Euro: istruzioni per l’uso

Nei prossimi giorni avverrà la scelta definitiva dei paesi che parteciperanno alla nuova fase della moneta unica. Ma ecco che cosa succederà subito dopo per noi e per la nostra economia.
05 Aprile 1998 | di

Con la scelta a 'Domenica in...' dell'8 febbraio scorso delle effigi di tre monete dell'Euro, con un esperimento metà  gioco e metà  democrazia diretta, il nostro pubblico ha avuto il primo contatto visivo con quella che sarà  la moneta unica europea. Nei prossimi giorni avverrà  la selezione definitiva dei paesi che parteciperanno alla nuova fase e saranno stabiliti i cambi fissi fra le vecchie valute. Tuttavia, ci vorranno ancora tre anni e mezzo perché l'Euro vada praticamente in circolazione, mentre la nostra liretta, coniata la prima volta in argento da Carlo Magno nel lontanissimo VIII secolo d.C., finirà  definitivamente nei musei e nelle raccolte numismatiche solo con il primo luglio 2002. Ma dal prossimo primo maggio in poi, anche se praticamente poco cambierà , tutto nella sostanza comincerà  a cambiare, e quindi dobbiamo prepararci sin d'ora a ragionare 'in termini di Euro', che diventa il riferimento ufficiale. E a comportarci in conseguenza.

Il diverso peso dell'Euro rispetto alla 'liretta' (come la nostra moneta viene sovente chiamata all'estero, per distinguerla dalle 'lire' ben più consistenti, tipo la 'lira sterlina') significa che è finito per sempre il tempo della finanza pubblica facile e delle altrettanto facili svalutazioni fatte per tamponare il poco rigore interno.

Un Euro varrà  circa duemila lire, i centesimi torneranno ad aver corso, diventare milionari sarà  di nuovo una meta da sogno come negli anni Trenta, se un milione di Euro corrisponde a due miliardi di lire. In ogni caso, non dai prossimi anni, ma già  dai prossimi mesi, una occhiuta Banca centrale europea (Bce) vigilerà  a che un singolo paese non sgarri, sarà  la longa manus del 'Patto di stabilità  e crescita' deciso dal Consiglio europeo di Dublino nel dicembre 1996.

Ma fra i mestieri esistenti, chi può prevedere di guadagnarci, e chi rischia di veder deperire il proprio lavoro? La semplificazione introdotta da una moneta unica avvantaggerà , in generale, tutti i commerci e tutte le produzioni destinate all'esportazione. Oggi un industriale che compra materie prime pagandole in dollari, ed esporta prodotti finiti valutandoli nella moneta forte, il marco, potrà  far meglio i suoi calcoli e sarà  meno soggetto alla fluttuazione delle valute, dovendosi confrontare solo più col dollaro (perché il marco sarà  conglobato dall'Euro). Il boom della Borsa italiana di gennaio-febbraio ha significato che il mercato sconta positivamente l'influsso dell'Euro sulle imprese, e già  assistiamo a una progressiva concentrazione delle banche, che saranno fra le protagoniste destinate a gestire le varie fasi di passaggio.

Si stanno preparando a un boom di commissioni anche produttori e gestori di distributori automatici, che andranno adattati alle monete Euro, e che si moltiplicheranno con la diffusione delle monete rispetto alla carta-moneta: le nostre attuali mille lire saranno rimpiazzate dai 50 centesimi dell'Euro. Ma l'adeguamento varrà  soprattutto per i mille servizi informatici, che dovranno inserire nel loro software l'anno duemila, il sistema della doppia contabilità  per il periodo di passaggio, infine i programmi in Euro. C è chi si è buttato a fare due conti, ed è arrivato alla bella cifra di 15 mila miliardi di lire, come somma globale che le imprese dovranno investire sull arco di tre anni per adeguare la loro informatica. Questi investimenti avranno una notevole ricaduta sull occupazione qualificata, quantificata nella cifra vertiginosa di 150 mila anni-uomo di lavoro.

Ma allora, non ci sarà  nessuno che ci perde dall'introduzione dell'Euro? La prima categoria che viene in mente è quella dei cambisti, che troveranno in prospettiva il loro lavoro più che dimezzato dalla scomparsa di tutte le valute dell'Europa occidentale, una volta sfruttato il semestre del cambio valute-Euro nel 2002 (posto che non vengano abilitate le sole banche a realizzarlo). In generale, però, si può dire che su tutta la nostra economia passerà  una grande ventata di cambiamento, di cui sinora abbiamo visto solo gli accenni: un cambiamento che si spera significhi anche rinnovamento. Le piccole e medie imprese del made in Italy accentueranno probabilmente la propria dinamicità , mentre le grandi imprese, che hanno sinora conservato molto più a lungo che nel resto dell'Europa l'assetto familiare, o quelle di matrice pubblica, dovranno veramente fare i conti con una accentuata concorrenza e una gestione più aperta e pluralistica.

Col prossimo mese, ci sarà  il verdetto definitivo fra chi entra subito nel sistema della moneta unica, e chi dovrà  ancora fare anticamera o rimarrà  nel limbo di un futuro, ulteriore giudizio. Certamente resteremo sino all'ultimo col fiato sospeso, perché non mancheranno manovre e manovrette contro il nostro ingresso, anche se il rigoroso risanamento realizzato negli ultimi anni dovrebbe qualificarci a pieno titolo. Lo stesso severo presidente della Bundesbank, Hans Tietmayer, che sino a qualche anno fa ci giudicava 'ottimi giocatori di calcio, ma mediocri risanatori di bilanci', sembra si sia ricreduto, specie davanti ai non esaltanti risultati di casa sua. Dei tre famosi criteri di Maastricht abbiamo centrato in pieno i primi due - deficit annuale di bilancio e inflazione - e ci manca solo il terzo, il debito pubblico (cioè i debiti accumulati in passato) che rimane al 120 per cento del Pil, il doppio di quanto richiesto.

Anche noi, anni fa, avevamo scritto che su ogni cittadino italiano gravavano sin dal momento della nascita 30 milioni di debiti. Oggi, però, a pochi anni da quella affermazione, i debiti sono calati a 22 milioni a testa. Ancora una bella sommetta che però, con questo ritmo di risanamento, dovrebbe raggiungere i parametri di Maastricht in poco più di dieci anni, nel 2011. Se fosse solo questa la ragione per tenerci fuori, sarebbe di sicuro un pretesto, che copre altri motivi, più politici e meno economici. Ma non crediamo che ciò avverrà ; e attendiamo con animo tranquillo il verdetto prossimo venturo.

Le scadenze dell'Euro

* Weekend dell'1 maggio 1998. Il Consiglio dell'Unione europea (capi di stato o di governo) conferma i paesi che partecipano alla terza fase della unione monetaria e stabilisce i cambi fissi tra le diverse valute. Subito dopo comincia a funzionare la Banca centrale europea, con sede a Francoforte, che deve vigilare sulla stabilità  economica dei paesi contraenti.

* 1 gennaio 1999. L'Euro diventa 'valuta bancaria', cioè misura di tutte le operazioni che non richiedono l'uso di contante. I tassi di cambio fra l'Euro e le diverse valute europee rimangono fissi.

* 1 gennaio 2002 (al più tardi). Entrano in circolazione monete e banconote Euro.

* 1 luglio 2002 (al più tardi). Dopo un semestre, termina la conversione delle valute nazionali in Euro, la lira non ha più corso legale.

 

In Europa contiamo poco
Intervista a Gerardo Mombelli, rappresentante della Commissione europea in Italia.

Gerardo Mombelli, federalista militante in gioventù, collaboratore di Altiero Spinelli, da anni dirige la rappresentanza a Roma della Commissione europea.

Msa. Lei che frequenta gli ambienti comunitari, può dirci se dietro a tutto questo tira e molla sulla nostra entrata nell'Euro, se dietro a sospetti e reticenze, c'è qualcosa di più?

Mombelli. Va detto che c'è stata sorpresa e una sorta di resistenza, psicologica più che politica, di fronte a questo straordinario risanamento compiuto dall'Italia, che non era previsto né era facilmente prevedibile sino a poco tempo fa. Dall'altro rimangono perplessità  o curiosità  sugli esiti delle riforme politiche e istituzionali in atto, come la 'bicamerale'. Difatti, la cosiddetta 'sostenibilità ' della nostra partecipazione - vale per noi come per tutti gli altri - non è legata soltanto a parametri economici, ma anche a parametri di efficacia e stabilità  politico-istituzionale.

Quindi: gli esami non finiscono mai. Ma se continueremo a dimostrarci 'saggi', i nostri governanti potranno reclamare con minor timidezza qualcuno dei posti che contano all'interno degli organismi europei?

Vedo una sorta di paradosso: da una lato i risultati delle nostre esportazioni, in Europa e fuori, dimostrano un'audacia, una vivacità , un'immaginazione, un'intraprendenza notevolissime. Accanto, però, noto una prudenza e una modestia maggiore a livello delle istituzioni internazionali: forse storicamente i nostri politici hanno guardato più alla nomenclatura interna che ai posti di livello internazionale ed europeo, anche se non manchiamo di tecnici-politici di gran valore.

Ma almeno entreremo nel board della Bce, la futura Banca centrale europea?

Risponderei in maniera più generale: non si tratta di ottenere una specie di medaglia, ma di organizzare meglio e con maggiore continuità  la nostra presenza nelle organizzazioni internazionali, specie europee. Guardiamo a quello che ha saputo fare la Spagna, che in questo momento tiene quattro suoi rappresentanti in posti di spicco, fra cui la presidenza del parlamento europeo e la segreteria della Nato. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017