperità e la sicurezza dell'Impero. Saprà fare altrettanto l'Europa odierna con gli extracomunitari?
Il dibattito accesosi in Germania tra fautori e oppositori dell'«Accordo di coalizione», col quale la nuova maggioranza politica tedesca vorrebbe concedere la doppia cittadinanza a talune, ben delimitate categorie di stranieri, interessa molto anche noi italiani.
L'Italia deve ancora risolvere l'annoso problema del voto per gli italiani residenti all'estero, ma già si affaccia sempre più pressante quello della cittadinanza e del voto per gli extracomunitari legalmente residenti nel nostro Paese.
Un'elementare esigenza di giustizia spingerebbe a dare soluzioni positive al più presto, ad entrambi i problemi, e, per quanto riguarda la Germania, ad approvare senza riserva l'«Accordo di coalizione», che invece la Democrazia Cristiana tedesca, all'opposizione dopo la recente sconfitta elettorale, si appresta a contrastare, ricorrendo persino alla pesante arma del referendum.
La questione non è solo tedesca o italiana, ma europea, e gli Europei di oggi dovrebbero ristudiare come l'antica Roma già seppe affrontare e risolvere problemi analoghi. La Roma degli Antonini, all'apogeo dell'Impero, consentiva, ad esempio, a tantissimi ebrei (come già San Paolo), fenici, mauri, germanici, egiziani, pannonici, illirici, ecc. di dichiararsi civis romanus.
Così, un giorno, non v'è dubbio, molti marocchini potranno dichiararsi con orgoglio civis europaeus, e se tale cittadinanza europea sarà stata conferita con avvedutezza, sarà di indubbio vantaggio per l'Europa, così come la vita e la civiltà dell'Impero Romano d'Occidente e d'Oriente poté essere prolungata di secoli e secoli, grazie ai barbari (e ai berberi, come Settimio Severo) divenuti cives romani. Ma, attenzione! Non a chiunque può essere estesa la doppia cittadinanza e, prima di farlo, siamo sicuri di aver fatto sufficientemente ordine in casa nostra? Certe preoccupazioni della CDU, come pure di chi in Italia si oppone alle concessioni a cui abbiamo accennato, non sono infondate.
In Italia, oggi, le apprensioni più forti riguardano la criminalità e soprattutto la constatazione che, grazie a talune ben note leggi, può verificarsi il paradosso che un assassino, dopo solo 9 anni di prigione, può già essere scarcerato e possa uccidere di nuovo (così com'è avvenuto anche di recente). Allora, molti si chiedono: a certi criminali daremo oltre che la libertà anche la cittadinanza italiana e il voto? La risposta è ovviamente negativa, anche se basata su apprensioni che non dovrebbero nemmeno esistere, ma che invece, purtroppo, oggi indubbiamente si pongono.
In definitiva, il problema deve essere risolto dall'Europa, perché non è solo tedesco o italiano. Diciamo sì all'integrazione, anche degli stranieri, concedendo il diritto di voto agli immigrati ma anche agli italiani nel mondo; questo, però, non prima di aver messo ordine con fermezza in casa nostra, all'adempimento di taluni doveri da parte dei beneficiari: conoscenza della nostra lingua e della nostra storia per chi vuol essere italiano. Inoltre, la fedina penale deve essere pulita (con esclusione ovviamente delle infrazioni minime). Infine il servizio militare o civile deve essere adempiuto dai minori di 40 anni, comprese le donne (perché così si dimostra di onorare la nuova patria e la volontà di essere utili).
Per quanto concerne gli italiani che desiderano la doppia cittadinanza, essi ormai sono favoriti dalla legge 52/92, in base alla quale chiunque abbia un ascendente di secondo grado italiano, ha diritto alla nostra cittadinanza. Ma in Europa, in base all'accordo di Strasburgo del '63, nessun cittadino dell'Unione potrebbe acquistare un'altra cittadinanza, a meno che non ce l'abbia già di diritto dalla nascita (per esempio un italiano la cui madre sia francese, ha diritto anche lui alla cittadinanza francese, con relativo passaporto, oltre a quella italiana).
*Ambasciatore, e già capo del Dipartimento per gli italiani all'estero presso la Presidenza del Consiglio dei ministri a Roma.