Europa da reinventare

Dopo il voto di giugno quale identità deve saper offrire ai suoi cittadini la Ue, con il suo ricco e variegato patrimonio di cultura, tradizioni, lingue e stili di vita?
02 Settembre 1999 | di

Quale Europa hanno scelto i cittadini del Vecchio Continente che si sono recati alle urne per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo? Il primo dato scaturito dalle urne è la vittoria del Partito popolare europeo, che per la prima volta in vent'anni sorpassa il gruppo socialista, divenendo così il principale raggruppamento politico nell'ambito dell'Europarlamento. Una svolta incontestabile, sulla quale pesa comunque il secondo dato che ha caratterizzato l'ultimo voto in Europa: l'alto tasso di astensionismo riscontrato in tutti i Paesi dell'Unione.

Dei 350 milioni di elettori aventi diritto, soltanto il 43% si è infatti recato alle urne, contro il 56,8% delle precedenti elezioni europee del 1994. Il fanalino di coda nella classifica della partecipazione spetta ai cittadini del Regno Unito, dove soltanto il 23,3% si è recato a votare, insieme all'Olanda, che registra un tiepido 29,9%. Molti commentatori, su diversi organi di stampa europei, hanno attribuito la scarsa partecipazione al voto ai toni minori assunti dalla campagna elettorale a causa della crisi del Kosovo. Ma a giustificare l'alto tasso di astensionismo ha contribuito senz'altro anche una buona dose di «eurodelusione». Appare evidente che i cittadini del Vecchio Continente, approfittando della relativa innocuità  delle elezioni europee, hanno voluto esprimere un voto «contro»: contro un'Europa percorsa da nazionalismi e particolarismi contrapposti; contro un'Europa scarsamente democratica e insensibile alle reali esigenze dei cittadini; contro un'eurocrazia e un europotere macchiati da scandali e corruzioni, incapaci di costruire quell'Europa sociale da molti indicata come la vera priorità , al di là  dei trattati e delle convergenza monetarie. Non si tratta quindi, a ben guardare, di un voto contro l'Europa tout court, ma di un voto contro l'Europa finora realizzata a Bruxelles.

Negli ultimi anni, chi più chi meno, i cittadini di Eurolandia sono stati chiamati a notevoli sacrifici, che hanno pesato sulle famiglie europee soprattutto sotto forma di tagli alla spesa pubblica e all'assistenza sociale. Tutto ciò in nome di quei parametri di convergenza imposti dal trattato di Maastricht, ritenuti indispensabili per il varo della tanto attesa e sofferta moneta unica. Ma l'auspicato rilancio dell'economia e il conseguente allentamento della terribile disoccupazione che da anni attanaglia l'intero continente stentano a realizzarsi, determinando in chi, volente o nolente, dentro l'euro ci deve stare per forza, un crescente sentimento di delusione e di sconcerto.

Quanto peserà  questo dissenso strisciante sui prossimi appuntamenti dell'integrazione europea, come la revisione dei trattati o l'integrazione in materia di difesa, è ancora presto per dirlo. Di certo, l'assemblea di Strasburgo recentemente eletta, sarà  chiamata a proseguire sulla difficile, ma ineludibile via dell'integrazione europea, tenendo conto sia della riluttanza degli euroscettici, sia delle aspettative di milioni di europei che a Bruxelles chiedono un'Europa in grado di dare risposte concrete alle tante questioni ancora aperte, a cominciare dal dramma della disoccupazione.

Si tratterà , in altre parole, di pensare e costruire un'Europa che per ora non c'è. Un'Europa più democratica e partecipe, che divenga progressivamente un effettivo spazio di cultura, di politica, di realizzazioni sociali. Un'Europa in cui la mobilità  sociale sia considerata una risorsa e un fattore di sviluppo e non una necessità  legata al fenomeno dell'emigrazione e della disoccupazione. Un'Europa governata da una classe politica più vicina ai cittadini e più libera dai lacci e laccioli dell'euroburocrazia. Un'Europa capace di concepire una reale riforma delle proprie istituzioni, che le consenta di divenire un soggetto autonomo sul piano internazionale, capace di esprimere una politica estera e di difesa unitaria e indipendente. Un cammino verso l''unità  deve quindi proporre un rilancio pieno dell'idea stessa di Europa, che abbandoni ogni pregiudiziale ideologica o economista a favore di un progetto di costruzione di un'Europa internazionale, in cui la cittadinanza europea sia una realtà  riconosciuta. Fino a quando le istituzioni comunitarie, uscite rafforzate dai maggiori poteri attribuiti al Parlamento di Strasburgo dal trattato di Amsterdam, non si impegneranno realmente in un processo di integrazione che non sia puramente formale, ma che consenta di uscire dall'impasse dell'individualismo eurocratico e del particolarismo nazionale, il fossato fra rappresentati e rappresentanti, fra elettori ed eletti sarà  destinato ad aumentare.

È auspicabile, perciò, alle soglie del Terzo Millennio, quel salto di qualità  che, nel rispetto delle differenze regionali e nell'accettazione delle specificità  nazionali, consenta agli uomini e alle donne del Vecchio Continente l'accesso a una cittadinanza europea effettiva e reale, che li renda tutti e in eguale modo partecipi degli stessi diritti e degli stessi doveri. Dopo aver costruito la moneta unica, si tratta ora di costruire l'identità  e la cittadinanza dell'uomo europeo.

       
Intervista a Franco Narducci
Italiani, europeisti in patria e all'estero      

     Sulle prospettive della Ue e sul ruolo che i nostri connazionali possono avere nella crescita civile e sociale del Vecchio Continente, abbiamo fatto due domande a Franco Narducci, segretario del Cgie, Consiglio generale degli italiani all'estero.  

  Msa. Il raggiungimento di una cittadinanza europea è un'utopia o una prospettiva reale alla quale poter ancora lavorare?      
Narducci . Dal trattato di Roma in poi, lo sforzo è stato quello di creare una coscienza europea. Creare una coscienza europea significa anche costruire progressivamente una cittadinanza europea, per poter godere a pieno titolo di tutti i diritti. In questi ultimi dieci anni si è indubbiamente verificata una forte accelerazione in questo senso, soprattutto sul piano normativo. Naturalmente si tratta di un processo lungo, legato anche alla costruzione di un'Europa sociale, al termine del quale io vedo il raggiungimento di una reale ed effettiva cittadinanza europea.    

  In questo processo, qual è il ruolo che possono svolgere gli italiani residenti nei Paesi dell'Unione Europea?
L'Italia è sicuramente il Paese più europeista, ma allo stesso tempo è anche il Paese che conosce meno come funziona l'Europa e le sue istituzioni. Questo avviene probabilmente perché l'Europa ci è sempre stata presentata come qualcosa di positivo, che dovevamo però prendere a scatola chiusa. Non è nata quindi fra gli italiani che vivono dentro i confini nazionali una vera coscienza e una vera mentalità  europea. Gli italiani residenti all'estero, in particolare nei Paesi che aderiscono all'Unione Europea, sono sempre stati, invece, molto più sensibili a un discorso europeista, e sono da sempre fra i più assidui costruttori di questa Italia che vuole essere europea a pieno titolo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017